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GIOVANNI PAOLO II: ANEDDOTI E CURIOSITA'

 

Nelle Grotte Vaticane venti secoli di storia

Ora accolgono anche le spoglie di Giovanni Paolo II, in una cappella
con un rilievo rinascimentale attribuito a Luigi Capponi

Dal pilone di San Longino, una scala permette di scendere dalla Basilica di San Pietro alle Sacre Grotte Vaticane, il suggestivo ambiente sotterraneo con poderose volte ribassate che occupa lo spazio tra il livello della primitiva basilica costantiniana e il pavimento della chiesa attuale. L’idea di rialzare la quota della nuova San Pietro non faceva parte degli originari progetti rinascimentali e fu determinata dalla necessità di proteggere la nuova fabbrica dalle inondazioni. Fu probabilmente Giacomo della Porta a concepire un sopralzo mediante una cripta e Gregorio XIII (1572-85) diede inizio alla costruzione delle Grotte, tre navate con volte a crociera su pilastri quadrati che corrono per circa 50 metri sotto la grande nave centrale della Basilica, integrate da grandi locali con volte a botte e altri ambienti: queste sono chiamate Grotte Vecchie, per distinguerle dalle Nuove, volute da Clemente VIII (1592-1605), che si trovano in corrispondenza della cupola michelangiolesca e hanno come fulcro la sepoltura dell’Apostolo. Si deve infatti a questo Pontefice la realizzazione di un corridoio semianulare, o peribolo, che tramite un braccio trasversale conducesse alla Tomba di Pietro, più esterno e molto più ampio di quello voluto da Gregorio Magno alla fine del VI secolo. Il braccio trasversale clementino si congiunse a quello di Gregorio Magno, opportunamente ampliato, e venne a formare un oratorio, dedicato ai Santi Pietro e Paolo, ma ben presto denominato Cappella Clementina. In seguito furono aggiunti al nuovo peribolo i corridoi che portano ai quattro oratori ricavati nei pilastri della cupola (di S. Veronica, S. Elena, S. Longino e S. Andrea) e cinque cappelle.

Intanto, nel 1592, le Grotte Vecchie venivano dirozzate e ricevevano una prima sistemazione muraria, mentre l’anno seguente si procedeva alla loro pavimentazione, fino ad allora rimasta quella dell’antica Basilica, ma assai rovinata e rappezzata in molti punti.

Le Grotte erano diventate l’unico punto da cui raggiungere la Tomba di Pietro e così la nuova Basilica risultava staccata dal suo luogo più venerato, dal suo centro ideale, che poteva essere appena intravisto da una grata sul pavimento. La soluzione giunse dopo una serie di studi e proposte, durante il pontificato di Paolo V (1605-21), che la vigilia di Natale del 1615 inaugurò l’apertura a esedra circondata da balaustra davanti alla Confessione, opera di Carlo Maderno, cui si devono anche le due rampe marmoree attraverso le quali si giunge davanti alla nicchia dei Palli, ossia la parte inferiore di una piccola memoria eretta nel II secolo sulla Tomba Apostolica.

Allo stesso papa Borghese si deve la decisione di utilizzare le Grotte per raccogliere i frammenti dei tanti monumenti che ornavano la primitiva Basilica e venivano impietosamente smantellati e in gran parte dispersi. Il grandioso ipogeo cominciò a diventare quella straordinaria raccolta di preziosi cimeli che ancora oggi possiamo ammirare.

Le Grotte assunsero l’aspetto attuale solo nel secolo scorso, quando Pio XI (1922-39) espresse il desiderio di essere sepolto presso la tomba di S. Pio X (1903-14), che si trovava nella parte meno alta dell’ambiente. Sotto il pontificato di Pio XII, nel 1939, venne dato l’avvio a importanti lavori di scavo, di ampliamento e di valorizzazione, con l’aggiunta di nuovi ambienti e l’abbassamento del pavimento di circa ottanta centimetri. Si esplorarono sei grandi vani sul fianco meridionale della navata sinistra, che fino ad allora erano rimasti completamente interrati, le attuali Sale Archeologiche. A soli 20 centimetri di profondità si trovò il pavimento della Basilica Costantiniana e immediatamente al di sotto tornò alla luce una necropoli romana la cui importanza fu subito evidente.

Dopo lo scavo della necropoli, il vecchio pavimento delle Grotte fu sostituito da un solaio a quota minore e a due diversi livelli.

A Giovanni Paolo II (1978-2005) si deve l’apertura del grande arco sulla parete occidentale della navata centrale che permette di vedere la parte frontale della Confessione con la nicchia dei Palli, inaugurata il 16 ottobre 1979, primo anniversario del pontificato di papa Wojtyla. Nella parte superiore dell’arco è murato un cartiglio di marmo in cui si ricorda ai fedeli che sono davanti al "Sepulcrum Sancti Petri Apostoli". Ai lati dell’apertura sono stati sistemati due bellissimi angeli ad altorilievo, provenienti dal monumento funebre di Bonifacio VIII (1295-1303). A livello del pavimento, due leoni marmorei medioevali che dovevano ornare il sarcofago di Urbano VI (1378-89).

La visita delle Grotte costituisce un singolare itinerario attraverso venti secoli di fede, di storia e d’arte, raccontati dalle tombe di Pontefici e Cardinali, re e regine, sarcofagi paleocristiani, frammenti architettonici e monumenti dell’antica Basilica, rilievi, mosaici, immagini sacre, dipinti, statue e lapidi.

Tra i dipinti, non si possono dimenticare la duecentesca "Madonna in trono e angeli" della scuola di Jacopo Torriti, una Madonna con il Bambino di Pietro Cavallini (XIV sec.) e un’altra della scuola del Perugino (XV sec.).

Straordinarie sono le statue quattrocentesche di Apostoli sistemate nel Peribolo Clementino, attribuite a Matteo del Pollaiolo, a Giovanni Dalmata e a Mino da Fiesole, come pure la quattrocentesca pala d’altare marmorea di Isaia da Pisa. A Luigi Capponi la maggior parte dei critici assegna il rilievo rinascimentale con la Madonna, il Bambino e due angeli che veglia sulla semplice sepoltura di Giovanni Paolo II.

Tanti i sarcofagi paleocristiani riutilizzati per deporvi Pontefici o altri personaggi di rilievo, come Pio III (1503), Urbano VI (1378-89) o Pio VI (1775-99).

La cassa marmorea con la figura giacente di Paolo II (1464-71) ci può solo far intravedere la maestosità del monumento funebre di cui costituiva l’elemento centrale, eseguito da Mino da Fiesole e Giovanni Dalmata. Da altri celebri monumenti della Basilica costantiniana provengono il sarcofago di Bonifacio VIII (1294-1303), di Arnolfo di Cambio, e il sepolcro di Niccolò V (1447-55).

Nel corridoio di uscita dalle Grotte, un’antica statua marmorea di San Pietro, riadattamento di un’immagine di filosofo del II sec. d.C., sembra voler salutare i visitatori con una paterna benedizione.

di Cinzia Dal Maso

 

Futuri giornalisti all’Urbaniana

"Non abbiate paura di raccontare la verità!", così Giovanni Paolo II nella sua ultima Lettera Apostolica ammoniva i responsabili delle comunicazioni sociali. Proprio ai giornalisti Papa Benedetto XVI ha dedicato la prima delle sue udienze ufficiali.

Formare alla comunicazione e a un utilizzo critico dei mass media è una delle grandi sfide che la Chiesa è chiamata ad affrontare nel Terzo millennio. Conoscere e capire i meccanismi che regolano l’informazione è fondamentale per una comprensione adeguata del nostro presente.

Lo sanno bene gli allievi del Centro Comunicazioni Sociali della Pontificia Università Urbaniana che, nei giorni scorsi, insieme al loro coordinatore, Padre Claudio Pighin, docente di Pastorale della Comunicazione, con la guida del dott. Tommaso Trombini, dell’ufficio servizi tecnici del Centro di produzione Rai di Roma, hanno visitato gli studi di Saxa Rubra.

Un’occasione importante a cui le giovani leve dell’Urbaniana, impegnate nella missione e nella evangelizzazione, hanno risposto con entusiasmo e interesse. E la curiosità che contraddistingue i veri giornalisti.

di Annalisa Venditti

 

L’Albero di Natale illumina piazza S. Pietro

L’albero che da qualche giorno giganteggia nella Piazza San Pietro a fianco del grande Presepe in allestimento, così come gli altri trenta abeti sparsi in Vaticano, proviene quest’anno dall’Alta Austria. In occasione dei cinquecento anni della chiesa parrocchiale della cittadina di Eferding, è stato donato dalla famiglia Starhemberg, che in uno splendido castello gestisce un’azienda forestale privata. L’accensione ufficiale dell’albero di Piazza San Pietro ha avuto luogo sabato scorso. Ad effettuarla è stato Jürgen Lengauer, un ragazzo di undici anni che qualche mese fa ha salvato il fratello di due anni dall’annegamento e che lunedì scorso ha acceso nella Chiesa della Natività di Betlemme la "Luce della Pace".

Alto ben 30 metri, l’abete austriaco proviene dall’abitato di Afiesl, nella zona di Muhlviertel, nel nord della Stiria. Gli altri trenta abeti donati alla Santa Sede, alti 3 metri, sono stati consegnati dall’Alta Austria per le stanze private del Santo Padre, per i giardini del Vaticano, per le sale riservate ai Cardinali e per l’ambasciata austriaca. Due alberi di sei metri abbelliscono le sale delle udienze del Santo Padre. E’ stato per primo Giovanni Paolo II, nel 1982, a volere in Piazza San Pietro l’albero di Natale e un maestoso Presepe. Una delegazione austriaca, guidata dal Vescovo di Linz MonsignorLudwig Schwarz, dal Vescovo emerito Monsignor Maximilian Aichern e dal Presidente dell’Alta Austria, Josef Pühringer, ha fatto visita sabato al Santo Padre Benedetto XVI. All'incontro hanno partecipato anche i membri del coro e della cappella di Eferding e un gruppo folcloristico femminile.

"A Natale riecheggia in ogni parte del globo il lieto annunzio della nascita del Redentore: l’atteso Messia si è fatto uomo ed è venuto in mezzo a noi", ha spiegato il Pontefice nel suo discorso. ''Con la sua luminosa presenza – ha sottolineato il Santo Padre - Gesù ha dissipato le tenebre dell'errore e del peccato ed ha recato all'umanità la gioia della sfolgorante luce divina, di cui l'albero natalizio è segno e richiamo".

"Nella forza di questo albero – ha voluto ricordare - si riflette quella della gente dei monti. Anche questo abete, dalla sua nascita ad oggi, ha superato certamente venti forti e bufere tempestose, raggiungendo così la sua attuale grandiosità e bellezza. Il popolo dell’Alta Austria nell’offrire quest’anno l’abete vuole esprimere il proprio affetto al Santo Padre, l’ammirazione per il suo ministero apostolico nei confronti della Chiesa e del mondo, il proprio attaccamento alla Chiesa ed alla sede apostolica".
"Credere a Cristo – ha concluso Benedetto XVI - significa lasciarsi avvolgere dalla luce della sua verità che dà pieno significato, valore e senso alla nostra esistenza, giacché proprio rivelandoci il mistero del Padre e del suo amore Egli svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione".

di Annalisa Venditti

Quando San Pietro era un filosofo

"E io ti dico che sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli".

Con queste parole Gesù affidava all’amato apostolo, umile pescatore di Galilea, il compito di gettare le fondamenta della sua Chiesa.

Una statua del primo Papa è conservata nel corridoio di uscita delle Grotte Vaticane, al di sotto dell’attuale Basilica di San Pietro. "Nel 1979 – è scritto in latino su un’epigrafe poco distante – essendo sommo pontefice Giovanni Paolo II, questa antichissima statua del Principe degli apostoli, già restaurata da Pio XII nel 1949, venne collocata in questa sede rinnovata e resa più decorosa"

E’ un’imponente scultura marmorea, di proporzioni leggermente maggiori del naturale, che immortala San Pietro nel significativo gesto della benedizione. La posizione della figura e il panneggio della veste tradiscono, però, il primitivo significato dell’immagine: nata per rappresentare un filosofo, probabilmente un seguace del greco Epicuro, come testimoniato da esemplari stilisticamente analoghi, l’opera venne mutata nel Medioevo in quella del primo Papa. Secondo alcuni studiosi, la testa – caratterizzata dai riccioli a chiocciola di barba e capelli – è attribuibile al celebre artista Arnolfo di Cambio, cui la tradizione lega anche la statua bronzea conservata all’interno della Basilica e tutt’oggi al centro di una straordinaria venerazione. Nella mano sinistra Pietro tiene, laddove un tempo si trovava il tipico rotolo dei filosofi, le chiavi del Regno dei Cieli. Sostanziali modifiche interessarono anche il braccio destro, oggi intento a benedire. Successivi restauri avvennero nel Settecento e nell’Ottocento. Entrambe le sculture, per la festa del Santo, celebrata il 29 giugno, venivano sin dall’antichità solennemente vestite del piviale e della mitra papale. Con ogni probabilità, agli inizi del Trecento, la statua marmorea si trovava nel quadriportico dell’antica Basilica, all’interno di un tabernacolo pensile collocato sopra il portale, davanti la Porta Argentea. In seguito ai rifacimenti strutturali del 1600, la scultura venne posta nelle Grotte Vecchie. Successivamente, ad opera di Benedetto Drei, fu spostata nella Cappella di San Paolo, poi detta della "Bocciata", e collocata su un trono: un piccolo podio con protomi leonine che presentava raffinate decorazioni cosmatesche di riuso. A Pio XII, che volle collocarla in fondo alla navata mediana delle grotte, si deve un nuovo restauro.

L’attuale posizione risale ai primi anni di pontificato di Carol Wojtyla.

di Annalisa Venditti

 

“Habemus Papam”, la storia dei Conclavi

Ai complessi e suggestivi rituali che nella Chiesa cattolica accompagnano la morte di un Pontefice e la proclamazione del suo successore è dedicata la mostra “Habemus Papam. Le Elezioni Pontificie da S. Pietro a Benedetto XVI”, ospitata dal 9 dicembre 2006 al 7 aprile 2007 nelle sale del Museo Storico Vaticano sito nell’Appartamento di Rappresentanza del Palazzo Apostolico del Laterano.

I Musei Vaticani e il Centro Europeo per il Turismo, organizzatori della prestigiosa esposizione, curata da Francesco Buranelli, hanno inteso ripercorrere le motivazioni religiose e storiche di un avvenimento le cui radici affondano nel misticismo medioevale e nell’antica tradizione imperiale romana e che ha nel Conclave uno dei suoi momenti culminanti. Attraverso opere di alto valore storico-artistico, come sarcofagi paleocristiani, preziosi vetri dorati di epoca romana, la teca reliquiario di Pasquale I, proveniente dal Sancta Sanctorum, le statue della Maiestas Domini della Confessione dell’antica basilica di S. Pietro ed alcuni rarissimi documenti dell’Archivio Segreto Vaticano, sarà possibile ripercorrere la progressiva elaborazione di quel lungo e delicato processo che ha portato alla formazione della Chiesa Romana e  all’idea del primato petrino.

Incisioni e stampe illustrano le tradizioni inerenti le esequie, il conclave e l’elezione del nuovo Pontefice, permettendo di ripercorrere gli aspetti più significativi di un rituale dall’alto valore spirituale, in occasione del quale i cardinali, riuniti in Conclave, si dispongono ad ascoltare la parola di Dio per eleggere il successore di Pietro.

Il significato del termine Conclave (da cum clave), che originariamente indicava una zona interna della casa, chiusa a chiave, è stato ampliato nel linguaggio ecclesiastico intendendo con tale vocabolo sia il luogo dove si riuniscono i cardinali in clausura, sia l’assemblea dei cardinali elettori. Fu Papa Niccolò II nel 1059 a fissare le prime regole per l’elezione del Pontefice con il decreto “In nomine Domini”, sebbene le procedure abbiano subito varie modifiche nel corso dei secoli.

Il primo conclave si tenne nel 1241, quando l’assemblea dei cardinali fu reclusa nel Septizonio dal senatore Matteo Orsini per eleggere Celestino IV. Nel 1268 i cardinali si riunirono invece a Viterbo per eleggere Clemente IV. Giovanni Paolo II ha promulgato il 22 febbraio 1996 la costituzione apostolica Universi Dominici Gregis aggiornando le norme che regolano la “vacanza della sede apostolica”, cioè l’intervallo di tempo che intercorre tra la morte di un Papa e l’ elezione del suo successore.

Preziosi documenti d’archivio, piante di conclave con la distribuzione delle celle che ospitavano i Cardinali, immagini di festeggiamenti e prese di possesso dei Pontefici, dipinti, inusuali cimeli, abiti d’epoca, ritratti e una serie di oggetti quali anelli piscatori, tiare, flabelli e troni, alcuni dei quali esposti per la prima volta, contribuiranno ad illustrare quel complesso e misterioso cerimoniale che da sempre desta una grande attenzione.

I visitatori potranno conoscere aspetti e personaggi particolari, come quella del Cardinale camerlengo a cui durante la Sede Vacante era affidato il governo della Chiesa e che doveva provvedere ad organizzare il Conclave. La più antica ed importante dignità laica pontificia era, invece, la carica di Maresciallo del Conclave e Custode di Santa Romana Chiesa che aveva il compito di controllare la sicurezza e la riservatezza del Conclave. Tale carica, conferita ad importanti casate romane come i Conti, gli Orsini e i Colonna, dal 1430 passò nelle mani della famiglia Savelli; dal 1712 fu assegnata ai Chigi che l’hanno mantenuta fino a quando fu soppressa da Paolo VI nel 1963.

Le opere provengono da numerosi enti quali i Musei Vaticani, l’Archivio Segreto Vaticano, la Basilica di S. Paolo fuori le Mura, la Biblioteca Apostolica Vaticana, il Capitolo della Arcibasilica di S.Giovanni in Laterano, il Capitolo della Patriarcale Basilica di S. Pietro in Vaticano, l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice,  il Museo di Roma, il Museo di Palazzo Chigi di Ariccia e da varie collezioni private.

L’esposizione sarà completata da un video sui conclavi del Novecento la cui realizzazione è stata curata con il supporto di Rai3  e del Centro Televisivo Vaticano.

Il catalogo -  edito da De Luca Editori D’Arte -  raccoglie saggi, schede ed immagini relative alle opere in mostra. 

La mostra, che ha il sostegno della Presidenza della Provincia di Roma e dell’Assessorato alla Cultura della Regione Lazio, è aperta dal lunedì al sabato, dalle 9 alle 16,45. E’ chiusa l’8, il 25 e il 26 dicembre; il 1° e il 6 gennaio; il 19 marzo. 

di Antonio Venditti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GIOVANNI PAOLO II: MANIFESTAZIONI IN RICORDO

 

In libreria "La bottega dell’orefice"

La Colosseo Editoriale (e-mail: menaglialibri@libero.it) ha presentato in questi giorni la ristampa de "La bottega dell’orefice", riduzione per l’adattamento teatrale curata da Mario Di Nardo di un testo scritto nel 1956 da Carol Wojtyla con lo pseudonimo Andrzej Jawien. E’ la storia di due coppie, di due matrimoni, di due amori diversi che si agitano sullo sfondo della seconda guerra mondiale e degli scempi nazisti. Ma "la bottega dell’orefice" è soprattutto un’intensa metafora delle nozze, unione eterna e indissolubile che deve vincere la fragilità dei sentimenti umani. Il giovane Wojtyla la scrisse in quegli anni in cui era attivamente impegnato nel clandestino "Teatro Rapsodico" di Cracovia che, nonostante l’occupazione tedesca della Polonia, continuava a tenere le sue rappresentazioni in case private."Quando la lessi per la prima volta – spiega Di Nardo – mi resi conto che l’opera, nella sua ricerca di valori morali e universali, conteneva quegli elementi drammaticamente spettacolari che sono essenziali per trasferire un messaggio allo spettatore. Così un giorno salii le scale dei Palazzi Apostolici per raggiungere la Libreria Editrice Vaticana, ente delegato alla sovrintendenza delle opere letterarie del Pontefice. Chiesi ad un monsignore preposto all’ufficio cosa dovessi fare per ottenere l’autorizzazione a trarre dal testo del Papa una sceneggiatura per uno spettacolo televisivo o cinematografico. Il prelato rispose che già erano state presentate ottanta richieste dello stesso tipo. Mi avviai perplesso verso l’uscita. Ma, giunto sulle scale, pensai: "Perché non possono essere ottantuno?". Tornai sui miei passi. Il monsignore, rivedendomi, commentò: "Lei è un uomo di fede". Così preparai una sceneggiatura, e la presentai, superando tutti gli altri concorrenti". Il testo del giovane Wojtyla venne pubblicato per la prima volta nel 1960 sulla rivista polacca "Znak". Al 1988 risale invece la sceneggiatura, sempre curata da Mario Di Nardo, per la versione cinematografica dell’opera, diretta da Michael Anderson, con Burt Lancaster, Andrea Occhipinti, Olivia Hussey, Jo Champa e Andrei Bednarsky. "Si può ritenere però – sottolinea oggi Di Nardo - che il mezzo più idoneo ad esprimere compiutamente le caratteristiche dell’opera sia la rappresentazione teatrale, perché solo il teatro ha un pubblico in senso proprio. Ne ‘La bottega dell’orefice’, con l’essenzialità scultorea che può richiamare, semmai, la tragedia greca, dove tutto è talmente concentrato da richiedere spesso l’impiego della narrazione, pochissimi personaggi – due per ogni tempo e quasi mai dialoganti fra loro – rivivono invece nella memoria o patiscono in sofferta meditazione i momenti del loro agire, pur nella costante consapevolezza della presenza dell’interlocutore". Alcuni passi del volume (137 pagine, euro 10,00) verranno letti e commentati nel corso dell’Intervista possibile di "Questa è Roma!", la trasmissione ideata da Maria Pia Partisani in onda ogni sabato mattina, dalle 11.00 alle 12.00, su Nuova Spazio Radio (88.150)

di Annalisa Venditti

 

"Oltre la soglia della speranza"

Domani alle ore 19.00, nella sala consiliare di palazzo Santa Chiara di San Marco Argentano (Cosenza), si terrà la premiazione del Concorso Internazionale di poesia e narrativa "Oltre la soglia della speranza". Il concorso, istituito dal Centro Studi "Vintar" per la Cultura e la Comunicazione, vuol essere un omaggio a Giovanni Paolo II ed è ispirato all'Enciclica di Benedetto XVI, "Spe salvi". La Giuria ha valutato un gran numero di lavori, inviati da ogni parte del mondo e precisamente da Argentina, Australia, Brasile, Bulgaria, Canada, Cile, Colombia, Cuba, India, Italia, Malta, Messico, Nicaragua, Perù, Polonia, Portogallo, Repubblica Domenicana, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svizzera, Uruguay e Venezuela.

L’ambito riconoscimento, per la poesia d’ispirazione religiosa, sarà consegnato al rev. prof. Antonio Staglianò, dottore in Teologia (Pontificia Università Gregoriana), in Filosofia (Università della Calabria) e autore di numerose pubblicazioni. Per la poesia inedita sarà premiato l’architetto Jesús Ascaso Alcubierre, nato in Saragozza (Spagna). Ha conseguito il Baccalaureato scientifico nel Collegio Tajamar di Madrid (Spagna), la Licenza in Architettura nell’Università di Siviglia (Spagna) e la Licenza in Teologia presso l’Università della Santa Croce in Roma.

Per la narrativa inedita, il premio è stato conferito alla nostra giornalista Annalisa Venditti, nata a Roma, dove vive e lavora. Laureata in Lettere classiche, è già stata insignita in Campidoglio del Premio Personalità Europea 2006. E’ professoressa di "Teoria e tecniche del linguaggio giornalistico" alla Pontificia Università Urbaniana di Roma. Ha tenuto lezioni a Roma all’Università di Tor Vergata e alla Libera Università San Pio V. Collabora a programmi televisivi di informazione e intrattenimento di Rai Uno e di Rai Tre come autore testi. Consegnerà il premio - Famulatus, un artistico trittico bronzeo realizzato dallo scultore Eduardo Bruno - Nella Mari, responsabile dei Servizi Educativi della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Calabria.

Tra le tesi di Laurea, è stata premiata quella del rev. dott. Wojciech Weckowski. Nato a Tuchola in Polonia, insegna comunicazione sociale e PR nel Seminario Maggiore e nell’Università Privata a Gdansk, in Polonia.

Alla manifestazione, condotta da Silvio Rubens Vivone, prenderanno parte Virginia Mariotti, assessore comunale alla cultura di San Marco Argentano; Eduardo Bruno, presidente del Centro Internazionale di Studi sull’arte normanno-sveva; Viviana Manfredi, presidente del C.I.F., sezione di San Marco Argentano; Umberto Tarsitano, giornalista e presidente del Centro Studi "Vintar" e Antonietta Converso, dirigente scolastico.

di Cinzia Dal Maso

 

Il Papa che sale “all’Altare di Dio”

Le foto di Vittoriano Rastelli ai Musei Capitolini raccontano Karol Wojtyla

Centocinquanta fotografie, firmate dal noto fotografo Vittoriano Rastelli, sono le tessere di un mosaico che vuole raccontare in tutta la sua interezza un uomo eccezionale, che ha segnato un’era: Giovanni Paolo II.
“All’Altare di Dio” è la grande mostra che si apre oggi ai Musei Capitolini (Palazzo Caffarelli) - visitabile fino al prossimo 25 settembre - promossa da Roma Capitale, assessorato alle politiche culturali e centro storico - Sovraintendenza ai Beni Culturali. Il patrocinio è della Fondazione “Duc in Altum”, presieduta Lorenzo Gulli, già vaticanista e dirigente RAI, il cui presidente onorario è il cardinal Stanislaw Dziwisz, segretario privato di Giovanni Paolo II. L’organizzazione è curata dalla Società 06Event Srl, con i servizi museali di Zètema Progetto Cultura. Curatore culturale della mostra è Carlo Orichula.
Alla presentazione della mostra è intervenuto anche Giuseppe Lepore, presidente del Centro Europeo per il Turismo.
Non si tratta di foto ufficiali e paludate, ma di istantanee che hanno colto il pontefice nei momenti più significativi del suo lungo apostolato descrivendone l’immensa umanità e l’incredibile capacità comunicativa: con i poveri e i sofferenti, con i bambini di tutte le razze e condizioni, sotto il sole e in mezzo alla neve, o mentre un soffio dispettoso di vento gli butta la mantellina in faccia. “Quest’uomo – ha spiegato Umberto Broccoli, sovrintendente ai Beni Culturali del comune di Roma – è diventato memoria collettiva e il suo ricordo è diventato ancora più struggente per chi ha avuto la fortuna di stringergli la mano”.
Gli scatti di Rastelli non restituiscono solo momenti degli eventi religiosi presieduti dal Papa: l’autore guarda soprattutto all’interiorità dell’uomo che ne è al centro, incarnando anche in mezzo a folle oceaniche uno stretto rapporto con Dio e con gli uomini. Vediamo allora la preghiera, la riflessione, il raccoglimento, la meditazione di Giovanni Paolo II. I primi piani del volto e dei gesti del Pontefice ne rivelano la natura più intima, con espressioni intense e significative, nelle quali si riconoscono la gioia, il dolore, la soddisfazione, il compiacimento, la compassione.
“Karol Wojtyla ci ha regalato ogni volta emozioni eccezionali, in un percorso fatto di centinaia di visite parrocchiali, di appuntamenti sempre affollati, di forte comunicazione e di rivoluzioni, cambiamenti nel linguaggio ma non solo, pensati per avvicinare la gente e, soprattutto, i suoi giovani, i Papaboys”, ha detto l’assessore alle politiche culturali e centro storico Dino Gasperini. “Rastelli – ha aggiunto – è un artista vero, un fotografo a tutto tondo. In 150 scatti di profonda umanità ha descritto un pontificato lunghissimo”.
Le foto sono accompagnate da dettagliate descrizioni in italiano, polacco e inglese, mentre, grazie alla collaborazione con la RAI, sono proiettati diversi video sulla la vita, gli insegnamenti ed il percorso di fede di papa Giovanni Paolo II, ma soprattutto sui viaggi, i grandi discorsi, gli incontri istituzionali con le più grandi autorità ecclesiastiche e politiche e l’infinito abbraccio di Karol Wojtyla ai giovani, il suo popolo. Dai giovani il Papa traeva ispirazione e forza, donando loro un grande orizzonte ideale per la vita e un incoraggiamento a non avere paura del futuro. Per loro ha istituito la Giornata Mondiale della Gioventù e le fotografie hanno immortalato questi eventi epici in cui milioni di giovani provenienti da tutto il mondo si riunivano rapiti dalla calma, dalla fermezza, dall’innovazione e dalla modernità delle parole di un uomo unico che ha segnato la storia e cambiato la vita di fedeli e non credenti, offrendo loro una nuova prospettiva.
“La scelta di questa mostra – ha specificato il sindaco Giovanni Alemanno – non è solo di carattere pubblicitario, per ricordare un evento. Vogliamo rendere presente Giovanni Paolo II partendo dalla sua umanità. La vogliamo rendere viva e presente a tutte le età e a tutte le condizioni, anche a chi non è cattolico. Papa Wojtyla che benedice Roma è un’immagine potente, indimenticabile. L’obiettivo della mostra è anche quello di rievocare la particolare capacità di comunicazione con tutti i popoli della Terra, che hanno trovato in lui una figura di straordinaria forza nel trasmettere la bellezza della fede e dei valori ad essa connessi”.
Nella mostra mancano le immagini, impresse nella memoria di tutti, degli ultimi anni di Giovanni Paolo II, pesantemente segnati dall’avanzare della malattia: una scelta voluta e condivisa dall’autore e dai curatori. Del Papa viene mostrato il corpo sano, in qualche misura specchio di quello trasfigurato che accoglie le anime elette dopo la morte. D’altro canto, per mostrare il rapporto del Papa con la sofferenza non era necessario farlo vedere malato: infatti ben pochi hanno saputo avvicinarsi alla sofferenza dell’uomo con tanta umiltà e sentimento come lui, che voleva sempre malati e disabili in prima fila, per incontrarli uno ad uno.
Giovanni Paolo Il è diventato un vero e proprio cittadino del mondo, ha conosciuto popoli e paesi, ha capito e interpretato tutte le lingue ed ha colto in ogni cultura, anche in quelle apparentemente più distanti dal cristianesimo, le radici comuni che rendono gli uomini e le donne di ogni civiltà e condizione fratelli e sorelle. Gli scatti di Vittoniano Rastelli che si aprono su mondi e volti così diversi tra loro sembrano fare propria quella famosa esortazione lanciata da Giovanni Paolo II sin dal suo primo discorso del 1978, diventata subito il motto del suo pontificato e la chiave per costruire una rete di relazioni capace di superare i confini tra gli Stati e regalare ai popoli coesione e fiducia: “Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo, alla Sua salvatrice potestà, aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, civiltà e di sviluppo”.
In più di 100 viaggi apostolici oltre i confini italiani papa Wojtyla ha portato a compimento un progetto missionario di vasto respiro, per portare il Vangelo a tutte le genti e costruire un ponte tra nazioni, popoli e religioni. Rastelli, con la sua macchina fotografica, è stato testimone di appuntamenti ed eventi in ogni continente, che spesso hanno segnato pietre miliari del lungo cammino per la riconciliazione tra popoli, del dialogo interreligioso e del progresso dell’ecumenismo. Molte le visite passate alla storia, come quella nel Regno Unito, la prima di un Papa cattolico, quella in Romania, paese a maggioranza ortodossa o quelle nel suo paese natale, che contribuirono al processo di liberazione della “cortina di ferro”.
Nato a Genova nel 1936, Vittoriano Rastelli iniziò giovanissimo la sua carriera di fotografo per i giornali della sua città. La sua prima foto pubblicata è del 1951, quando aveva appena quindici anni, e ritrae il ciclista Luison Bobet mentre taglia il traguardo della Milano - San Remo.
Dopo aver collaborato con “Il lavoro”, di cui era direttore Sandro Pertini, si trasferì a Milano, dove lavora per “Sport illustrato” e poi per il settimanale della Rizzoli “Oggi”. Nel 1959, trasferitosi a Roma, ha modo di fotografare i protagonisti del cinema italiano. Nel ’63 inizia la sua collaborazione con “Life”, quindi con “Time Magazine” e con il “New York Times”.
Tra i servizi più importanti pubblicati per “Life” negli anni ’60, sono il viaggio di Paolo VI in Terra Santa, l’alluvione di Firenze, la guerra dei Sei giorni, l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, il restauro della Pietà di Michelangelo. Nel 1969 è stato l’unico fotoreporter a documentare gli scontri russo-cinesi sul fiume Ussuri per “Time Magazine”, poi ripreso dalle principali riviste del mondo.
Rastelli è stato uno dei protagonisti della conquista dell’accesso all’Ordine (1976) dei fotoreporter e foto cineoperatori.
Nel 1974 è entrato nella redazione di Epoca, firmando numerosissimi importanti fotoservizi. Dopo la chiusura della rivista, nel 1997, ha continuato a lavorare da freelance occupandosi anche di mondanità : per il “New York Times” ha seguito le collezioni di moda italiana, ha collaborato con “AD” e con “Il Venerdì di Repubblica” per il quale fotografato numerosi paesi stranieri fino ad arrivare nei due circoli polari. Ha inoltre seguito i principali viaggi di Giovanni Paolo II ed è stato in Afghanistan e in Iraq.
Ha ricevuto prestigiosi premi giornalistici e ha pubblicato numerosi libri, fra i quali “Fotografare con successo” (Rizzoli, 1977).
La mostra sarà ospitata anche dal Castello Reale di Varsavia, dal 17 maggio al 31luglio 2011 e, a seguire, sarà a Madrid, Lisbona, Manila e Buenos Aires.

di Antonio Venditti e Cinzia Dal Maso

"Oltre la soglia della speranza"

Il Centro Studi "Vintar", associazione culturale che ha l'obiettivo di contribuire allo studio e alla diffusione della cultura e della comunicazione, ha presentato nei giorni scorsi il bando del Concorso Internazionale di Poesia e Narrativa dedicato a Giovanni Paolo II: "Oltre la soglia della Speranza". I lavori ammessi devono ispirarsi alla vita e all’opera di Carol Wojtyla, approfondendo il concetto di speranza, al centro anche dell'ultima Enciclica di Papa Benedetto XVI, "Spe salvi". La sua recente pubblicazione e la necessità di un serio studio su di essa hanno spinto il Centro Studi "Vintar" a proporre questo premio come un’importante riflessione culturale sul tema, non solo a livello nazionale, ma anche a carattere internazionale. Il premio "Oltre la soglia della Speranza" si articola in tre sezioni. La prima è dedicata alla poesia di ispirazione religiosa. I partecipanti potranno presentare una poesia di ispirazione religiosa, composta al massimo di 30 versi, che dovrà essere inviata via e-mail all'indirizzo poesiareligiosa@email.it. Il seconda sezione è dedicata alla poesia inedita. Sono ammesse in gara poesie ispirate ai valori umani, che non superino i 30 versi, da inviare a poesiainedita@email.it. Per la narrativa inedita si può concorrere con un racconto ispirato ai valori umani o con un racconto per bambini. L'opera non deve superare le 10 pagine (formato A4, al massimo 30 righe per pagina). I lavori dovranno essere inviati a narrativainedita@email.it. Al concorso "Oltre la soglia della Speranza" possono partecipare anche tesi di laurea di carattere letterario, filosofico, storico, scientifico e teologico. Il testo va inviato a tesidilaurea@email.it. E' possibile aderire contemporaneamente a tutte le sezioni. Al concorso possono partecipare anche lavori in lingua straniera. Ogni autore deve inviare via mail, insieme alle opere, un curriculum che contenga i suoi dati (formazione scolastica, professione ed eventuali premi già ottenuti). Le opere di poesia, narrativa o le tesi di laurea dovranno essere spedite esclusivamente entro il 28 febbraio 2008 via posta elettronica, indicando a piè di pagina nome e cognome dell'autore, numero di telefono e indirizzo di posta elettronica. I premi, ispirati a Giovanni Paolo II, vogliono – come spiegano gli organizzatori, "stimolare continuamente l'impegno culturale per incidere e dare sapore alla società".

di Annalisa Venditti

 

NEL SEGNO DELLA SPERANZA ALLA RICERCA DELLA SALVEZZA

Nella sala consiliare di San Marco Argentano (Cosenza) si è tenuta la premiazione del Concorso Internazionale di poesia e narrativa "Oltre la soglia della speranza".

Il premio, istituito dal Centro Studi "Vintar" per la Cultura e la Comunicazione "vuole essere – come ha spiegato durante la cerimonia il presidente Umberto Tarsitano - un omaggio a Giovanni Paolo II, ma soprattutto una provocazione culturale".

"Ispirata all'Enciclica di Benedetto XVI ‘Spe salvi’ – ha precisato Tarsitano - l’iniziativa ha riscosso un ottimo successo. La Giuria ha infatti valutato un gran numero di lavori, inviati da ogni parte del mondo: Argentina, Australia, Brasile, Bulgaria, Canada, Cile, Colombia, Cuba, India, Italia, Malta, Messico, Nicaragua, Perù, Polonia, Portogallo, Repubblica Domenicana, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svizzera, Uruguay e Venezuela". Il premio per la narrativa inedita, il prezioso "Famulatus", trittico bronzeo realizzato dallo scultore Eduardo Bruno, è stato consegnato dalla dott.ssa Nella Mari, responsabile dei Servizi Educativi della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Calabria, alla nostra giornalista Annalisa Venditti. Tra le tesi di Laurea, è stata premiata quella del rev. dott. Wojciech Weckowski (Polonia), mentre il premio per la poesia d’ispirazione religiosa è andato al rev. prof. Antonio Staglianò. All’architetto spagnolo Jesús Ascaso Alcubierre è stato consegnato il premio per la poesia inedita. "Il mio racconto, ‘3 aprile 2005’, nasce da un ricordo forte e incancellabile. Dall’emozione di aver visto e di aver vissuto in prima persona uno degli eventi storici, religiosi e mediatici più importanti di questo millennio. Anch’io, come milioni di altre persone, dopo l’annuncio della morte del Santo Padre Giovanni Paolo II, mi sono trovata più volte in Piazza San Pietro" – ha ricordato Annalisa Venditti. "Quando ho saputo dell’esistenza di questo concorso che nasceva proprio come omaggio alla figura del Santo Padre, prendendo spunto dall’enciclica "Spe salvi" del sommo pontefice Benedetto XVI, ho pensato di ricostruire attraverso la scrittura la coralità di quei giorni, raccontando - sullo sfondo dei fatti principali del pontificato di Giovanni Paolo II - quattro storie che avevo ascoltato e che, nella loro intima natura, proprio alla speranza di un cambiamento si legavano. I protagonisti del mio racconto hanno tutti una loro silente disperazione, una paura con cui fare i conti, un desiderio di salvezza che si risolve in una marcia ideale verso il Santo Padre e il suo modello di coraggio". La giornalista ha ricordato l'attività di ricerca e dibattito impegnato in cui ha coinvolto gli studenti dell'Università Urbaniana di Roma – dove insegna – in occasione della morte di Giovanni Paolo II: " con i miei allievi, cui oggi voglio dedicare questo premio, siamo giunti ad una conclusione. Giovanni Paolo II, da grande comunicatore qual era, è riuscito in quei giorni a convocare in piazza San Pietro la più grande conferenza stampa della storia. Potete immaginare cosa significò commentare proprio con loro – che della Chiesa sono la parte più viva e in crescita - quel ‘miracolo’ comunicativo cui il mondo intero era chiamato a partecipare. La nostra era una lezione ‘alla finestra’. L’Università è vicinissima a San Pietro e sotto agli occhi avevamo la possibilità di analizzare le dinamiche di uno dei più interessanti e importanti eventi mediatici della storia". "Giovanni Paolo II si confronta con le speranze possibili dello sviluppo delle società nella pace – ha ricordato in una nota il rev. Prof. Antonio Staglianò - intercetta però anche gli aspetti drammatici del diffondersi di una cultura che pone l’uomo in questione, approfondendone la crisi: laddove la vita è distrutta e non rispettata, laddove l’amore partecipativo tra le persone è vinto dall’egoismo degli individui e dei gruppi sociali, laddove la verità dell’azione è compromessa dall’utilitarismo e dal pragmatismo che puntano al successo immediato, senza alcun senso di responsabilità per gli altri". "Ringrazio il Centro Studi Vintar e i vari enti che hanno collaborato all'organizzazione del concorso per aver deciso di conferirmi questo premio e in particolare la Diocesi di San Marco Argentano - Scalea, l'Amministrazione Comunale di San Marco Argentano, il Centro Internazionale di Studi sull'Arte Normanno-sveva, la sezione del Centro Italiano Femminile e la Biblioteca "E. Conti" di San Marco Argentano" – ha sottolineato Jesús Ascaso Alcubierre, che per improrogabili impegni di lavoro non è potuto intervenire alla cerimonia di premiazione. Alla manifestazione, condotta dal giornalista Silvio Rubens Vivone, hanno partecipato anche Virginia Mariotti, vicesindaco di San Marco Argentano e assessore comunale alla cultura, Viviana Manfredi, presidente del C.I.F., sezione di San Marco Argentano e Antonietta Converso, dirigente scolastico. "Il nostro desiderio – ha precisato Umberto Tarsitano - è stato quello di promuovere la riflessione, a partire dalle meditazioni e dagli insegnamenti sulla speranza nel pontificato di Giovanni Paolo II e continuata dall'ultima Enciclica di Papa Benedetto XVI. La pubblicazione della "Spe salvi" ha creato la necessità di un serio studio su di essa e ci ha spinti a proporre questo premio come riflessione culturale. La nostra associazione ha l'obiettivo di contribuire allo studio e alla diffusione della cultura e della comunicazione e questo premio vuole stimolare continuamente l'impegno culturale per incidere e dare sapore alla società. I concorrenti che hanno ricevuto il riconoscimento nella presente edizione hanno un unico comune denominatore: aver declinato, attraverso i diversi generi degli elaborati presentati, il concetto di speranza non esclusivamente quale valore "religioso", ma anche quale valore della vita di ogni giorno. Il centro studi ‘Vintar’ continuerà nel tempo questo appuntamento, che nella sua prima edizione ha riscosso un lusinghiero risultato". "E’ nostra intenzione – ha concluso Umberto Tarsitano - promuovere e incoraggiare la ricerca letteraria e scientifica, orientata ai valori positivi della società".

di Cinzia Dal Maso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GIOVANNI PAOLO II: IL SUO RAPPORTO CON ROMA

 

Giovanni Paolo II e Roma

E’ grande il successo di pubblico che sta ottenendo in questi giorni la mostra "Giovanni Paolo II e Roma", allestita fino al prossimo 8 gennaio nel Complesso museale del Vittoriano (ingresso gratuito, info: tel. 06-6780664). Sono andati a visitarla anche gli allievi del corso di "Teoria e tecniche del linguaggio giornalistico" del Centro di Comunicazioni Sociali della Pontificia Università Urbaniana insieme a un folto gruppo di Missionarie di S. Antonio Maria Claret. Giovani comunicatori, chiamati a portare nel mondo il lieto messaggio dell’evangelizzazione, hanno percorso l’itinerario espositivo dedicato alla carismatica figura di Giovanni Paolo II, Santo Padre e Vescovo di Roma, quella città tanto amata e benedetta la sera, prima di andare a riposare, dal Palazzo Apostolico.

"Qual è la missione di Roma?", disse nel 1989 Giovanni Paolo II "Si potrebbe parlare molto. Basta leggere il nome Roma, ma non come si legge nella geografia, ma dalla fine all’inizio. Allora abbiamo la parola amor. Questo penso che lo sapevano anche San Pietro e San Paolo quando vennero qui. Non so se erano consci di questa possibilità di cambiare le lettere della parola Roma. Ma certamente sapevano che la missione di Roma è amor".

di Annalisa Venditti

 

Papa Wojtyla è sempre in prima pagina

Un anno fa, la morte di Giovanni Paolo II catalizzava l’attenzione dei mass media. Alcuni quotidiani predilessero grandi foto, in bianco e nero o in full color, accompagnate da titoli ad effetto, altri privilegiarono gli articoli e i commenti.

La Mostra "Addio Karol. La scomparsa di Giovanni Paolo II nelle prime pagine dei maggiori quotidiani del mondo", nello spazio espositivo "Vetrina Roma" in piazza dei Cinquecento (lato viale E. De Nicola), offre una ricca panoramica di oltre 70 prime pagine originali dei principali quotidiani di 30 Paesi del mondo con la notizia della dipartita del Pontefice, che si spense nella serata del 2 aprile 2005.

I quotidiani italiani in vetrina sono ben 27. Vanno dal Corriere della Sera alla Repubblica, alla Gazzetta dello Sport, al Sole 24 Ore, fino ad alcuni importanti quotidiani locali come Il Piccolo (Trieste), Il Resto del Carlino (Bologna), Il Mattino (Napoli), La Gazzetta del Mezzogiorno (Bari), il Giornale di Sicilia (Palermo) e La Nuova Sardegna (Sassari). In visione anche le prime pagine dei due storici quotidiani della Capitale, Il Messaggero, Il Tempo e il freepress Metro.

Naturalmente non poteva mancare il Vaticano, con l’edizione straordinaria de "L’Osservatore Romano", lo storico giornale della Santa Sede.

I quotidiani stranieri coprono tutti e cinque i continenti. Per l’Europa, tra gli altri sono esposti il francese Le Figaro, il tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, lo spagnolo El Pais, il britannico The Sunday Times, l’austriaco Kurier, il turco Marmara ed il croato Vg Sondag. Non mancano i giornali polacchi, rappresentati da Rzeczpospolita, Gazeta Wyborcza, Trybuna e Fakt.

Per gli Stati Uniti, in vetrina il New York Times e il Chicago Tribune, mentre il Sud America è rappresentato da El Pais (Uruguay), UltimaHora (Paraguay) e El Sol de Mexico (Messico). Presente anche l’Africa, con il Sunday Nation (Kenya) e The Horn Tribune (Somalia). Nutrita anche la rappresentanza di giornali provenienti dal Medio Oriente e dall’Asia, tra cui The Moscow Time (Russia), The Jerusalem Post (Israele), L’Opinione Pubblica (Kuwait), Asahi Shinbun (Giappone), Kompas (Indonesia) e South China Morning Post (Hong Kong - Cina). Dall’Oceania, The New Zealand Herald (Nuova Zelanda).

Nata per iniziativa dell’Associazione per il Museo del Quotidiano, la Mostra ha ricevuto il patrocinio del Vicariato di Roma, dell’Ordine dei Giornalisti, dalla Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG), della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) e del movimento cattolico "Rinnovamento nello Spirito Santo". Sponsor dell’iniziativa sono la Confartigianato, la Banca Popolare dell’Emilia Romagna e la Faam, mentre media partner sono il quotidiano gratuito Metro e l’agenzia giornalistica Info.

L’esposizione, organizzata da Mediarkè, resterà aperta al pubblico fino al 30 aprile (ore 11.00 - 18.00, ingresso libero).

di Antonio Venditti

"Damose da fa! Semo romani!"

In mostra le fotografie del Pontificato, testimonianze romane, cimeli, oggetti e documenti appartenuti al Santo Padre

"Novembre scorreva veloce: era ormai tempo di partire per Roma. Quando venne il giorno prestabilito, salii sul treno con grande emozione. Con me c’era Stanilsaw Starowvieywski, un collega più giovane di me che avrebbe dovuto frequentare l’intero corso teologico a Roma. Per la prima volta uscivo dalle frontiere della mia patria. Guardavo dal finestrino del treno in corsa città conosciute soltanto nei libri di geografia". E’ la descrizione di un viaggio, l’inizio di una grande percorso che sarebbe diventato storia. Con queste parole Giovanni Paolo II ricordava il Suo arrivo nella Capitale, quando giovane studente lasciò la Polonia per frequentare il Pontificio Ateneo Angelicum.

Al Suo rapporto con la città che l’avrebbe visto, il 16 ottobre 1978, salire al soglio di Pietro è dedicata la mostra "Giovanni Paolo II e Roma", visitabile gratuitamente fino al prossimo 8 gennaio nel Complesso del Vittoriano (dal lunedì al giovedì: 9.30 – 19.30, venerdì e sabato: 9.30-23.30, domenica: 9.30-20.30).

L’esposizione, organizzata dal Vicariato di Roma e dall’Amministrazione Capitolina, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, presenta un percorso storico-documentario che lega, attraverso un ricchissimo apparato fotografico e numerose testimonianze, l’operato del Papa alla città.

"Non potrò mai dimenticare le sensazioni di quei miei primi giorni romani – annotava il Pontefice - quando nel 1946 cominciai ad introdurmi nella conoscenza della «Città eterna». Il padre Karol Kozlowski, rettore del seminario di Cracovia, mi aveva ripetuto più volte che, per chi ha la fortuna di potersi formare nella capitale del Cristianesimo, più ancora degli studi (un dottorato in teologia si può conseguire anche altrove!) importante è «imparare Roma stessa». Cercai di seguire il suo consiglio". Il giovane Karol Wojtyla ha "abbracciato" subito Roma, girandola con gli occhi del turista ammirato e con quelli accesi dalla fede: "arrivai con il vivo desiderio di visitare la ‘Città eterna’, a cominciare dalle catacombe. E così accadde. Insieme agli amici del Collegio belga dove abitavo, ebbi modo di percorrere sistematicamente la città sotto la guida di esperti conoscitori dei suoi monumenti e della sua storia. Ogni giorno dal collegio belga, in via del Quirinale 26, mi recavo all’Angelicum per le lezioni, fermandomi durante il tragitto nella Chiesa dei Gesuiti di Sant’Andrea al Quirinale, dove si trovavano le reliquie di San Stanislao Kostka, che abitò nell’attiguo noviziato e lì concluse la sua vita".

A pochi mesi dalla scomparsa dell’Uomo fa venire i brividi questa monumentale mostra curata da Alessandro Nicosia e Marco Pizzo che con rigore scientifico e narrativo ripercorre le tappe fondamentali del Suo operato. Negli occhi ci sono ancora le immagini forti, incancellabili, della folla multietnica e composta che si è riversata a Roma per stringersi in un ultimo, globale abbraccio senza precedenti. Il Papa delle masse, il Papa viaggiatore tra la gente, grande comunicatore fino all’estremo, fatale attimo, Uomo della Chiesa, voce dei più deboli, fu anche l’attento Pastore della sua città. Era il 1979 e così parlava della Sua missione: "solo da pochi mesi sono Vescovo di Roma. Comincio poco a poco a conoscere la mia nuova diocesi. Mi rendo conto che la mia missione «universale» si basa su quella «particolare» e perciò cerco di dedicarmi a quest’ultima per quanto posso".

"Non si può essere Papa – spiegava nel 1986 - senza essere Vescovo di Roma: questa è una verità dogmatica, ecclesiologica e allora se sono Vescovo di Roma essendo Papa, sono piuttosto Papa essendo Vescovo di Roma".

Così le foto del grande Giubileo del 2000, delle ricorrenze annuali, delle tante visite nelle parrocchie, negli ospedali, nelle carceri, negli Atenei, alla Sinagoga, restituiscono l’immagine di una Roma che Giovanni Paolo II ha amato, accudito come il più amorevole dei Padri. I figli orfani piangono oggi anche la sua dolce e affettuosa simpatia. Era il 26 febbraio del 2004 e il Papa polacco, già provato dalla sofferenza di una malattia mai nascosta e mostrata con evangelico coraggio, salutò in Vaticano i parroci e i preti romani con un memorabile "Damose da fa! Volemose bbene! Semo romani!".

Annalisa Venditti

 

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