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Dal 1895 sulla colonna a ricordo della breccia di Porta Pia

Nasce dall’arte antica la Vittoria di Guastalla

Per celebrare degnamente il venticinquesimo anniversario dell’annessione di Roma all’Italia, soprattutto negli ambienti liberali si sentiva l’opportunità di erigere un monumento nei pressi di porta Pia, da porre proprio di fronte al punto in cui - nelle mura Aureliane - era stata aperta la storica breccia che aveva decretato la fine del potere temporale dei Pontefici.

Fino ad allora l’episodio era ricordato sul luogo solo da un’epigrafe posta nel 1871 sul tratto di mura ricostruito dopo la breccia, e da una seconda lapide posta nel 1874 della guardia nazionale per i 48 soldati caduti nel giorno della presa di Roma.

Nel 1890 si era pensato di affidare a Giulio Tadolini la realizzazione di un grande monumento dedicato al maggiore dei bersaglieri Giacomo Pagliari, ferito mortalmente da una pallottola in prossimità della breccia, ma poi ne se ne fece nulla.

Le celebrazioni del 1895 offrivano l’opportunità di fare finalmente le cose sul serio, con il sostegno della Società per il Bene Economico di Roma, i cui rappresentanti erano legati agli ambienti finanziari e al mondo massonico. Le donazioni arrivarono da tutta Italia, ma alla fine si ripiegò su una semplice colonna commemorativa, il cui bozzetto fu affidato a Ettore Ferrari, che però fu solo una sorta di supervisore. Ferrari, infatti, affidò al suo allievo Giuseppe Guastalla l’incarico di realizzare la statua della Vittoria posta sulla colonna e il disegno generale del monumento all’architetto Carlo Aureli.

La colonna, di granito rosso orientale, alta sette metri e con un diametro alla base di 86 centimetri, era stata rinvenuta – spezzata in due - nel 1875 a breve distanza dal Pantheon, all’inizio della salita dei Crescenzi. Apparteneva probabilmente alle terme Neroniane.

Per il Guastalla si trattava della sua prima commissione pubblica di una certa importanza. Senza compenso, in soli settanta giorni l’artista realizzò il modello, che sarebbe poi stato fuso nel bronzo e dorato dalla ditta Brugo-Piernovelli.

La figura della Vittoria è fortemente influenzata dalla scultura classica, in particolare da quella del primo ellenismo. Il modello a cui si è rifatto Guastalla è chiaramente individuabile. Anche se oggi è poco conosciuto, in passato ha avuto una discreta fortuna. La replica migliore dell’originale purtroppo perduto è una statuetta bronzea alta cinquanta centimetri e oggi al Museo Nazionale Archeologico di Napoli. La Vittoria è colta in volo discendente e tutto il peso del corpo si scarica sul piede sinistro. Il destro arretrato nello spazio proietta in avanti la figura in un movimento impetuoso. Il vento incolla alle gambe la parte inferiore del peplo. Il braccio sinistro, che doveva essere teso in avanti in tutta la sua lunghezza, non poteva che portare una corona, mentre il destro si può pensare reggesse una palma. In un suo saggio del 1913, Adolphe Reinach ipotizzava che questa fosse una copia in piccolo formato della celebre Vittoria di Taranto, fatta erigere da Pirro dopo la battaglia di Eraclea del 280 a. C. La statua, anche essa in bronzo dorato, fu poi portata a Roma e utilizzata da Augusto, nel 29 a. C., per ornare la Curia Iulia, dove rimase fino alla sua distruzione, perpetrata dai cristiani nel IV secolo. Il globo su cui poggia il piede la Vittoria è moderno, ma poteva far parte della composizione originale.

Anche la statua di Guastalla si protende dal globo, su cui è riportata la data del XX settembre. Il braccio destro è alzato a mostrare la palma della vittoria. Nella mano sinistra reca i fasci della concordia. I capelli, che nell’esemplare antico sono raccolti, in quello moderno sono lunghi e scarmigliati. Sul sommo del capo è la stella d’Italia a cinque punte. Una parte della critica contemporanea apprezzò i riferimenti classici della composizione, mentre per Ugo Fleres l’adozione del repertorio allegorico della tradizione per celebrare eventi contemporanei doveva essere considerato superato.

L’iscrizione sulla base della colonna fu dettata dal filosofo e politico Giovanni Bovio, nato a Trani, deputato al Parlamento dal 1876, mazziniano e repubblicano: XXV ANNIVERSARIO / DEL XX SETTEMBRE / QUANDO / ALL’UNIVERSALITA’ DEL DIRITTO / DUE VOLTE ROMANAMENTE / AFFERMATO / I FATI AGGIUNSERO / LA COSCIENZA LIBERA DELL’UMANITA’ NOVA / PER QUESTA BRECCIA / L’ITALIA RIENTRO’ IN ROMA.

Con espressioni altisonanti e un linguaggio non accessibile a tutti, il Bovio intendeva, nel "diritto due volte romanamente affermato", riferirsi alla Repubblica Romana del 1849 e alla breccia di Porta Pia.

di Cinzia Dal Maso

17 ottobre 2012

 

 

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