GIOVANNI PAOLO II: ANEDDOTI E
CURIOSITA' |
Nelle
Grotte Vaticane
venti secoli di storia
Ora accolgono anche le
spoglie di Giovanni Paolo II, in una cappella
con un rilievo
rinascimentale attribuito a Luigi Capponi
Dal
pilone di San Longino, una scala permette di scendere dalla Basilica
di San Pietro alle Sacre Grotte Vaticane, il suggestivo ambiente
sotterraneo con poderose volte ribassate che occupa lo spazio tra il
livello della primitiva basilica costantiniana e il pavimento della
chiesa attuale. L’idea di rialzare la quota della nuova San Pietro
non faceva parte degli originari progetti rinascimentali e fu
determinata dalla necessità di proteggere la nuova fabbrica dalle
inondazioni. Fu probabilmente Giacomo della Porta a concepire un
sopralzo mediante una cripta e Gregorio XIII (1572-85) diede inizio
alla costruzione delle Grotte, tre navate con volte a crociera su
pilastri quadrati che corrono per circa 50 metri sotto la grande
nave centrale della Basilica, integrate da grandi locali con volte a
botte e altri ambienti: queste sono chiamate Grotte Vecchie, per
distinguerle dalle Nuove, volute da Clemente VIII (1592-1605), che
si trovano in corrispondenza della cupola michelangiolesca e hanno
come fulcro la sepoltura dell’Apostolo. Si deve infatti a questo
Pontefice la realizzazione di un corridoio semianulare, o peribolo,
che tramite un braccio trasversale conducesse alla Tomba di Pietro,
più esterno e molto più ampio di quello voluto da Gregorio Magno
alla fine del VI secolo. Il braccio trasversale clementino si
congiunse a quello di Gregorio Magno, opportunamente ampliato, e
venne a formare un oratorio, dedicato ai Santi Pietro e Paolo, ma
ben presto denominato Cappella Clementina. In seguito furono
aggiunti al nuovo peribolo i corridoi che portano ai quattro oratori
ricavati nei pilastri della cupola (di S. Veronica, S. Elena, S.
Longino e S. Andrea) e cinque cappelle.
Intanto, nel 1592, le Grotte Vecchie venivano
dirozzate e ricevevano una prima sistemazione muraria, mentre l’anno
seguente si procedeva alla loro pavimentazione, fino ad allora
rimasta quella dell’antica Basilica, ma assai rovinata e rappezzata
in molti punti.
Le Grotte erano diventate l’unico punto da cui
raggiungere la Tomba di Pietro e così la nuova Basilica risultava
staccata dal suo luogo più venerato, dal suo centro ideale, che
poteva essere appena intravisto da una grata sul pavimento. La
soluzione giunse dopo una serie di studi e proposte, durante il
pontificato di Paolo V (1605-21), che la vigilia di Natale del 1615
inaugurò l’apertura a esedra circondata da balaustra davanti alla
Confessione, opera di Carlo Maderno, cui si devono anche le due
rampe marmoree attraverso le quali si giunge davanti alla nicchia
dei Palli, ossia la parte inferiore di una piccola memoria eretta
nel II secolo sulla Tomba Apostolica.
Allo stesso papa Borghese si deve la decisione
di utilizzare le Grotte per raccogliere i frammenti dei tanti
monumenti che ornavano la primitiva Basilica e venivano
impietosamente smantellati e in gran parte dispersi. Il grandioso
ipogeo cominciò a diventare quella straordinaria raccolta di
preziosi cimeli che ancora oggi possiamo ammirare.
Le Grotte assunsero l’aspetto attuale solo nel
secolo scorso, quando Pio XI (1922-39) espresse il desiderio di
essere sepolto presso la tomba di S. Pio X (1903-14), che si trovava
nella parte meno alta dell’ambiente. Sotto il pontificato di Pio XII,
nel 1939, venne dato l’avvio a importanti lavori di scavo, di
ampliamento e di valorizzazione, con l’aggiunta di nuovi ambienti e
l’abbassamento del pavimento di circa ottanta centimetri. Si
esplorarono sei grandi vani sul fianco meridionale della navata
sinistra, che fino ad allora erano rimasti completamente interrati,
le attuali Sale Archeologiche. A soli 20 centimetri di profondità si
trovò il pavimento della Basilica Costantiniana e immediatamente al
di sotto tornò alla luce una necropoli romana la cui importanza fu
subito evidente.
Dopo lo scavo della necropoli, il vecchio
pavimento delle Grotte fu sostituito da un solaio a quota minore e a
due diversi livelli.
A
Giovanni Paolo II (1978-2005) si deve l’apertura del grande arco
sulla parete occidentale della navata centrale che permette di
vedere la parte frontale della Confessione con la nicchia dei Palli,
inaugurata il 16 ottobre 1979, primo anniversario del pontificato di
papa Wojtyla. Nella parte superiore dell’arco è murato un
cartiglio di marmo in cui si ricorda ai fedeli che sono davanti al "Sepulcrum
Sancti Petri Apostoli". Ai lati dell’apertura sono stati sistemati
due bellissimi angeli ad altorilievo, provenienti dal monumento
funebre di Bonifacio VIII (1295-1303). A livello del pavimento, due
leoni marmorei medioevali che dovevano ornare il sarcofago di Urbano
VI (1378-89).
La visita delle Grotte costituisce un singolare
itinerario attraverso venti secoli di fede, di storia e d’arte,
raccontati dalle tombe di Pontefici e Cardinali, re e regine,
sarcofagi paleocristiani, frammenti architettonici e monumenti
dell’antica Basilica, rilievi, mosaici, immagini sacre, dipinti,
statue e lapidi.
Tra i dipinti, non si possono dimenticare la
duecentesca "Madonna in trono e angeli" della scuola di Jacopo
Torriti, una Madonna con il Bambino di Pietro Cavallini (XIV sec.) e
un’altra della scuola del Perugino (XV sec.).
Straordinarie sono le statue quattrocentesche
di Apostoli sistemate nel Peribolo Clementino, attribuite a Matteo
del Pollaiolo, a Giovanni Dalmata e a Mino da Fiesole, come pure la
quattrocentesca pala d’altare marmorea di Isaia da Pisa. A Luigi
Capponi la maggior parte dei critici assegna il rilievo
rinascimentale con la Madonna, il Bambino e due angeli che veglia
sulla semplice sepoltura di Giovanni Paolo II.
Tanti i sarcofagi paleocristiani riutilizzati
per deporvi Pontefici o altri personaggi di rilievo, come Pio III
(1503), Urbano VI (1378-89) o Pio VI (1775-99).
La cassa marmorea con la figura giacente di
Paolo II (1464-71) ci può solo far intravedere la maestosità del
monumento funebre di cui costituiva l’elemento centrale, eseguito da
Mino da Fiesole e Giovanni Dalmata. Da altri celebri monumenti della
Basilica costantiniana provengono il sarcofago di Bonifacio VIII
(1294-1303), di Arnolfo di Cambio, e il sepolcro di Niccolò V
(1447-55).
Nel corridoio di uscita dalle Grotte, un’antica
statua marmorea di San Pietro, riadattamento di un’immagine di
filosofo del II sec. d.C., sembra voler salutare i visitatori con
una paterna benedizione.
di Cinzia
Dal Maso
Futuri giornalisti all’Urbaniana
"Non abbiate paura di
raccontare la verità!", così Giovanni Paolo II nella sua ultima
Lettera Apostolica ammoniva i responsabili delle comunicazioni
sociali. Proprio ai giornalisti Papa Benedetto XVI
ha dedicato la prima delle sue udienze ufficiali.
Formare
alla comunicazione e a un utilizzo critico dei mass media è una
delle grandi sfide che la Chiesa è chiamata ad affrontare nel Terzo
millennio. Conoscere e capire i meccanismi che regolano
l’informazione è fondamentale per una comprensione adeguata del
nostro presente.
Lo
sanno bene gli allievi del Centro Comunicazioni Sociali della
Pontificia Università Urbaniana che, nei giorni scorsi, insieme al
loro coordinatore, Padre Claudio Pighin, docente di Pastorale della
Comunicazione, con la guida del dott. Tommaso Trombini, dell’ufficio
servizi tecnici del Centro di produzione Rai di Roma, hanno visitato
gli studi di Saxa Rubra.
Un’occasione importante a cui le giovani leve dell’Urbaniana,
impegnate nella missione e nella evangelizzazione, hanno risposto
con entusiasmo e interesse. E la curiosità che contraddistingue i
veri giornalisti.
di Annalisa
Venditti
L’Albero di Natale
illumina piazza S. Pietro
L’albero
che da qualche giorno giganteggia nella Piazza San Pietro a fianco
del grande Presepe in allestimento, così come gli altri trenta abeti
sparsi in Vaticano, proviene quest’anno dall’Alta Austria. In
occasione dei cinquecento anni della chiesa parrocchiale della
cittadina di Eferding, è stato
donato dalla famiglia Starhemberg,
che in uno splendido castello gestisce un’azienda forestale privata.
L’accensione ufficiale dell’albero di Piazza San Pietro ha avuto
luogo sabato scorso. Ad effettuarla è stato Jürgen
Lengauer, un ragazzo di undici anni che qualche mese fa ha
salvato il fratello di due anni dall’annegamento e che lunedì scorso
ha acceso nella Chiesa della Natività di Betlemme la "Luce della
Pace".
Alto ben 30 metri, l’abete austriaco proviene
dall’abitato di Afiesl, nella zona di Muhlviertel, nel nord della
Stiria. Gli altri trenta abeti donati alla Santa Sede, alti 3 metri,
sono stati consegnati dall’Alta Austria per le stanze private del
Santo Padre, per i giardini del Vaticano, per le sale riservate ai
Cardinali e per l’ambasciata austriaca. Due alberi di sei metri
abbelliscono le sale delle udienze del Santo Padre.
E’ stato per primo Giovanni
Paolo II, nel 1982, a volere in Piazza San Pietro l’albero di Natale
e un maestoso Presepe. Una delegazione austriaca,
guidata dal Vescovo di Linz MonsignorLudwig
Schwarz, dal Vescovo emerito Monsignor Maximilian
Aichern e dal Presidente dell’Alta Austria, Josef
Pühringer, ha fatto visita sabato al Santo Padre Benedetto XVI.
All'incontro hanno partecipato anche i membri del coro e della
cappella di Eferding e un gruppo folcloristico femminile.
"A Natale riecheggia in ogni parte del globo il
lieto annunzio della nascita del Redentore: l’atteso Messia si è
fatto uomo ed è venuto in mezzo a noi", ha spiegato il Pontefice nel
suo discorso. ''Con la sua luminosa presenza – ha sottolineato il
Santo Padre - Gesù ha dissipato le tenebre dell'errore e del peccato
ed ha recato all'umanità la gioia della sfolgorante luce divina, di
cui l'albero natalizio è segno e richiamo".
"Nella forza di questo albero – ha voluto
ricordare - si riflette quella della gente dei monti. Anche questo
abete, dalla sua nascita ad oggi, ha superato certamente venti forti
e bufere tempestose, raggiungendo così la sua attuale grandiosità e
bellezza. Il popolo dell’Alta Austria nell’offrire quest’anno
l’abete vuole esprimere il proprio affetto al Santo Padre,
l’ammirazione per il suo ministero apostolico nei confronti della
Chiesa e del mondo, il proprio attaccamento alla Chiesa ed alla sede
apostolica".
"Credere a Cristo – ha concluso Benedetto XVI - significa lasciarsi
avvolgere dalla luce della sua verità che dà pieno significato,
valore e senso alla nostra esistenza, giacché proprio rivelandoci il
mistero del Padre e del suo amore Egli svela anche pienamente l’uomo
a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione".
di Annalisa
Venditti |
Quando San Pietro era un filosofo
"E
io ti dico che sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia
Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Ti
darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla
terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra
sarà sciolto nei cieli".
Con queste parole Gesù affidava
all’amato apostolo, umile pescatore di Galilea, il compito di
gettare le fondamenta della sua Chiesa.
Una statua del primo Papa è conservata
nel corridoio di uscita delle Grotte Vaticane, al di sotto
dell’attuale Basilica di San Pietro. "Nel
1979 – è scritto in latino su un’epigrafe poco distante – essendo
sommo pontefice Giovanni Paolo II, questa antichissima statua del
Principe degli apostoli, già restaurata da Pio XII nel 1949, venne
collocata in questa sede rinnovata e resa più decorosa"
E’ un’imponente scultura marmorea, di
proporzioni leggermente maggiori del naturale, che immortala San
Pietro nel significativo gesto della benedizione. La posizione della
figura e il panneggio della veste tradiscono, però, il primitivo
significato dell’immagine: nata per rappresentare un filosofo,
probabilmente un seguace del greco Epicuro, come testimoniato da
esemplari stilisticamente analoghi, l’opera venne mutata nel
Medioevo in quella del primo Papa. Secondo alcuni studiosi, la testa
– caratterizzata dai riccioli a chiocciola di barba e capelli – è
attribuibile al celebre artista Arnolfo di Cambio, cui la tradizione
lega anche la statua bronzea conservata all’interno della Basilica e
tutt’oggi al centro di una straordinaria venerazione. Nella mano
sinistra Pietro tiene, laddove un tempo si trovava il tipico rotolo
dei filosofi, le chiavi del Regno dei Cieli. Sostanziali modifiche
interessarono anche il braccio destro, oggi intento a benedire.
Successivi restauri avvennero nel Settecento e nell’Ottocento.
Entrambe le sculture, per la festa del Santo, celebrata il 29
giugno, venivano sin dall’antichità solennemente vestite del piviale
e della mitra papale. Con ogni probabilità, agli inizi del Trecento,
la statua marmorea si trovava nel quadriportico dell’antica
Basilica, all’interno di un tabernacolo pensile collocato sopra il
portale, davanti la Porta Argentea. In seguito ai rifacimenti
strutturali del 1600, la scultura venne posta nelle Grotte Vecchie.
Successivamente, ad opera di Benedetto Drei, fu spostata nella
Cappella di San Paolo, poi detta della "Bocciata", e collocata su un
trono: un piccolo podio con protomi leonine che presentava raffinate
decorazioni cosmatesche di riuso. A Pio XII, che volle collocarla in
fondo alla navata mediana delle grotte, si deve un nuovo restauro.
L’attuale posizione risale ai primi
anni di pontificato di Carol Wojtyla.
di Annalisa
Venditti
“Habemus Papam”, la storia dei
Conclavi
Ai
complessi e suggestivi rituali che nella Chiesa cattolica
accompagnano la morte di un Pontefice e la proclamazione del suo
successore è dedicata la mostra “Habemus Papam. Le Elezioni
Pontificie da S. Pietro a Benedetto XVI”, ospitata dal 9 dicembre
2006 al 7 aprile 2007 nelle sale del Museo Storico Vaticano sito
nell’Appartamento di Rappresentanza del Palazzo Apostolico del
Laterano.
I Musei Vaticani e il Centro Europeo per il Turismo, organizzatori
della prestigiosa esposizione, curata da Francesco Buranelli, hanno
inteso ripercorrere le motivazioni religiose e storiche di un
avvenimento le cui radici affondano nel misticismo medioevale e
nell’antica tradizione imperiale romana e che ha nel Conclave uno
dei suoi momenti culminanti. Attraverso opere di alto valore
storico-artistico, come sarcofagi paleocristiani, preziosi vetri
dorati di epoca romana, la teca reliquiario di Pasquale I,
proveniente dal Sancta Sanctorum, le statue della Maiestas Domini
della Confessione dell’antica basilica di S. Pietro ed alcuni
rarissimi documenti dell’Archivio Segreto Vaticano, sarà possibile
ripercorrere la progressiva elaborazione di quel lungo e delicato
processo che ha portato alla formazione della Chiesa Romana e
all’idea del primato petrino.
Incisioni e stampe illustrano le tradizioni
inerenti le esequie, il conclave e l’elezione del nuovo Pontefice,
permettendo di ripercorrere gli aspetti più significativi di un
rituale dall’alto valore spirituale, in occasione del quale i
cardinali, riuniti in Conclave, si dispongono ad ascoltare la parola
di Dio per eleggere il successore di Pietro.
Il significato del termine Conclave (da cum clave), che
originariamente indicava una zona interna della casa, chiusa a
chiave, è stato ampliato nel linguaggio ecclesiastico intendendo con
tale vocabolo sia il luogo dove si riuniscono i cardinali in
clausura, sia l’assemblea dei cardinali elettori. Fu Papa Niccolò II
nel 1059 a fissare le prime regole per l’elezione del Pontefice con
il decreto “In nomine Domini”, sebbene le procedure abbiano subito
varie modifiche nel corso dei secoli.
Il primo conclave si tenne nel 1241, quando l’assemblea dei
cardinali fu reclusa nel Septizonio dal senatore Matteo Orsini per
eleggere Celestino IV. Nel 1268 i cardinali si riunirono invece a
Viterbo per eleggere Clemente IV.
Giovanni Paolo II ha promulgato il 22 febbraio 1996 la costituzione
apostolica Universi Dominici Gregis aggiornando le norme che
regolano la “vacanza della sede apostolica”, cioè l’intervallo di
tempo che intercorre tra la morte di un Papa e l’ elezione del suo
successore.
Preziosi documenti d’archivio, piante di conclave con la
distribuzione delle celle che ospitavano i Cardinali, immagini di
festeggiamenti e prese di possesso dei Pontefici, dipinti, inusuali
cimeli, abiti d’epoca, ritratti e una serie di oggetti quali anelli
piscatori, tiare, flabelli e troni, alcuni dei quali esposti per la
prima volta, contribuiranno ad illustrare quel complesso e
misterioso cerimoniale che da sempre desta una grande attenzione.
I visitatori potranno conoscere aspetti e personaggi particolari,
come quella del Cardinale camerlengo a cui durante la Sede Vacante
era affidato il governo della Chiesa e che doveva provvedere ad
organizzare il Conclave. La più antica ed importante dignità laica
pontificia era, invece, la carica di Maresciallo del Conclave e
Custode di Santa Romana Chiesa che aveva il compito di controllare
la sicurezza e la riservatezza del Conclave. Tale carica, conferita
ad importanti casate romane come i Conti, gli Orsini e i Colonna,
dal 1430 passò nelle mani della famiglia Savelli; dal 1712 fu
assegnata ai Chigi che l’hanno mantenuta fino a quando fu soppressa
da Paolo VI nel 1963.
Le opere provengono da numerosi enti quali i Musei Vaticani,
l’Archivio Segreto Vaticano, la Basilica di S. Paolo fuori le Mura,
la Biblioteca Apostolica Vaticana, il Capitolo della Arcibasilica di
S.Giovanni in Laterano, il Capitolo della Patriarcale Basilica di S.
Pietro in Vaticano, l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del
Sommo Pontefice, il Museo di Roma, il Museo di Palazzo Chigi di
Ariccia e da varie collezioni private.
L’esposizione sarà completata da un video sui conclavi del Novecento
la cui realizzazione è stata curata con il supporto di Rai3 e del
Centro Televisivo Vaticano.
Il catalogo - edito da De Luca Editori D’Arte - raccoglie saggi,
schede ed immagini relative alle opere in mostra.
La mostra, che ha il sostegno della Presidenza della Provincia di
Roma e dell’Assessorato alla Cultura della Regione Lazio, è aperta
dal lunedì al sabato, dalle 9 alle 16,45. E’ chiusa l’8, il 25 e il
26 dicembre; il 1° e il 6 gennaio; il 19 marzo.
di Antonio Venditti
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GIOVANNI PAOLO II: MANIFESTAZIONI IN
RICORDO |
In libreria "La bottega dell’orefice"
La Colosseo Editoriale (e-mail: menaglialibri@libero.it) ha
presentato in questi giorni la ristampa de "La bottega dell’orefice", riduzione
per l’adattamento teatrale curata da Mario Di Nardo di un testo scritto nel 1956
da Carol Wojtyla con lo pseudonimo Andrzej Jawien. E’ la storia di due coppie,
di due matrimoni, di due amori diversi che si agitano sullo sfondo della seconda
guerra mondiale e degli scempi nazisti. Ma "la bottega dell’orefice" è
soprattutto un’intensa metafora delle nozze, unione eterna e indissolubile che
deve vincere la fragilità dei sentimenti umani. Il giovane Wojtyla la scrisse in
quegli anni in cui era attivamente impegnato nel clandestino "Teatro Rapsodico"
di Cracovia che, nonostante l’occupazione tedesca della Polonia, continuava a
tenere le sue rappresentazioni in case private."Quando la lessi per la prima
volta – spiega Di Nardo – mi resi conto che l’opera, nella sua ricerca di
valori morali e universali, conteneva quegli elementi drammaticamente
spettacolari che sono essenziali per trasferire un messaggio allo spettatore.
Così un giorno salii le scale dei Palazzi Apostolici per raggiungere la Libreria
Editrice Vaticana, ente delegato alla sovrintendenza delle opere letterarie del
Pontefice. Chiesi ad un monsignore preposto all’ufficio cosa dovessi fare per
ottenere l’autorizzazione a trarre dal testo del Papa una sceneggiatura per uno
spettacolo televisivo o cinematografico. Il prelato rispose che già erano state
presentate ottanta richieste dello stesso tipo. Mi avviai perplesso verso
l’uscita. Ma, giunto sulle scale, pensai: "Perché non possono essere
ottantuno?". Tornai sui miei passi. Il monsignore, rivedendomi, commentò: "Lei è
un uomo di fede". Così preparai una sceneggiatura, e la presentai, superando
tutti gli altri concorrenti". Il testo del giovane Wojtyla venne pubblicato
per la prima volta nel 1960 sulla rivista polacca "Znak". Al 1988 risale invece
la sceneggiatura, sempre curata da Mario Di Nardo, per la versione
cinematografica dell’opera, diretta da Michael Anderson, con Burt Lancaster,
Andrea Occhipinti, Olivia Hussey, Jo Champa e Andrei Bednarsky. "Si può
ritenere però – sottolinea oggi Di Nardo - che il mezzo più idoneo ad
esprimere compiutamente le caratteristiche dell’opera sia la rappresentazione
teatrale, perché solo il teatro ha un pubblico in senso proprio. Ne ‘La bottega
dell’orefice’, con l’essenzialità scultorea che può richiamare, semmai, la
tragedia greca, dove tutto è talmente concentrato da richiedere spesso l’impiego
della narrazione, pochissimi personaggi – due per ogni tempo e quasi mai
dialoganti fra loro – rivivono invece nella memoria o patiscono in sofferta
meditazione i momenti del loro agire, pur nella costante consapevolezza della
presenza dell’interlocutore". Alcuni passi del volume (137 pagine, euro
10,00) verranno letti e commentati nel corso dell’Intervista possibile di
"Questa è Roma!", la trasmissione ideata da Maria Pia Partisani in
onda ogni sabato mattina, dalle 11.00 alle 12.00, su Nuova Spazio Radio (88.150)
di Annalisa Venditti
"Oltre la soglia della
speranza"
 Domani
alle ore 19.00, nella sala consiliare di palazzo Santa Chiara di San
Marco Argentano (Cosenza), si terrà la premiazione del Concorso
Internazionale di poesia e narrativa "Oltre la soglia della speranza".
Il concorso, istituito dal Centro Studi "Vintar" per la Cultura e la
Comunicazione, vuol essere un omaggio a Giovanni Paolo II ed è
ispirato all'Enciclica di Benedetto XVI, "Spe salvi". La Giuria ha
valutato un gran numero di lavori, inviati da ogni parte del mondo e
precisamente da Argentina, Australia, Brasile, Bulgaria, Canada,
Cile, Colombia, Cuba, India, Italia, Malta, Messico, Nicaragua,
Perù, Polonia, Portogallo, Repubblica Domenicana, Slovenia, Spagna,
Stati Uniti, Svizzera, Uruguay e Venezuela.
L’ambito riconoscimento, per
la poesia d’ispirazione religiosa, sarà consegnato al rev. prof.
Antonio Staglianò, dottore in Teologia (Pontificia Università
Gregoriana), in Filosofia (Università della Calabria) e autore di
numerose pubblicazioni. Per la poesia inedita sarà premiato
l’architetto Jesús Ascaso Alcubierre, nato
in Saragozza (Spagna). Ha conseguito il Baccalaureato scientifico
nel Collegio Tajamar di Madrid (Spagna), la Licenza in Architettura
nell’Università di Siviglia (Spagna) e la Licenza in Teologia presso
l’Università della Santa Croce in Roma.
Per la narrativa inedita, il
premio è stato conferito alla nostra giornalista Annalisa Venditti,
nata a Roma, dove vive e lavora. Laureata in Lettere classiche, è
già stata insignita in Campidoglio del Premio Personalità Europea
2006. E’ professoressa di "Teoria e tecniche del linguaggio
giornalistico" alla Pontificia Università Urbaniana di Roma. Ha
tenuto lezioni a Roma all’Università di Tor Vergata e alla Libera
Università San Pio V. Collabora a programmi televisivi di
informazione e intrattenimento di Rai Uno e di Rai Tre come autore
testi. Consegnerà il premio - Famulatus,
un artistico trittico bronzeo realizzato dallo scultore Eduardo
Bruno - Nella Mari, responsabile dei Servizi Educativi della
Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici
della Calabria.
Tra le tesi di Laurea, è
stata premiata quella del rev. dott. Wojciech Weckowski. Nato a
Tuchola in Polonia, insegna comunicazione sociale e PR nel Seminario
Maggiore e nell’Università Privata a Gdansk, in Polonia.
Alla manifestazione,
condotta da Silvio Rubens Vivone, prenderanno parte Virginia
Mariotti, assessore comunale alla cultura di San Marco Argentano;
Eduardo Bruno, presidente del Centro Internazionale di Studi
sull’arte normanno-sveva; Viviana Manfredi, presidente del C.I.F.,
sezione di San Marco Argentano; Umberto Tarsitano, giornalista e
presidente del Centro Studi "Vintar" e Antonietta Converso,
dirigente scolastico.
di Cinzia
Dal Maso
Il Papa che sale “all’Altare di Dio”
Le foto di Vittoriano Rastelli ai Musei Capitolini raccontano Karol
Wojtyla
 Centocinquanta
fotografie, firmate dal noto fotografo Vittoriano Rastelli, sono le
tessere di un mosaico che vuole raccontare in tutta la sua interezza
un uomo eccezionale, che ha segnato un’era: Giovanni Paolo II.
“All’Altare di Dio” è la grande mostra che si apre oggi ai Musei
Capitolini (Palazzo Caffarelli) - visitabile fino al prossimo 25
settembre - promossa da Roma Capitale, assessorato alle politiche
culturali e centro storico - Sovraintendenza ai Beni Culturali. Il
patrocinio è della Fondazione “Duc in Altum”, presieduta Lorenzo
Gulli, già vaticanista e dirigente RAI, il cui presidente onorario è
il cardinal Stanislaw Dziwisz, segretario privato di Giovanni Paolo
II. L’organizzazione è curata dalla Società 06Event Srl, con i
servizi museali di Zètema Progetto Cultura. Curatore culturale della
mostra è Carlo Orichula.
Alla presentazione della mostra è intervenuto anche Giuseppe Lepore,
presidente del Centro Europeo per il Turismo.
Non si tratta di foto ufficiali e paludate, ma di istantanee che
hanno colto il pontefice nei momenti più significativi del suo lungo
apostolato descrivendone l’immensa umanità e l’incredibile capacità
comunicativa: con i poveri e i sofferenti, con i bambini di tutte le
razze e condizioni, sotto il sole e in mezzo alla neve, o mentre un
soffio dispettoso di vento gli butta la mantellina in faccia.
“Quest’uomo – ha spiegato Umberto Broccoli, sovrintendente ai Beni
Culturali del comune di Roma – è diventato memoria collettiva e il
suo ricordo è diventato ancora più struggente per chi ha avuto la
fortuna di stringergli la mano”.
Gli scatti di Rastelli non restituiscono solo momenti degli eventi
religiosi presieduti dal Papa: l’autore guarda soprattutto
all’interiorità dell’uomo che ne è al centro, incarnando anche in
mezzo a folle oceaniche uno stretto rapporto con Dio e con gli
uomini. Vediamo allora la preghiera, la riflessione, il
raccoglimento, la meditazione di Giovanni Paolo II. I primi piani
del volto e dei gesti del Pontefice ne rivelano la natura più
intima, con espressioni intense e significative, nelle quali si
riconoscono la gioia, il dolore, la soddisfazione, il compiacimento,
la compassione.
“Karol Wojtyla ci ha regalato ogni volta emozioni eccezionali, in un
percorso fatto di centinaia di visite parrocchiali, di appuntamenti
sempre affollati, di forte comunicazione e di rivoluzioni,
cambiamenti nel linguaggio ma non solo, pensati per avvicinare la
gente e, soprattutto, i suoi giovani, i Papaboys”, ha detto
l’assessore alle politiche culturali e centro storico Dino Gasperini.
“Rastelli – ha aggiunto – è un artista vero, un fotografo a tutto
tondo. In 150 scatti di profonda umanità ha descritto un pontificato
lunghissimo”.
Le foto sono accompagnate da dettagliate descrizioni in italiano,
polacco e inglese, mentre, grazie alla collaborazione con la RAI,
sono proiettati diversi video sulla la vita, gli insegnamenti ed il
percorso di fede di papa Giovanni Paolo II, ma soprattutto sui
viaggi, i grandi discorsi, gli incontri istituzionali con le più
grandi autorità ecclesiastiche e politiche e l’infinito abbraccio di
Karol Wojtyla ai giovani, il suo popolo. Dai giovani il Papa traeva
ispirazione e forza, donando loro un grande orizzonte ideale per la
vita e un incoraggiamento a non avere paura del futuro. Per loro ha
istituito la Giornata Mondiale della Gioventù e le fotografie hanno
immortalato questi eventi epici in cui milioni di giovani
provenienti da tutto il mondo si riunivano rapiti dalla calma, dalla
fermezza, dall’innovazione e dalla modernità delle parole di un uomo
unico che ha segnato la storia e cambiato la vita di fedeli e non
credenti, offrendo loro una nuova prospettiva.
“La scelta di questa mostra – ha specificato il sindaco Giovanni
Alemanno – non è solo di carattere pubblicitario, per ricordare un
evento. Vogliamo rendere presente Giovanni Paolo II partendo dalla
sua umanità. La vogliamo rendere viva e presente a tutte le età e a
tutte le condizioni, anche a chi non è cattolico. Papa Wojtyla che
benedice Roma è un’immagine potente, indimenticabile. L’obiettivo
della mostra è anche quello di rievocare la particolare capacità di
comunicazione con tutti i popoli della Terra, che hanno trovato in
lui una figura di straordinaria forza nel trasmettere la bellezza
della fede e dei valori ad essa connessi”.
Nella mostra mancano le immagini, impresse nella memoria di tutti,
degli ultimi anni di Giovanni Paolo II, pesantemente segnati
dall’avanzare della malattia: una scelta voluta e condivisa
dall’autore e dai curatori. Del Papa viene mostrato il corpo sano,
in qualche misura specchio di quello trasfigurato che accoglie le
anime elette dopo la morte. D’altro canto, per mostrare il rapporto
del Papa con la sofferenza non era necessario farlo vedere malato:
infatti ben pochi hanno saputo avvicinarsi alla sofferenza dell’uomo
con tanta umiltà e sentimento come lui, che voleva sempre malati e
disabili in prima fila, per incontrarli uno ad uno.
Giovanni Paolo Il è diventato un vero e proprio cittadino del mondo,
ha conosciuto popoli e paesi, ha capito e interpretato tutte le
lingue ed ha colto in ogni cultura, anche in quelle apparentemente
più distanti dal cristianesimo, le radici comuni che rendono gli
uomini e le donne di ogni civiltà e condizione fratelli e sorelle.
Gli scatti di Vittoniano Rastelli che si aprono su mondi e volti
così diversi tra loro sembrano fare propria quella famosa
esortazione lanciata da Giovanni Paolo II sin dal suo primo discorso
del 1978, diventata subito il motto del suo pontificato e la chiave
per costruire una rete di relazioni capace di superare i confini tra
gli Stati e regalare ai popoli coesione e fiducia: “Non abbiate
paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo, alla Sua salvatrice
potestà, aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come
quelli politici, i vasti campi di cultura, civiltà e di sviluppo”.
In più di 100 viaggi apostolici oltre i confini italiani papa
Wojtyla ha portato a compimento un progetto missionario di vasto
respiro, per portare il Vangelo a tutte le genti e costruire un
ponte tra nazioni, popoli e religioni. Rastelli, con la sua macchina
fotografica, è stato testimone di appuntamenti ed eventi in ogni
continente, che spesso hanno segnato pietre miliari del lungo
cammino per la riconciliazione tra popoli, del dialogo
interreligioso e del progresso dell’ecumenismo. Molte le visite
passate alla storia, come quella nel Regno Unito, la prima di un
Papa cattolico, quella in Romania, paese a maggioranza ortodossa o
quelle nel suo paese natale, che contribuirono al processo di
liberazione della “cortina di ferro”.
Nato a Genova nel 1936, Vittoriano Rastelli iniziò giovanissimo la
sua carriera di fotografo per i giornali della sua città. La sua
prima foto pubblicata è del 1951, quando aveva appena quindici anni,
e ritrae il ciclista Luison Bobet mentre taglia il traguardo della
Milano - San Remo.
Dopo aver collaborato con “Il lavoro”, di cui era direttore Sandro
Pertini, si trasferì a Milano, dove lavora per “Sport illustrato” e
poi per il settimanale della Rizzoli “Oggi”. Nel 1959, trasferitosi
a Roma, ha modo di fotografare i protagonisti del cinema italiano.
Nel ’63 inizia la sua collaborazione con “Life”, quindi con “Time
Magazine” e con il “New York Times”.
Tra i servizi più importanti pubblicati per “Life” negli anni ’60,
sono il viaggio di Paolo VI in Terra Santa, l’alluvione di Firenze,
la guerra dei Sei giorni, l’invasione sovietica della
Cecoslovacchia, il restauro della Pietà di Michelangelo. Nel 1969 è
stato l’unico fotoreporter a documentare gli scontri russo-cinesi
sul fiume Ussuri per “Time Magazine”, poi ripreso dalle principali
riviste del mondo.
Rastelli è stato uno dei protagonisti della conquista dell’accesso
all’Ordine (1976) dei fotoreporter e foto cineoperatori.
Nel 1974 è entrato nella redazione di Epoca, firmando numerosissimi
importanti fotoservizi. Dopo la chiusura della rivista, nel 1997, ha
continuato a lavorare da freelance occupandosi anche di mondanità :
per il “New York Times” ha seguito le collezioni di moda italiana,
ha collaborato con “AD” e con “Il Venerdì di Repubblica” per il
quale fotografato numerosi paesi stranieri fino ad arrivare nei due
circoli polari. Ha inoltre seguito i principali viaggi di Giovanni
Paolo II ed è stato in Afghanistan e in Iraq.
Ha ricevuto prestigiosi premi giornalistici e ha pubblicato numerosi
libri, fra i quali “Fotografare con successo” (Rizzoli, 1977).
La mostra sarà ospitata anche dal Castello Reale di Varsavia, dal 17
maggio al 31luglio 2011 e, a seguire, sarà a Madrid, Lisbona, Manila
e Buenos Aires.
di Antonio Venditti e Cinzia Dal Maso |
"Oltre la
soglia della speranza"
Il
Centro Studi "Vintar", associazione culturale che ha l'obiettivo di
contribuire allo studio e alla diffusione della cultura e della
comunicazione, ha presentato nei giorni scorsi il bando del Concorso
Internazionale di Poesia e Narrativa dedicato a Giovanni Paolo II:
"Oltre la soglia della Speranza". I lavori ammessi devono ispirarsi
alla vita e all’opera di Carol Wojtyla, approfondendo il concetto di
speranza, al centro anche dell'ultima Enciclica di Papa Benedetto
XVI, "Spe salvi". La sua
recente pubblicazione e la necessità di un serio studio su di essa
hanno spinto il Centro Studi "Vintar" a proporre questo premio come
un’importante riflessione culturale sul tema, non solo a livello
nazionale, ma anche a carattere internazionale. Il
premio "Oltre la soglia della Speranza" si articola in tre sezioni.
La prima è dedicata alla poesia di ispirazione religiosa. I
partecipanti potranno presentare una poesia di ispirazione
religiosa, composta al massimo di 30 versi, che dovrà essere inviata
via e-mail all'indirizzo poesiareligiosa@email.it. Il
seconda sezione è dedicata alla poesia inedita. Sono ammesse in gara
poesie ispirate ai valori umani, che non superino i 30 versi, da
inviare a poesiainedita@email.it. Per la
narrativa inedita si può concorrere con un racconto ispirato ai
valori umani o con un racconto per bambini. L'opera non deve
superare le 10 pagine (formato A4, al massimo 30 righe per pagina).
I lavori dovranno essere inviati a
narrativainedita@email.it. Al
concorso "Oltre la soglia della Speranza" possono partecipare anche
tesi di laurea di carattere letterario, filosofico, storico,
scientifico e teologico. Il testo va inviato a
tesidilaurea@email.it. E'
possibile aderire contemporaneamente a tutte le sezioni. Al concorso
possono partecipare anche lavori in lingua straniera. Ogni autore
deve inviare via mail, insieme alle opere, un curriculum che
contenga i suoi dati (formazione scolastica, professione ed
eventuali premi già ottenuti). Le
opere di poesia, narrativa o le tesi di laurea dovranno essere
spedite esclusivamente entro il 28 febbraio 2008 via posta
elettronica, indicando a piè di pagina nome e cognome dell'autore,
numero di telefono e indirizzo di posta elettronica.
I premi, ispirati a Giovanni Paolo II,
vogliono – come spiegano gli organizzatori, "stimolare continuamente
l'impegno culturale per incidere e dare sapore alla società".
di Annalisa
Venditti
NEL SEGNO
DELLA SPERANZA
ALLA RICERCA DELLA SALVEZZA
Nella
sala consiliare di San Marco Argentano (Cosenza) si è tenuta la
premiazione del Concorso Internazionale di poesia e narrativa "Oltre
la soglia della speranza".
Il
premio, istituito dal Centro Studi "Vintar" per la Cultura e la
Comunicazione "vuole essere – come ha spiegato durante la cerimonia
il presidente Umberto Tarsitano - un omaggio a Giovanni Paolo II, ma
soprattutto una provocazione culturale".
"Ispirata all'Enciclica di Benedetto XVI ‘Spe salvi’ – ha precisato
Tarsitano - l’iniziativa ha riscosso un ottimo successo. La Giuria
ha infatti valutato un gran numero di lavori, inviati da ogni parte
del mondo: Argentina, Australia, Brasile, Bulgaria, Canada, Cile,
Colombia, Cuba, India, Italia, Malta, Messico, Nicaragua, Perù,
Polonia, Portogallo, Repubblica Domenicana, Slovenia, Spagna, Stati
Uniti, Svizzera, Uruguay e Venezuela". Il
premio per la narrativa inedita, il prezioso "Famulatus", trittico
bronzeo realizzato dallo scultore Eduardo Bruno, è stato consegnato
dalla dott.ssa Nella Mari, responsabile dei Servizi Educativi della
Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici
della Calabria, alla nostra giornalista Annalisa Venditti. Tra le
tesi di Laurea, è stata premiata quella del rev. dott. Wojciech
Weckowski (Polonia), mentre il premio per la poesia d’ispirazione
religiosa è andato al rev. prof. Antonio Staglianò. All’architetto
spagnolo Jesús Ascaso Alcubierre è stato consegnato il premio per la
poesia inedita. "Il mio
racconto, ‘3 aprile 2005’, nasce da un ricordo forte e
incancellabile. Dall’emozione di aver visto e di aver vissuto in
prima persona uno degli eventi storici, religiosi e mediatici più
importanti di questo millennio. Anch’io, come milioni di altre
persone, dopo l’annuncio della morte del Santo Padre Giovanni Paolo
II, mi sono trovata più volte in Piazza San Pietro" – ha ricordato
Annalisa Venditti. "Quando
ho saputo dell’esistenza di questo concorso che nasceva proprio come
omaggio alla figura del Santo Padre, prendendo spunto dall’enciclica
"Spe salvi" del sommo pontefice Benedetto XVI, ho pensato di
ricostruire attraverso la scrittura la coralità di quei giorni,
raccontando - sullo sfondo dei fatti principali del pontificato di
Giovanni Paolo II - quattro storie che avevo ascoltato e che, nella
loro intima natura, proprio alla speranza di un cambiamento si
legavano. I protagonisti del mio racconto hanno tutti una loro
silente disperazione, una paura con cui fare i conti, un desiderio
di salvezza che si risolve in una marcia ideale verso il Santo Padre
e il suo modello di coraggio". La giornalista ha ricordato
l'attività di ricerca e dibattito impegnato in cui ha coinvolto gli
studenti dell'Università Urbaniana di Roma – dove insegna – in
occasione della morte di Giovanni Paolo II: " con i miei allievi,
cui oggi voglio dedicare questo premio, siamo giunti ad una
conclusione. Giovanni Paolo II, da grande comunicatore qual era, è
riuscito in quei giorni a convocare in piazza San Pietro la più
grande conferenza stampa della storia. Potete immaginare cosa
significò commentare proprio con loro – che della Chiesa sono la
parte più viva e in crescita - quel ‘miracolo’ comunicativo cui il
mondo intero era chiamato a partecipare. La nostra era una lezione
‘alla finestra’. L’Università è vicinissima a San Pietro e sotto
agli occhi avevamo la possibilità di analizzare le dinamiche di uno
dei più interessanti e importanti eventi mediatici della storia".
"Giovanni Paolo II si confronta con le speranze possibili dello
sviluppo delle società nella pace – ha ricordato in una nota il rev.
Prof. Antonio Staglianò - intercetta però anche gli aspetti
drammatici del diffondersi di una cultura che pone l’uomo
in questione, approfondendone la crisi: laddove la vita è
distrutta e non rispettata, laddove l’amore partecipativo tra le
persone è vinto dall’egoismo degli individui e dei gruppi sociali,
laddove la verità dell’azione è compromessa dall’utilitarismo e dal
pragmatismo che puntano al successo immediato, senza alcun senso di
responsabilità per gli altri".
"Ringrazio il Centro Studi Vintar e i vari enti che hanno
collaborato all'organizzazione del concorso per aver deciso di
conferirmi questo premio e in particolare la Diocesi di San Marco
Argentano - Scalea, l'Amministrazione Comunale di San Marco
Argentano, il Centro Internazionale di Studi sull'Arte
Normanno-sveva, la sezione del Centro Italiano Femminile e la
Biblioteca "E. Conti" di San Marco Argentano" – ha sottolineato
Jesús Ascaso Alcubierre, che per improrogabili impegni di lavoro non
è potuto intervenire alla cerimonia di premiazione. Alla
manifestazione, condotta dal giornalista Silvio Rubens Vivone, hanno
partecipato anche Virginia Mariotti, vicesindaco di San Marco
Argentano e assessore comunale alla cultura, Viviana Manfredi,
presidente del C.I.F., sezione di San Marco Argentano e Antonietta
Converso, dirigente scolastico. "Il nostro desiderio – ha precisato
Umberto Tarsitano - è stato quello di promuovere la riflessione, a
partire dalle meditazioni e dagli insegnamenti sulla speranza nel
pontificato di Giovanni Paolo II e continuata dall'ultima Enciclica
di Papa Benedetto XVI. La pubblicazione della "Spe salvi" ha creato
la necessità di un serio studio su di essa e ci ha spinti a proporre
questo premio come riflessione culturale. La
nostra associazione ha l'obiettivo di contribuire allo studio e alla
diffusione della cultura e della comunicazione e questo premio vuole
stimolare continuamente l'impegno culturale per incidere e dare
sapore alla società. I concorrenti che hanno ricevuto il
riconoscimento nella presente edizione hanno un unico comune
denominatore: aver declinato, attraverso i diversi generi degli
elaborati presentati, il concetto di speranza non esclusivamente
quale valore "religioso", ma anche quale valore della vita di ogni
giorno. Il centro studi ‘Vintar’ continuerà nel tempo questo
appuntamento, che nella sua prima edizione ha riscosso un
lusinghiero risultato".
"E’ nostra intenzione –
ha concluso Umberto Tarsitano - promuovere e incoraggiare la ricerca
letteraria e scientifica, orientata ai valori positivi della
società".
di Cinzia
Dal Maso |
GIOVANNI PAOLO II: IL SUO RAPPORTO CON
ROMA |
Giovanni Paolo II e Roma
E’
grande il successo di pubblico che sta ottenendo in questi giorni la
mostra "Giovanni Paolo II e Roma", allestita fino al prossimo 8
gennaio nel Complesso museale del Vittoriano (ingresso gratuito,
info: tel. 06-6780664). Sono andati a visitarla anche gli allievi
del corso di "Teoria e tecniche del linguaggio giornalistico" del
Centro di Comunicazioni Sociali della Pontificia Università
Urbaniana insieme a un folto gruppo di Missionarie di S. Antonio
Maria Claret. Giovani comunicatori, chiamati a portare nel mondo il
lieto messaggio dell’evangelizzazione, hanno percorso l’itinerario
espositivo dedicato alla carismatica figura di Giovanni Paolo II,
Santo Padre e Vescovo di Roma, quella città tanto amata e benedetta
la sera, prima di andare a riposare, dal Palazzo Apostolico.
"Qual è la missione di
Roma?", disse nel 1989 Giovanni Paolo II "Si potrebbe parlare molto.
Basta leggere il nome Roma, ma non come si legge nella geografia, ma
dalla fine all’inizio. Allora abbiamo la parola amor. Questo penso
che lo sapevano anche San Pietro e San Paolo quando vennero qui. Non
so se erano consci di questa possibilità di cambiare le lettere
della parola Roma. Ma certamente sapevano che la missione di Roma è
amor".
di Annalisa
Venditti
Papa
Wojtyla è sempre in prima pagina

Un anno fa, la morte di Giovanni Paolo II
catalizzava l’attenzione dei mass media. Alcuni quotidiani
predilessero grandi foto, in bianco e nero o in full color,
accompagnate da titoli ad effetto, altri privilegiarono gli articoli
e i commenti.
La Mostra "Addio
Karol. La scomparsa di Giovanni Paolo II nelle prime pagine dei
maggiori quotidiani del mondo", nello
spazio espositivo "Vetrina
Roma" in piazza dei
Cinquecento (lato viale E. De Nicola), offre una ricca panoramica di
oltre 70 prime pagine originali dei principali quotidiani di 30
Paesi del mondo con la notizia della dipartita del Pontefice, che si
spense nella serata del 2 aprile 2005.
I quotidiani italiani in vetrina sono ben 27.
Vanno dal Corriere della Sera alla Repubblica, alla Gazzetta dello
Sport, al Sole 24 Ore, fino ad alcuni importanti quotidiani locali
come Il Piccolo (Trieste), Il Resto del Carlino (Bologna), Il
Mattino (Napoli), La Gazzetta del Mezzogiorno (Bari), il Giornale di
Sicilia (Palermo) e La Nuova Sardegna (Sassari). In visione anche le
prime pagine dei due storici quotidiani della Capitale, Il
Messaggero, Il Tempo e il freepress Metro.
Naturalmente non poteva mancare il Vaticano,
con l’edizione straordinaria de "L’Osservatore Romano", lo storico
giornale della Santa Sede.
I quotidiani stranieri coprono tutti e cinque i
continenti. Per l’Europa, tra gli altri sono esposti il francese Le
Figaro, il tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, lo spagnolo El
Pais, il britannico The Sunday Times, l’austriaco Kurier, il turco
Marmara ed il croato Vg Sondag. Non mancano i giornali polacchi,
rappresentati da Rzeczpospolita, Gazeta Wyborcza, Trybuna e Fakt.
Per gli Stati Uniti, in vetrina il New York
Times e il Chicago Tribune, mentre il Sud America è rappresentato da
El Pais (Uruguay), UltimaHora (Paraguay) e El Sol de Mexico
(Messico). Presente anche l’Africa, con il Sunday Nation (Kenya) e
The Horn Tribune (Somalia). Nutrita anche la rappresentanza di
giornali provenienti dal Medio Oriente e dall’Asia, tra cui The
Moscow Time (Russia), The Jerusalem Post (Israele), L’Opinione
Pubblica (Kuwait), Asahi Shinbun (Giappone), Kompas (Indonesia) e
South China Morning Post (Hong Kong - Cina). Dall’Oceania, The New
Zealand Herald (Nuova Zelanda).
Nata per iniziativa dell’Associazione per il
Museo del Quotidiano, la Mostra ha ricevuto il patrocinio del
Vicariato di Roma, dell’Ordine dei Giornalisti, dalla Federazione
Italiana Editori Giornali (FIEG), della Federazione Nazionale della
Stampa Italiana (FNSI) e del movimento cattolico "Rinnovamento nello
Spirito Santo". Sponsor dell’iniziativa sono la Confartigianato, la
Banca Popolare dell’Emilia Romagna e la Faam, mentre media partner
sono il quotidiano gratuito Metro e l’agenzia giornalistica Info.
L’esposizione, organizzata da Mediarkè, resterà
aperta al pubblico fino al 30 aprile (ore 11.00 - 18.00, ingresso
libero).
di Antonio
Venditti |
"Damose da fa! Semo romani!"
In mostra le fotografie
del Pontificato, testimonianze romane, cimeli, oggetti e documenti
appartenuti al Santo Padre
" Novembre
scorreva veloce: era ormai tempo di partire per Roma. Quando venne
il giorno prestabilito, salii sul treno con grande emozione. Con me
c’era Stanilsaw Starowvieywski, un collega più giovane di me che
avrebbe dovuto frequentare l’intero corso teologico a Roma. Per la
prima volta uscivo dalle frontiere della mia patria. Guardavo dal
finestrino del treno in corsa città conosciute soltanto nei libri di
geografia". E’
la descrizione di un viaggio, l’inizio di una grande percorso che
sarebbe diventato storia. Con queste parole Giovanni Paolo II
ricordava il Suo arrivo nella Capitale, quando giovane studente
lasciò la Polonia per frequentare il Pontificio Ateneo Angelicum.
Al Suo
rapporto con la città che l’avrebbe visto, il 16 ottobre 1978,
salire al soglio di Pietro è dedicata la mostra "Giovanni Paolo II e
Roma", visitabile gratuitamente fino al prossimo 8 gennaio nel
Complesso del Vittoriano (dal lunedì al giovedì: 9.30 – 19.30,
venerdì e sabato: 9.30-23.30, domenica: 9.30-20.30).
L’esposizione, organizzata dal Vicariato di Roma e
dall’Amministrazione Capitolina, sotto l’Alto Patronato del
Presidente della Repubblica Italiana, presenta un percorso
storico-documentario che lega, attraverso un ricchissimo apparato
fotografico e numerose testimonianze, l’operato del Papa alla città.
"Non
potrò mai dimenticare le sensazioni di quei miei primi giorni romani
– annotava
il Pontefice - quando
nel 1946 cominciai ad introdurmi nella conoscenza della «Città
eterna». Il padre Karol Kozlowski, rettore del seminario di
Cracovia, mi aveva ripetuto più volte che, per chi ha la fortuna di
potersi formare nella capitale del Cristianesimo, più ancora degli
studi (un dottorato in teologia si può conseguire anche altrove!)
importante è «imparare Roma stessa». Cercai di seguire il suo
consiglio". Il
giovane Karol Wojtyla ha "abbracciato" subito Roma, girandola con
gli occhi del turista ammirato e con quelli accesi dalla fede: "arrivai
con il vivo desiderio di visitare la ‘Città eterna’, a cominciare
dalle catacombe. E così accadde. Insieme agli amici del Collegio
belga dove abitavo, ebbi modo di percorrere sistematicamente la
città sotto la guida di esperti conoscitori dei suoi monumenti e
della sua storia. Ogni giorno dal collegio belga, in via del
Quirinale 26, mi recavo all’Angelicum per le lezioni, fermandomi
durante il tragitto nella Chiesa dei Gesuiti di Sant’Andrea al
Quirinale, dove si trovavano le reliquie di San Stanislao Kostka,
che abitò nell’attiguo noviziato e lì concluse la sua vita".
A pochi
mesi dalla scomparsa dell’Uomo fa venire i brividi questa monumenta le
mostra curata da Alessandro Nicosia e Marco Pizzo che con rigore
scientifico e narrativo ripercorre le tappe fondamentali del Suo
operato. Negli occhi ci sono ancora le immagini forti,
incancellabili, della folla multietnica e composta che si è
riversata a Roma per stringersi in un ultimo, globale abbraccio
senza precedenti. Il Papa delle masse, il Papa viaggiatore tra la
gente, grande comunicatore fino all’estremo, fatale attimo, Uomo
della Chiesa, voce dei più deboli, fu anche l’attento Pastore della
sua città. Era il 1979 e così parlava della Sua missione: "solo
da pochi mesi sono Vescovo di Roma. Comincio poco a poco a conoscere
la mia nuova diocesi. Mi rendo conto che la mia missione
«universale» si basa su quella «particolare» e perciò cerco di
dedicarmi a quest’ultima per quanto posso".
"Non
si può essere Papa –
spiegava nel 1986 - senza
essere Vescovo di Roma: questa è una verità dogmatica,
ecclesiologica e allora se sono Vescovo di Roma essendo Papa, sono
piuttosto Papa essendo Vescovo di Roma".
Così le
foto del grande Giubileo del 2000, delle ricorrenze annuali, delle
tante visite nelle parrocchie, negli ospedali, nelle carceri, negli
Atenei, alla Sinagoga, restituiscono l’immagine di una Roma che
Giovanni Paolo II ha amato, accudito come il più amorevole dei
Padri. I figli orfani piangono oggi anche la sua dolce e affettuosa
simpatia. Era il 26 febbraio del 2004 e il Papa polacco, già provato
dalla sofferenza di una malattia mai nascosta e mostrata con
evangelico coraggio, salutò in Vaticano i parroci e i preti romani
con un memorabile "Damose
da fa! Volemose bbene! Semo romani!".
Annalisa
Venditti |
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