Dall’antica struttura romana ai
rifacimenti medioevali e moderni
Il Ponte Nomentano sull’Aniene

Dopo le chiese di S. Agnese e di S. Costanza, scriveva Francesco de Ficoroni nel
1744, “il curioso, e dotto della romana Istoria, proseguendo un piccolo miglio,
trova l’Aniene col suo antico ponte Nomentano, detto per corruttela il Ponte
Lamentana”.
Per il suo aspetto pieno di suggestione, il ponte fu caro a pittori e incisori,
che ne secoli lo hanno riprodotto con varie tecniche. Ebbe anche un posto di
primo piano nella letteratura, a cominciare da D’Annunzio che vi volle
ambientare l’addio tra Elena Muti e Andrea Sperelli ne “Il piacere”.
Nell’antica Roma, questo era uno dei ponti extraurbani più importanti. Fu
realizzato nel punto in cui la via Nomentana attraversava l’Aniene, in epoca
repubblicana, tra la fine del II e il I secolo a. C., come prova anche la testa
di toro sormontata da una clava rovesciata che ancora si vede sulla chiave di
volta sul lato a monte, forse memoria dei tempi remoti in cui nella zona
passavano le mandrie transumanti. Originariamente doveva essere a due arcate,
divise da una pila centrale con finestra, simile al ponte Fabricio. Era in
blocchi squadrati di tufo e con gli archivolti in travertino. Dopo la guerra
gotica (535 – 553) fu ricostruito. Narsete, infatti, aveva distrutto uno degli
archi e Totila lo avrebbe sostituito con una spalla di attacco alla riva. A
questo periodo si può riferire la muratura tuttora esistente sopra al grande
arco di travertino superstite, composta con materiale antico di buona qualità.
Durante il pontificato di Adriano I (772 – 795) il ponte fu munito di due
torrette di guardia, rinforzate con murature tra il XII e il XIII secolo e rese
più alte sotto Niccolò V (1447 – 55). A questo pontefice appartengono lo stemma
e la lapide che compare sulla fronte del ponte verso Roma. Le due torrette erano
collegate da un muro di collegamento, che rende la parte centrale del ponte una
sorta di corte interna, in cui si apre, da ciascun lato, una grande finestra con
una luce di quasi 4 metri, sopra la quale si riconosce l’arco di scarico.
Nel 1532 il ponte divenne dogana di città. Qui, fino all’Ottocento, gli
allevatori di bestiame che entravano a Roma pagavano un tanto a capo.
Sempre nel XVI secolo fu aggiunta a una latrina sporgente e sospesa.
Nel 1849, durante l’assedio di Roma, i francesi fecero saltare parte del ponte,
circa 7 metri, per impedire ai garibaldini provenienti da Monterotondo di
entrare in città. Fu però restaurato nel 1857 dall’architetto Francesco Fontana.
Oggi il ponte si presenta con un grande arco a tutto sesto con una luce di oltre
15 metri, sormontato da una fortificazione medioevale con merli e preceduto su
ogni versante da un archetto di rampa. Questi due archetti potrebbero riferirsi
agli interventi dell’VIII secolo, considerando la tecnica costruttiva, opera
cementizia con vari materiali di spoglio, come blocchi di tufo, frammenti
marmorei, laterizio e selce. Si conserva una sola delle torri merlate medioevali
messe a protezione delle porte che controllavano l’accesso al ponte. L’altra,
invece, era stata distrutta nel Settecento e sostituita da un basso corpo di
fabbrica con copertura a tetto. La larghezza del ponte è di 7,43 metri:
probabilmente è quella originaria, visto che corrisponde a 24 piedi romani.
Per proteggere la sua delicata struttura, il ponte è stato chiuso al traffico
automobilistico nel 1997 e pedonalizzato. L’amministrazione comunale, nel 2002,
ha proceduto a un accurato intervento di restauro conservativo e di
consolidamento dell’intera struttura. In particolari occasioni, il ponte è
aperto al pubblico, che ne può visitare anche le strutture interne.
di
Cinzia Dal Maso
18 aprile 2014
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