Storie di mafia, di coraggio, di libertà:
a luglio su
Raiuno torna il ciclo di documentari
realizzati dalla giornalista romana Emilia Brandi

Un gioco, non tanto innocuo, di parole che da
tre anni è anche un programma televisivo di successo: COSE NOSTRE
trasmesso ogni giovedì in seconda serata su Rai1.
Ne parliamo con
l’autore e conduttore, Emilia Brandi, giornalista romana che lavora
nella Tv di Stato da diversi anni, passando dai canali tematici alla
prima rete dove si è affermata con questo progetto in cui ha messo
tutta se stessa.
Emilia, prima di scendere nel dettaglio del
programma Cose Nostre, raccontaci in cosa consiste principalmente il
lavoro di chi sceglie di documentare i retroscena più sanguinosi del
nostro Paese…
Io racconto le testimonianze di coloro che in
prima persona hanno fatto delle scelte ben precise, dicendo dei no,
oppure si sono ribellati a qualcosa che subivano, quindi il lavoro
essenziale è quello di ascolto e di ricostruzione delle fonti
storiche. Non c’è una scaletta scritta a monte, lascio che le
storie prendano forma attraverso documenti che possono essere anche
la forza di un ricordo, l’emozione che da’ un luogo che è stato
caro, un foro in una finestra e così via…
Pur non considerandoti un’esperta del
settore, stai di fatto diventando con i tuoi documentari un punto di
riferimento nell’ambito delle inchieste di mafia. Secondo te ce n’è
davvero anche una “capitale” da cui dobbiamo difenderci?
Io non mi considero appunto un’esperta di
giudiziaria o di antimafia, raccolgo solo delle storie in territori
difficili e per questo posso dire che non c’è solo una mafia, ma
tante mafie che corrispondono a tanti modi di agire, di pensare, che
spesso si accostano alla corruzione. Per citare un ex prefetto della
Procura di Vibo Valentia che ho intervistato, esiste una “zona
grigia” che non è più tipica solo di territori storicamente affetti
dal fenomeno mafioso ma si sta allargando sempre di più perché il
sistema delle mafie cambia e vira verso gli appalti, i grossi giri
di soldi; lì è chiaro che c’è interesse da parte della criminalità.
Per quanto riguarda mafia capitale penso che sono problemi non di
oggi, mi riferisco alla trasparenza nella gestione dei lavori, delle
cooperative. Sicuramente c’è più consapevolezza nella comunità che
legge, si informa come me del resto, ma non trovo nulla di cambiato
rispetto al passato. Seguo con interesse perché riguarda la città in
cui vivo, e così dovremmo fare tutti, quanto meno non farci trovare
impreparati.
Arriviamo dunque a questa terza stagione di
Cose Nostre, dedicata a quattro storie di gente comune che abita i
territori ancora in mano alla ‘ndrangheta. Cosa ti ha colpito nel
racconto dei protagonisti che hai intervistato?
Io mi chiedo sempre se fossi nata lì cosa avrei
fatto, perché senz’altro loro hanno avuto meno libertà rispetto a
noi. Quello che mi colpisce molto è la difficoltà di questi
territori dove è più complicato fare impresa, perché se non si
presenta un’alternativa in termini di stato, di lavoro o di scuola,
si combatte con un’arma spuntata, e presto o tardi riaffiora la
criminalità. La battaglia si fa con uno stato forte e credibile in
tutti i settori. Inoltre, quelle che scelgo sono storie che si
articolano in un arco di tempo molto ampio, si va dagli anni Novanta
ai giorni nostri proprio perché voglio mettere in luce il percorso
che ciascun personaggio ha compiuto in un luogo dove il confine tra
bene e male è così labile. Per esempio nella storia di Angela Donato,
protagonista della prima puntata andata in onda giovedì 28 giugno
che si può rivedere sul sito di Raiplay, mi ha colpito molto la sua
capacità di ribellarsi a quelle regole che pure aveva accettato in
parte, essendo lei una donna dal passato non limpido, che tuttavia
di fronte al corpo assassinato del figlio, o meglio all’assenza di
questo corpo mai restituito, ha cercato una sorta di riscatto.
Un’ultima domanda: Roma, la tua città, dove
sei nata e dove lavori e che è sempre al centro di aspre
polemiche. Tu, come la vivi?
Potrei vivere solo qui nel bene e nel male.
Continuo a sceglierla, chissà, forse perché ha anch’essa un’anima
sfuggente, fatta di zone d’ombra, di sfumature; una città la cui
bellezza ti ricompensa di tutte le difficoltà quotidiane. Mi piace
poi concludere le giornate passeggiando al tramonto con il mio cane
nei giardini di Castel Sant’Angelo. Lì cerco una riconciliazione con
Roma, con il mondo, con il senso di giustizia…
di
Irene
Mandolesi
15 luglio 2018
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