Fino ad
allora l’episodio era ricordato sul luogo solo da un’epigrafe posta
nel 1871 sul tratto di mura ricostruito dopo la breccia, e da una
seconda lapide posta nel 1874 della guardia nazionale per i 48
soldati caduti nel giorno della presa di Roma.
Nel
1890 si era pensato di affidare a Giulio Tadolini la realizzazione
di un grande monumento dedicato al maggiore dei bersaglieri Giacomo
Pagliari, ferito mortalmente da una pallottola in prossimità della
breccia, ma poi ne se ne fece nulla.
Le
celebrazioni del 1895 offrivano l’opportunità di fare finalmente le
cose sul serio, con il sostegno della Società per il Bene Economico
di Roma, i cui rappresentanti erano legati agli ambienti finanziari
e al mondo massonico. Le donazioni arrivarono da tutta Italia, ma
alla fine si ripiegò su una semplice colonna commemorativa, il cui
bozzetto fu affidato a Ettore Ferrari, che però fu solo una sorta di
supervisore. Ferrari, infatti, affidò al suo allievo Giuseppe
Guastalla l’incarico di realizzare la statua della Vittoria posta
sulla colonna e il disegno generale del monumento all’architetto
Carlo Aureli.
La
colonna, di granito rosso orientale, alta sette metri e con un
diametro alla base di 86 centimetri, era stata rinvenuta – spezzata
in due - nel 1875 a breve distanza dal Pantheon, all’inizio della
salita dei Crescenzi. Apparteneva probabilmente alle terme
Neroniane.
Per il
Guastalla si trattava della sua prima commissione pubblica di una
certa importanza. Senza compenso, in soli settanta giorni l’artista
realizzò il modello, che sarebbe poi stato fuso nel bronzo e dorato
dalla ditta Brugo-Piernovelli.
La
figura della Vittoria è fortemente influenzata dalla scultura
classica, in particolare da quella del primo ellenismo. Il modello a
cui si è rifatto Guastalla è chiaramente individuabile. Anche se
oggi è poco conosciuto, in passato ha avuto una discreta fortuna. La
replica migliore dell’originale purtroppo perduto è una statuetta
bronzea alta cinquanta centimetri e oggi al Museo Nazionale
Archeologico di Napoli. La Vittoria è colta in volo discendente e
tutto il peso del corpo si scarica sul piede sinistro. Il destro
arretrato nello spazio proietta in avanti la figura in un movimento
impetuoso. Il vento incolla alle gambe la parte inferiore del peplo.
Il braccio sinistro, che doveva essere teso in avanti in tutta la
sua lunghezza, non poteva che portare una corona, mentre il destro
si può pensare reggesse una palma. In un suo saggio del 1913,
Adolphe Reinach ipotizzava che questa fosse una copia in piccolo
formato della celebre Vittoria di Taranto, fatta erigere da Pirro
dopo la battaglia di Eraclea del 280 a. C. La statua, anche essa in
bronzo dorato, fu poi portata a Roma e utilizzata da Augusto, nel 29
a. C., per ornare la Curia Iulia, dove rimase fino alla sua
distruzione, perpetrata dai cristiani nel IV secolo. Il globo su cui
poggia il piede la Vittoria è moderno, ma poteva far parte della
composizione originale.
Anche
la statua di Guastalla si protende dal globo, su cui è riportata la
data del XX settembre. Il braccio destro è alzato a mostrare la
palma della vittoria. Nella mano sinistra reca i fasci della
concordia. I capelli, che nell’esemplare antico sono raccolti, in
quello moderno sono lunghi e scarmigliati. Sul sommo del capo è la
stella d’Italia a cinque punte. Una parte della critica
contemporanea apprezzò i riferimenti classici della composizione,
mentre per Ugo Fleres l’adozione del repertorio allegorico della
tradizione per celebrare eventi contemporanei doveva essere
considerato superato.
L’iscrizione sulla base della colonna fu dettata dal filosofo e
politico Giovanni Bovio, nato a Trani, deputato al Parlamento dal
1876, mazziniano e repubblicano: XXV ANNIVERSARIO / DEL XX SETTEMBRE
/ QUANDO / ALL’UNIVERSALITA’ DEL DIRITTO / DUE VOLTE ROMANAMENTE /
AFFERMATO / I FATI AGGIUNSERO / LA COSCIENZA LIBERA DELL’UMANITA’
NOVA / PER QUESTA BRECCIA / L’ITALIA RIENTRO’ IN ROMA.
Con
espressioni altisonanti e un linguaggio non accessibile a tutti, il
Bovio intendeva, nel "diritto due volte romanamente affermato",
riferirsi alla Repubblica Romana del 1849 e alla breccia di Porta
Pia.