Stefano Maria Palmitessa rilegge l’opera
di Vittorio Alfieri
L’enigma del
dolore di Mirra

Un Teatro che si metta in gioco sul palco con l’obiettivo
di coinvolgere il pubblico e di condurlo per mano attraverso un percorso
narrativo in cui il mito si scontra con la realtà, la letteratura abbraccia il
presente e il classico si fa contemporaneo.
C’è riuscito Stefano Maria Palmitessa con il suo nuovo allestimento de
“L’offerta di Mirra”, liberamente ispirato all’opera di Vittorio Alfieri. Fedele
al suo stile, in equilibrio perfetto tra grottesco, poetica del corpo,
linguaggio psicanalitico e comunicazione verbale, Palmitessa costruisce lo
spettacolo intorno al dilemma della sua protagonista. La scena è vuota, se non
fosse per un funzionale boccascena di teli, dove spesso i personaggi sfilano
trainati da un carrello nascosto. Gesti e movimenti sincopati si amalgamo
perfettamente con le fila di un testo, la cui intrinseca scabrosità viene
stemperata dal suo senso più alto: una colpa terrena, cui necessariamente dovrà
seguire una nemesi, ovvero una punizione divina e forse, a conti fatti, una
liberatoria catarsi. Lei, Mirra, è una giovane e bellissima ragazza, ammirata
per ognuna delle sue doti. Eppure qualcosa sembra affliggerla nel profondo,
impedendole di vivere appieno la meraviglia dei suoi giorni. L’enigma del suo
dolore avvolge l’intera famiglia. Perché Mirra è infelice? Questa la domanda che
aleggia in tutta la sua triste storia. La divinità dell’Amore che appare e
scompare, più simile ad Astarte che a Venere, non scioglie l’enigma, che si
infittisce di quadro in quadro, di scena in scena, di parola in parola.
Mirra è promessa sposa, ma un velo nero, uggioso presagio di morte, sembra
aleggiare sul suo capo. Palmitessa è regista coraggioso, che concepisce la prova
scenica come un atto di grande ricerca intellettuale: ogni dettaglio, dalle
coreografie degli interpreti, al movimento, oseremmo dire, “oculare” degli
attori. Abbiamo imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo proprio per questo suo
rendere gli attori “immagini dipinte sul palco”, un insieme che guarda con
autonomia a tutte le sue fonti di ispirazione. Un lavoro colto, quello andato in
scena al Teatro le Salette, ma non per questo inaccessibile o incomprensibile.
Anzi. La parola aulica e preziosa del testo, unita alla rilettura in chiave
avanguardistica di Palmitessa si impreziosisce del suo risultato finale:
diretto, semplicissimo, commovente. Un allestimento modernissimo, dunque, che
sarebbe a nostro avviso piaciuto molto ad Alfieri.
Applausi meritati per la Compagnia, composta anche da Monica Maffei (Mirra),
Alessandro Calamunci (Manitta – Cinìro), Maria Grazia Casagrande (Perèo), Mary
Fotia (Cècri), Tiziana Imperi (sacerdotessa) e Marina Lorè (Euriclèa).
di
Annalisa Venditti
27 Marzo 2014
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