Il
testo inedito di Francesco Piotti, autore anche della regia, è
liberamente ispirato a "Il piccolo Principe" di Antoine de
Saint-Exupery.
È uno
spettacolo dal ritmo scorrevole e veloce, che si inoltra tra le
righe di un capolavoro amatissimo della letteratura con equilibrata
modestia e un raro rispetto, senza ansie di stravolgere le originali
atmosfere in nome di vuote presunzioni intellettuali.
Chi ha
già letto "Il piccolo Principe" lo rivive in una cornice nuova, ma
priva di sofisticazioni. Chi non lo conosce si lascia prendere per
mano in un viaggio scenico che – attraverso proiezioni digitali –
valorizza la dimensione visiva di un testo dove le immagini si
moltiplicano attraverso le singole fantasie. Romantico e fedele allo
spirito dell’opera, ma innovativo nella forma, "I Principi che
eravamo" rende contemporanea la tradizione. Non è poco.
Ma c’è
un altro merito da attribuire a questo allestimento, generosamente
interpretato da Michele Balducci, Antonio Calamonici, Enrica Nizi e
Letizia Letza: l’aver scelto una chiave che rende la messinscena
fruibile sia a un pubblico adulto sia a uno molto più giovane.
La
platea dei bambini, in religioso silenzio, ascolta rapita le
peripezie di un giovane Principe che scopre la vita e ne assapora i
valori attraverso la cura e la dedizione che si devono all’Amore. I
grandi si commuovono perché conoscono le crisi, gli sforzi che
questa ricerca e questa amorevole attenzione richiedono. Come in un
sogno, tutto ha inizio in una quotidianità fatta di numeri, conti,
frenesie. Siamo in uno studio finanziario e c’è un giovane, forse
alle prime armi con un lavoro che sembra promettergli ben poche
emozioni. Seduto alla sua scrivania vede trascorrere i giorni sotto
il ritmo incalzante di calcolatrici e pile di scartoffie e pratiche
da adempiere. Poi, all’improvviso, cala la notte e con essa inizia
un viaggio immaginario che terminerà con una rosa, magicamente
comparsa in un vaso. E’ la rosa del piccolo Principe. Un fiore
delicato eppure forte della sua unicità che, ancora una volta, ci
ricorda come "l’essenziale sia
invisibile agli occhi".
"L’ho
immaginato come un viaggio interiore, un’avventura immaginifica alla
riscoperta di sé", spiega Piotti.
"Quando da piccolo, come molti, leggevo l’opera di Saint- Exupery
- continua - era difficile non stare
dalla parte di quel ragazzino biondo. Oggi mi chiedo cosa sia
rimasto di quei valori nella società contemporanea, sull’orlo della
bancarotta fraudolenta. Il Piccolo Principe dovrebbe tornare come
gemma che opera dall’interno, per distruggere quelle corazze che il
sistema del cinismo ha inalato spacciandole per elisir di successo e
benessere".
"La
narrazione - continua
- si poggia su due pilastri apparentemente contrapposti che
convivono come anime diverse di una stessa persona: la tecnologia e
l’artigianato, la scenografia virtuale e il teatro di strada".