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il presepio

 

La nascita si fa ricollegare a S. Gaetano da Thiene, nel 1517

Nel presepe romano la vita dei popolani

I viaggiatori stranieri dell’Ottocento nei diari e impressioni di viaggio tracciarono colorite pagine, descrivendo usi, costumi e tradizioni

Si vuole che il più antico presepe a Roma sia quello di Arnolfo di Cambio (1240-1302) in S. Maria Maggiore. Non si conoscono documenti sui presepi nei secoli XV e XVI. La consuetudine si fa risalire al 1517, riferendola a San Gaetano Thiene. 
Una notizia del 1614 rende noto che un certo Fra Jacono romano donò alle monache di Morlupo il “Bambino et tutti suppellettili del Presepio”. Inoltre, nel 1617 il diarista Vaiena annota che a Roma e nel Lazio l’uso del presepe era diffuso nelle chiese e nei conventi. 
Documentata è l’attività presepista del Bernini per i Barberini.

Con l’avvento del barocco si svilupparono i presepi in Roma, popolati dalle figurine, scolpite in legno, poi in creta, provenienti dalla scuola napoletana, portate da viaggiatori e mercanti. Nacquero così i concerti da presepe come la “Natività” del Corelli, o i mottetti del Nannini.

Cardinali e prelati si dedicarono alla costruzione di colossali presepi e molti palazzi nobili ebbero un salone con la volta e le pareti dipinte a calotta celeste con nubi e con la bocca-scena, in cui durante le feste natalizie si innalzava il presepe.

I presepi romani nel secolo XVIII avevano raggiunto nelle chiese un fasto ed uno splendore tale da dover essere disciplinati dalle autorità ecclesiastiche per gli eccessi del popolo chiassoso e la loro smodata decorazione. Si giunse perfino a stabilire il numero delle lampade che dovevano illuminarli, come riferisce un decreto del 7 settembre 1733 di mons. Sacripanti.

Ricca è la documentazione del presepe a Roma nel secolo XIX, di cui i viaggiatori stranieri nei loro diari hanno lasciato colorite descrizioni.

Meno ricco e affollato di quello napoletano, il presepe romano dell’Ottocento, costruito in sughero e muschio, rappresenta la vita del popolo: compaiono il pizzicagnolo, la trattoria «Dar Turco», con cucina romana, i gendarmi, gli zampognari, i pastori ciociari e molisani, “Pasquino” e i re Magi in carrozzella. Le scenografie si arricchiscono del fondale, dei monti e alberi. Alcuni presepi sono innalzati su portici, terrazze e loggette con lo sfondo naturale del cielo. Si utilizzano misture di colore racchiuse in globi di vetro che, mediante specchi metallici, rifrangono la luce delle fiammelle dei ceri e dei lumi ad olio: la musica popolare è affidata agli strumenti a fiato dei pastori discesi dalle montagne abruzzesi.

L’uso di allestire il presepe si diffonde fra tutti i ceti sociali che fanno a gara nel costruirne con pezzi modellati da modesti scultori o dai lavoranti delle piccole fornaci trasteverine. Dalle nove del mattino al tramonto iniziava la visita ai presepi: i committenti, dopo aver sparso all’ingresso della casa o della bottega qualche foglia di alloro, appendevano sulla porta una corona di mortella.
Il presepe dell’Aracoeli, che primeggia su tutti, prese la forma attuale nel 1851 con i disegni di Luigi Poletti. Poiché le statue erano cadenti - si salvavano soltanto quelle della Vergine e di San Giuseppe, oltre alle teste del bue e dell’asinello - i frati si rivolsero al duca Pio Grazioli, che possedeva il proprio palazzo lì accanto. Il duca sul finire del 1860, affidò allo scultore Luigi Ceccon l’incarico di scolpire dodici statue a grandezza naturale per un compenso di settecentoventi scudi, mentre padre Francesco da Codogno si era assunto l’incarico

 di trasformare lo sfondo della grotta di sughero in una gloria che potesse accogliere i piccoli cantori con i loro strumenti musicali.

Le statue, sei pastori e i Re Magi ciascuno con un valletto, furono rivestite di abiti ricchi e sfarzosi. Lo “sfondo” del presepe fu distrutto nel 1887, in seguito ai lavori per il monumento a Vittorio Emanuele Il. Le vecchie quinte di sughero, perse nel restauro del 1957, furono sostituite dalla grotta in cemento ideata da Nino Delle Site.

Dinanzi al Santo Bambino, con le fasce ricoperte di gioielli, si alternavano, su di un piccolo palco, bambini e bambine, per recitare poesie in suo onore. Al presepe era collegata la tradizione dei sermoni e la benedizione del S. Bambino dall’alto della scalea sul popolo romano, in ginocchio e in adorazione.

I padri di San Francesco a Ripa gareggiavano con i confratelli capitolini. Il loro presepe ebbe vita regolare solo dal 1769. Al cielo, ottenuto con tendoni dipinti, si aggiunsero scene di boschi, monti e capanne, l’Eterno Padre. Una gloria imponente sovrastava la Grotta. Le bacchettine di vetro a tortiglione dette “cresce cala”, in continuo movimento dietro il Bambinello, simulavano il getto dell’acqua delle fontane; le lontananze erano rese con una serie di specchi nascosti tra il muschio e il sughero. La principessa Maria Maddalena Borromei Altieri cucì i vestiti di San Giuseppe, della Vergine e del Bambino Gesù.

Oltre il Tevere un caratteristico presepio, “a giorno”, attirava i curiosi: era quello costruito dal 1827 dall’industriale del mosaico Giuseppe Forti, sulla Torre degli Anguillara. In primo piano era la Grotta in sughero e dai crepacci si scorgeva il paesaggio artificiale fino al parapetto, da cui si vedeva lo sfondo al naturale con in lontananza i colli Albani.

Con lo stesso sistema era stato costruito un altro presepio da un calzolaio, che nel 1802 si visitava nel Rione Regola.

Con l’avanzare del secolo la popolarità dei presepi si fa più frequente; la scalea dell’Aracoeli nelle feste natalizie brulicava di folla e di venditori, S. Andrea della Valle dal 1846 fu meta dello stesso afflusso. Nello stesso anno il canonico Vincenzo Pallotti aveva ottenuto dalla famiglia Torlonia nove grandi figure in dono, opera di Pietro Cantagalli, che formavano l’unica scena dell’Epifania.

Per soddisfare le continue richieste delle figure popolari, i vasai, vascellari, i “bucalettari”, tra i quali deve annoverarsi il padre dei Pinelli, nei mesi antecedenti il Natale lavoravano di gran lena nelle fornaci di S. Maria in Cappella.

L’aristocrazia e la borghesia romana, in gara con la chiesa per offrire alla cittadinanza la migliore riproduzione della notte santa, appendeva grandi corone e festoni di mortella sulle porte delle abitazioni per indicare che la visita del presepe era aperta a tutti.

Sulla fine dell’Ottocento, lo scultore Baldassarre Surdi diede vita a un gigantesco presepe, alla cui realizzazione parteciparono artisti di fama come Cifariello, Monteverdi, Zocchi, Ferrari, Maccagnani. La prima esposizione avvenne nel 1893 in un padiglione in piazza Borghese, su un panorama d’eccezione dipinto dal Ballester.

di Antonio Venditti

 

 

A Roma il Museo del Presepe:
un’arte che accomuna i popoli

Nel cuore di Roma, poco distante dai Fori Imperiali, si nasconde un piccolo tesoro di arte sacra: è il Museo Tipologico Internazionale del Presepio, uno scrigno di meravigliose Natività realizzate nei materiali più disparati, provenienti da diverse regioni del nostro Paese e da tutto il mondo. L’esposizione permanente, curata dall’ "Associazione Italiana Amici del Presepe", ha sede nei sotterranei della bella Chiesa dei Santi Quirico e Giulitta (via Tor de’ Conti, 31 A, tel. 06.6796146).

All’interno del museo sono raccolte sacre rappresentazioni antiche e moderne di grande interesse storico e documentaristico: una straordinaria collezione, che supera i tremila pezzi, tuttora in continua crescita. Come non rimanere a bocca aperta dinanzi a un presepe trapanese del 1600 interamente composto da piccole conchiglie? E che dire dei minuti capolavori incastonati nei gusci di noci? E degli scorci realizzati seguendo a regola d’arte le leggi della prospettiva? Pupazzi di cartapesta, terracotta, vetro soffiato, cera, sughero, ceramica, gesso, latta, legno e persino costruiti con le foglie di mais, il marzapane, la paglia, la mollica di pane, il piombo e lo stagno, costituiscono la preziosa occasione per esplorare il significato che la grande festa del Natale ha assunto durante i secoli nei diversi Paesi del mondo.

La rappresentazione di quella sacra notte raccoglie, come in un quadro variopinto, ancestrali aspetti etnici e culturali, colori e materiali di popoli e terre solo apparentemente lontane, perché accomunate dalle forti radici del medesimo culto.

E’ possibile ammirare, oltre ai classici presepi napoletani e romani dalle pittoresche vedute cittadine, anche esemplari provenienti dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Francia, dalla Germania, dall’Austria, dalla Cecoslovacchia, dalla Svezia, dall’Ungheria, dalla Finlandia, dal Madagascar, dall’Equador, dal Perù, dal Messico. E solo per citarne alcuni. C’è addirittura una sacra rappresentazione ispirata a "I Promessi Sposi", un presepe "manzoniano" in cui sono facilmente riconoscibili tutti i protagonisti del celebre romanzo: Renzo, Lucia, fra’ Cristoforo, Agnese.

L’ "Associazione Italiana Amici del Presepio", fondata nel 1953 da alcuni appassionati cultori di questa antica arte col preciso scopo "di mantenerne viva la tradizione, diffonderla sempre più e studiarne ed evidenziarne tutti gli aspetti, religiosi, storici, artistici, folcloristici e tecnici", organizza durante l’anno mostre e conferenze sull’argomento, oltre ad un interessante corso di tecnica presepistica.

Il museo è aperto al pubblico da settembre a giugno (mercoledì-sabato dalle ore 17.00 alle 20.00) e dal 25 dicembre al 6 gennaio (feriali: 16.00-20.00; festivi: 10.00-13.00 e 16.00-20.00).

di Annalisa Venditti

 

 

La chiesa di S. Maria in Aracoeli aspetta il ritorno del Bambinello

Una delle sculture sacre più venerate di Roma è stata per secoli il Bambinello conservato nella chiesa di S. Maria in Aracoeli. Un religioso francescano l’aveva scolpito a Gerusalemme, forse sul finire del Quattrocento, da un pezzo di legno d’ulivo dei Gethsemani. La tradizione vuole che la statuetta, alta circa 60 centimetri, fosse stata dipinta dalla mano dalla Divina Provvidenza. “La fama dei suoi miracoli – scriveva il Belli – chiama questo Bambino a visitare qua e là gl’infermi disperati di salute, e ciò accade allorché lo stesso corpo di Cristo nell’eucarestia non gli abbia risanati. I Religiosi zoccolanti lo trasportano in cocchio a passo lento”. Si credeva che, in caso di grazia, le sue labbra divenissero rosse, mentre si facevano bianche quando non c’era più speranza. Padre Casimiro Romano racconta, nelle sue “Memorie storiche”, che nel 1647 fu rubata ed i frati si videro costretti a sostituirla con una copia. Una notte, sentirono bussare alla porta del convento, mentre le campane di Roma suonavano festose. Andarono ad aprire e trovarono il Bambinello che, da solo, era tornato a casa: naturalmente, doveva essere stato riportato dal ladro, pentito del suo gesto sacrilego. La copia venne donata al convento francescano di Giulianello presso Cori e si trova ancora nella chiesa parrocchiale del paese.

Da Natale all’Epifania il Bambinello, stretto nelle fasce in tessuto dorato tempestate di gemme, doni ed ex-voto, veniva esposto nello storico Presepe che i frati allestiscono ogni anno dal 1774 nella seconda cappella a sinistra della chiesa di S. Maria in Aracoeli, ricordato in un famoso sonetto del Belli: “L’angeli, li somari, li cammèli, / si li vedete, lì stanno a mijara: / c’è una Grolia che pare la Longara; / e ce se pò contà li sette celi. Indietro c’è un paese inarberato, / dove sarta sull’occhi un palazzino, / che dev’èsse la casa der curato; / e avanti, in su la paja, c’è un bambino, / che manco era accusì bene infasciato / er fio de Napujone piccinino”. Ancora il Belli, in un altro sonetto, descrive il Bambino come “un pupazzo pieno de fiocchetti tempestato de gioje”. Questo Presepe si distingue per due personaggi veramente insoliti: Augusto e la Sibilla Tiburtina, in ricordo della leggenda che vuole la chiesa edificata a seguito di una profezia sibillina ricevuta dal primo imperatore romano. Davanti al presepe dell’Aracoeli i bambini recitavano una breve poesia o un piccolo, ma dotto sermone. “Sono autentiche prediche in grande stile – annotava nel 1853 Ferdinando Gregorovius – alle quali non mancano nemmeno importanti citazioni”.

Nel 1994 la statuetta è stata nuovamente rubata, ma da allora nessuno scampanìo è venuto a rallegrare le notti romane, annunciando il ritorno del Bambinello: tutte le ricerche si sono rivelate vane. Ancora una volta, i fedeli si devono accontentare di una copia.

di Cinzia Dal Maso

 

DUE SONETTI DEL BELLI DESCRIVONO LA SACRA RAPPRESENTAZIONE

"Anche Augusto e la Sibilla
nel presepe dell’Ara Coeli

Semo stati a vvedé ssu a la Rescèli / er presepio, ch’è ccosa accusí rrara, / che ppe ttiené la ggente che ffa a ggara / ce sò ssei capotori e ddu’ fedeli". Così inizia un celebre sonetto di Giuseppe Gioachino Belli del 27 dicembre 1932 dedicato a uno dei più belli e amati presepi romani, quello allestito ogni anno fin dal 1774 dai frati zoccolanti nella seconda cappella a sinistra della basilica di Santa Maria in Ara Coeli. Il poeta, per bocca di un popolano, descrive con toni ammirati e vivaci la ricchezza della sacra rappresentazione, che ancora oggi attrae un gran numero di fedeli, disposti a inerpicarsi sui 124 gradini di marmo che portano alla chiesa. "L’angeli, li somari, li cammeli, / si li vedete, llí stanno a mmijjara: / c’è una Grolia che ppare la Longara; / e cce se pò ccontà lli sette sceli". Certo il popolano esagera, parlando di migliaia di angeli, somari e cammelli e paragonando il fondale a una delle strade più lunghe e dritte della vecchia Roma. Non mancano nemmeno gli anacronismi: "Indietro sc’è un paese inarberato /  dove sarta sull’occhi un palazzino, / che ddev’èsse la casa der curato". Ecco ora la descrizione dell’elemento più importante: "e avanti, in zu la pajja, sc’è un bambino, / che mmanco era accusí bbene infassciato / er fío de Napujjone piccinino". Si riferisce al veneratissimo Bambinello, scolpito a Gerusalemme, alla fine del Quattrocento, da un religioso francescano, da un pezzo di legno d’ulivo dei Gethsemani. Secondo una pia tradizione, la statuetta, alta circa 60 centimetri, sarebbe stata dipinta dalla mano dalla Divina Provvidenza. "La fama dei suoi miracoli – scriveva il Belli – chiama questo Bambino a visitare qua e là gl’infermi disperati di salute, e ciò accade allorché lo stesso corpo di Cristo nell’eucarestia non gli abbia risanati. I Religiosi zoccolanti lo trasportano in cocchio a passo lento". Si credeva che, in caso di grazia, le sue labbra divenissero rosse, mentre si facevano bianche quando non c’era più speranza. Padre Casimiro Romano racconta, nelle sue "Memorie storiche", che nel 1647 fu rubata ed i frati si videro costretti a sostituirla con una copia. Una notte, sentirono bussare alla porta del convento, mentre le campane di Roma suonavano festose. Andarono ad aprire e trovarono il Bambinello che, da solo, era tornato a casa: naturalmente, doveva essere stato riportato dal ladro, pentito del suo gesto sacrilego. La copia venne donata al convento francescano di Giulianello presso Cori e si trova ancora nella chiesa parrocchiale del paese.

Da Natale all’Epifania il Bambinello, stretto nelle fasce in tessuto dorato tempestate di gemme, doni ed ex-voto, veniva esposto nel Presepe. Purtroppo nel 1994 la statuetta è stata nuovamente rubata, ma stavolta non è tornata a casa: tutte le ricerche si sono rivelate vane. Ancora una volta, i fedeli si devono accontentare di una copia.

Il Belli aveva parlato di altri personaggi del presepe dell’Ara Coeli in un altro sonetto del gennaio dello stesso anno: "Er boccetto in perucca e mmanichetti / è san Giuseppe spóso de Maria. / Lei è cquella vestita de morletti / e de bbroccato d’oro de Turchia".  Continua il popolano: "Cuello a mezz’aria è ll’angelo custode /  de Ggesucristo; e cquelli dua viscino, / la donna è la Sibbilla e ll’omo Erode. /  Lui disce a llei: «Dov’ello sto bbambino / che le gabbelle mie se vò ariscòde?». / Lei risponne: «Hai da fà mórto cammino»". In questo antico presepe ci sono infatti due personaggi veramente insoliti, che non sono però Erode e la Sibilla, come credeva il protagonista del sonetto. Si tratta di Augusto e della Sibilla Tiburtina, posti a ricordo della leggenda medioevale secondo la quale la chiesa sarebbe stata edificata in seguito alla profezia ricevuta dal primo imperatore di Roma. A quest’ultimo la Sibilla avrebbe annunciato la nascita di Cristo, mostrandogli l’altare del figlio di Dio.

Davanti al presepe dell’Aracoeli i bambini recitavano una breve poesia o un piccolo, ma dotto sermone. "Sono autentiche prediche in grande stile – annotava nel 1853 Ferdinando Gregorovius – alle quali non mancano nemmeno importanti citazioni".

di Cinzia Dal Maso e Antonio Venditti

 

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