I numerosi turisti e i pochi romani che ogni giorno
affollano l’atrio di Santa Maria in Cosmedin, per mettere la mano nella bocca
dell’antico mascherone marmoreo, certo il chiusino di una fogna, detto la Bocca
della Verità, raramente si affacciano per una breve visita nell’interno della
basilica, un autentico gioiello d’arte. Sono ancora di meno quelli che, dalla
navata di destra, entrano nella sacrestia costruita nel 1647 e ingrandita dal
cardinale Albani nel 1767. Qui si custodisce, in una cornice di legno di noce,
un frammento di mosaico di eccezionale importanza, parte della decorazione fatta
eseguire intorno all’anno 705 da papa Giovanni VII (705 – 707) per il suo
oratorio della Madonna, annesso alla basilica di San Pietro in Vaticano. La
decorazione musiva dell’oratorio era composta da due cicli, uno dedicato a
episodi della vita di Gesù e l’altro a episodi della vita di Pietro, noti grazie
a copie seicentesche.
L’oratorio fu distrutto durante il pontificato di Paolo V
(1605 – 1621), nel corso dei lavori per la nuova basilica vaticana. I mosaici
furono portati nella sacrestia di questa chiesa - come documenta la relazione
del trasloco redatta da Giacomo Grimaldi il 25 gennaio del 1606 - e custoditi
per molti anni dal Capitolo vaticano.
Attualmente alcuni frammenti si possono vedere nelle
Grotte. Uno si trova nella cattedrale di Orte e un altro – donato da Pietro
Strozzi - a Firenze, nella cappella Ricci della chiesa di San Marco. Quello di
Santa Maria in Cosmedin è forse il più bello e certo il meglio conservato di
tutti. Era stato concesso dal Capitolo Vaticano al canonico Giovanni Antonio
Ghezzi, che – al tempo di Urbano VIII (1623-1644) - lo donò a Santa Maria in
Cosmedin, dove fu portato il 2 settembre del 1636. Nel 1639 venne murato sopra
la porta principale d’ingresso, con l’epigrafe che ancora si conserva al di
sotto dell’immagine. Solo nel 1767 fu portato dove ancor oggi si trova.
Vi si riconosce una scena di Epifania, con la Vergine
seduta su un ricco trono ornato di pietre preziose, su cui è poggiato un morbido
cuscino di colore verdino. Alla sua sinistra è un angelo in piedi, con le ali
spiegate e un lungo bastone nella destra. Secondo Guglielmo Matthiae “assume
quasi la funzione di un dignitario di corte che introduce i visitatori presso il
piccolo Re”. In secondo piano, dietro la sedia, è un uomo anziano, con la barba
e il capo leggermente chino. Dovrebbe trattarsi di San Giuseppe, anche se è
l’unico dei personaggi conservati ad essere privo di aureola. La sua veste è
tessuta in varie gradazioni di grigio. La Madonna tiene in braccio il Bambino,
che tende la mano destra verso il dono che gli viene offerto da una figura di
cui resta solo il braccio, vestito da una stoffa bluastra con il polso ornato
d’oro, senza dubbio uno dei Re Magi.
Come scriveva il Giovenale, “sopravvive in esso tutta la
finezza e eccellenza dell’arte romana dei migliori tempi dell’impero, che
saltando a piedi pari i secoli e la rigidezza delle forme bizantine, in pieno
rigoglio di queste manifestazioni, ci ha dato questo capolavoro”.
Le tessere musive usate per il fondo e per le vesti
differiscono da quelle molto più piccole destinate ai visi, in cui agli elementi
in pietra si uniscono particelle in vetro, come si vede anche in Sant’Agnese.