Si trova all’incrocio tra la
via Flaminia e la Campana
L’Osteria di Castelnuovo di Porto

A circa 20 miglia da Roma, all’incrocio tra la via Flaminia e la
Campana, c’è un sobrio edificio con tetto a due spioventi e un
portico con ampie arcate al pianterreno, oggi adibito a elegante
casa di abitazione: è la vecchia Stazione di Posta di Castelnuovo di
Porto, sorta dove già nell’antichità doveva essere una statio dove i
viaggiatori potevano rifocillarsi e cambiare i cavalli. Non si sa di
preciso a quando risalga, ma doveva già esistere nel 1580, come
testimonia la lapide murata sulla facciata che ricorda il restauro
della Flaminia promosso sotto Gregorio XIII da Clarice Anguillara
Colonna. La nobildonna era proprietaria del feudo, nel 1581 passato
alla Camera Apostolica, che lo dava in appalto per periodi di nove
anni.
Alla Stazione si fermò nel 1668 il Vescovo di Tivoli, monsignor
Galeazzo Marescotti (1636 – 1726), diretto a Varsavia, dove era
stato inviato in qualità di nunzio apostolico. Come raccontò nella
precisa relazione stilata al rientro in patria, indossando per tutto
il viaggio un abito corto nero di sottanella e ferraiola, aveva
lasciato Roma prendendo la via Flaminia. La prima tappa l’aveva
fatta a sette miglia da Porta del Popolo, a Prima Porta. Quindi si
era fermato all’Osteria della Posta di Castelnuovo in attesa del
cambio dei cavalli. Nel Settecento veniva ormai chiamata Osteria, ma
era anche detta Insegna del Pavone. Aveva quattro stanze, una sala
al pianterreno e due camere sopra i portici. C’erano poi la cucina,
la stanza dell’ordinario e un ambiente dove era custodita la legna.
La cantina si trovava nel sotterraneo. Di fianco c’erano la selleria
e la stalla.
Tra gli illustri viaggiatori che vi si fermarono non si possono
dimenticare Michel de Montaigne, George Gordon Byron e Percy Bysshe
Shelley. Nel 1864 fu la volta di un altro poeta inglese, Robert
Browning, che raccolse dall’albergatore della posta il racconto
della sventurata storia d’amore tra un giovane prelato, un
Capizucchi, e la romana Pompilia, maritata a un nobile aretino. Il
poeta ebbe modo di verificare la storia negli atti processuali
conservati nell’Archivio Vaticano. I due amanti erano fuggiti da
Arezzo e si erano rifugiati nell’Osteria della Posta, dove furono
però sorpresi. Il Capizucchi dovette ritirarsi in clausura e la
povera Pompilia fu condotta a Roma, dove trovò la morte.
Nell’Ottocento l’Osteria della Posta non era frequentata solo dai
viaggiatori, ma anche dagli abitanti del luogo, che vi si recavano
per piacevoli merende, innaffiate di certo dal buon vino locale.
di
Cinzia Dal Maso
15 gennaio 2015
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