Una piccola finestra indica la cella del fondatore
dei Trinitari |
L’Arco di
Dolabella e Silano e San Giovanni de Matha
 In
uno degli angoli più belli del Celio, a breve distanza da Santa
Maria in Domnica, in un isolato altamente suggestivo, si apre un
antico fornice in blocchi di travertino, che dà accesso a via San
Paolo della Croce. E’ l’Arco di Dolabella e Silano, a un solo
fornice largo quattro metri. Attualmente è interrato per circa due
metri, ma in origine era alto 6 metri e 56 centimetri. Era stato
edificato su una base di calcestruzzo e i piloni inferiori erano
sporgenti verso l’interno, in modo da proteggere l’intera struttura
da eventuali danni provocati dalle ruote dei carri che lo
attraversavano. L’armilla, ossia la serie di conci radiali
dell’arco, poggia su due elementi fortemente sporgenti. La cornice
di coronamento reca un’iscrizione consunta dal tempo nella quale
sono riportati i nomi dei due consoli del 10 d. C., Publio Cornelio
Dolabella e Caio Giulio Silano, che per decreto del Senato avevano
costruito e collaudato l’opera. Accanto al pilone destro si
riconoscono alcuni blocchi in opera quadrata molto simile a quella
caratteristica delle mura serviane, un particolare che ha fatto
identificare in questo arco un rifacimento dell’antica Porta
Celimontana che si doveva aprire nella cinta muraria repubblicana
del IV secolo a. C. all’incirca in questo punto. Nel primo secolo
dopo Cristo, in epoca neroniana, l’arco fu utilizzato come una sorta
di sostegno per farvi passare sopra l’acquedotto dell’acqua Claudia,
o Neroniano. Ma le trasformazioni non erano finite, perché nel
Medioevo il fornice dell’acquedotto che sovrastava l’arco fu
tamponato e trasformato in una minuscola stanza con una piccola
finestra, tuttora visitabile, ritenuta la cella dove, secondo la
tradizione, sarebbe vissuto dal 1209 al 15 dicembre 1213, giorno
della sua morte, San Giovanni de Matha, fondatore dell’ordine dei
Trinitari.
Giovanni era nato in Provenza, a Falcone, il 16 giugno 1160, in una
famiglia nobile. Compì studi umanistici nella città di Aix, quindi,
dopo un periodo di meditazione, studiò teologia all’Università di
Parigi, con tale profitto che in breve divenne professore di quello
stesso ateneo. Abbracciò il sacerdozio e durante la celebrazione
della sua prima messa, il 28 febbraio del 1193, ebbe la sua famosa
visione: un uomo dal volto radioso che teneva per le mani due
individui con le catene ai piedi. Uno degli individui era nero e
deforme, l’altro bianco, pallido e macilento. L’uomo gli intimò di
liberare le povere creature schiave per motivi di fede.
Giovanni comprese immediatamente che la sua missione sacerdotale
sarebbe stata quella di emancipare gli schiavi cristiani in
Nordafrica, dove i pirati del Mediterraneo vendevano i giovani
rastrellati negli assalti in mare e nelle scorribande di terra: a
Cerfroid, a circa 100 chilometri da Parigi, fondò con quattro
eremiti l’Ordine della Santa Trinità.
Insieme
con un suo compagno, Felice di Valois, che aveva il sangue dei re di
Francia, Giovanni si portò a Roma, dal pontefice Innocenzo III, ai
primi di dicembre del 1197. Questi inizialmente non aveva molta
fiducia nei loro progetti, ma, mentre celebrava in San Giovanni in
Laterano la solenne messa di Natale, ebbe la stessa visione di
Giovanni. Fu così che Innocenzo III il 21 gennaio del 1198, festa di
Sant’Agnese, approvò la regola dei Trinitari e diede loro l’abito
bianco con la croce rossa e azzurra, con cappa e cappuccio neri. Lo
stesso pontefice, poi, il 17 dicembre del 1198, rivide e confermò la
regola con la bolla "Operante dìvinae dìspositionis clementia". Nel
1207 avrebbe concesso loro la chiesa, il convento e l’Ospedale di
san Tommaso de Formis sul Celio. Proprio di fronte all’Arco di
Dolabella e Silano, il portale duecentesco che dava accesso al
complesso reca ancora una splendida edicola marmorea che protegge il
tondo in mosaico con la visione di San Giovanni de Matha.
I
Trinitari erano pronti a partire per il Marocco. Qui visitarono
prigioni e mercati, trattando sia con le autorità che con padroni, e
riuscirono a liberare i primi duecento schiavi, con regolari
scritture registrate da un notaio. Al ritorno, lo sbarco a Marsiglia
fu estremamente commovente, con San Giovanni che accompagnava i
duecento emancipati alla cattedrale cantando il salmo "In exitu
Israël de Aegypto". San Giovanni de Matha e i suoi compagni
riuscirono a liberare circa 7 mila schiavi, mentre nei loro tre
primi secoli di opera si calcola che i Trinitari sarebbero riusciti
a emancipare in terra musulmana 90 mila cristiani, tra cui Miguel de
Cervantes.
di
Antonio Venditti e
Cinzia Dal Maso
11 aprile 2012 |
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