Vittorio
Cian, nel suo libro sul "Femminismo patriottico del Risorgimento",
nell’ormai lontano 1930, aveva rilevato che fino ad allora gli
uomini, nello scrivere la storia, si erano comportati da maschi
sopraffattori e avevano finito per fare un po’ troppo la parte del
leone. "Bisogna che abbiamo pure il coraggio di rivederla questa
storia scritta da noi – continuava - e di riconoscere col
fatto che, quanto più si
estendono e si approfondiscono le indagini sul nostro Risorgimento,
più vediamo balzar fuori figure di donne".
E nella
storia della breve, intensa, gloriosa esperienza della Repubblica
Romana del 1849 si affacciano continuamente e talora fugacemente
volti femminili, impegnati in campi diversi ma sempre fondamentali.
Grazie
a Mario Bannoni e a Gabriella Mariotti possiamo conoscere una di
queste donne determinate e coraggiose: Margaret Fuller,
intellettuale di Boston, scrittrice e critica letteraria, autrice di
un testo femminista, corrispondente della New York Daily Tribune. Un
dagherrotipo del 1846 ce la mostra all’età di 35 anni, elegantemente
vestita, con i capelli raccolti sotto la nuca in un chignon e
l’espressione assorta.
"Vi
scrivo da una Roma barricata" (Conosci per scegliere editrice, 352
pagine, 18,00 euro. Illustrazioni di Caterina Cucchi) è un libro
ponderoso, denso di documenti e citazioni. Per nostra fortuna,
infatti, Margaret Fuller ha scritto moltissimo e ci ha lasciato
preziose testimonianze del suo soggiorno romano, di quegli anni
cruciali tra il 1847 e il 1850 che lei visse con entusiasmo,
emozione e sofferenza, conservando sempre un’innata obiettività e un
acuto spirito critico. E sempre per nostra fortuna Mario Bannoni si
è sprofondato nelle carte della Fuller, le ha studiate, analizzate,
ordinate, ricostruendo vicende, incontri e rapporti vissuti dalla
giornalista americana in Italia e Gabriella Mariotti, insegnante di
lettere e appassionata di storia, ha dato struttura narrativa a
tutto questo materiale. Il risultato è un libro piacevolissimo da
leggere, a dispetto dei tanti brani riportati, che non
appesantiscono affatto il testo, al contrario lo rendono vivo e
pulsante. Merito degli autori, ma merito anche della prosa sciolta e
acuta della Fuller, dotata di una capacità di osservazione fuori dal
comune. Un libro di storia, quindi, che però non ci dà mai la
possibilità di annoiarci, anche perché la vita di Margaret Fuller,
nei suoi ultimi anni, è avvincente come un romanzo. Ce ne sono tutti
gli elementi: una tenera storia d’amore, le peripezie della città
assediata dai francesi, un tragico epilogo. Proprio da quest’ultima
vicenda prende l’avvio il libro, che fa rivivere attraverso un
documento d’epoca - il servizio di un inviato della Tribune - il
naufragio del veliero che nel 1850 la riportava in patria insieme al
compagno, il marchese romano Giovanni Angelo Ossoli, e al loro
bambino di neppure due anni. "In Italia aveva lasciato il cuore",
scrivono gli autori. Lì "aveva vissuto la parte più intensa della
sua vita. C’era stato di tutto: l’entusiasmo per i paesaggi, l’arte
e la storia di un paese fino ad allora conosciuto dai libri. La
passione politica per le vicende italiane degli anni del
Risorgimento che non aveva soltanto osservato con gli occhi
dell’intellettuale impegnata e della giornalista, ma nelle quali
aveva finito per coinvolgersi in prima persona, grazie anche alla
frequentazione di tanti patrioti, a cominciare da un Mazzini o da
una Belgioioso. C’era stato l’amore e un’inaspettata maternità che
avevano totalmente cambiato il suo orizzonte affettivo. Molto lavoro
e tante difficoltà economiche. E la guerra, vista da vicino, tra i
feriti della Repubblica romana che si era trovata ad assistere negli
ospedali, nei momenti terribili dell’assedio". "Ho visto la
terribile agonia di chi moriva di chi doveva essere amputato",
scriveva Margaret in un servizio inviato alla Tribune. "Ho condiviso
la loro sofferenze morali per la mancanza dei cari lontani poiché
molti di loro erano lombardi, venuti dal campo di Novara per
combattere con maggior fortuna. Molti erano studenti dell’università
che si erano arruolati e si erano lanciati nella prima linea di
combattimento..."
E’ da
un reportage di guerra della Fuller, datato 6 maggio 1849, che viene
il titolo del libro. "Vi scrivo da una Roma barricata", vi si legge.
"La madre di tutte le nazioni è ora sotto scacco da parte di tutte
loro...", ma, continuava la giornalista, "anche se non può restare
in armi contro tutto il mondo, intende almeno farlo il più a lungo
possibile".