Clelia
Nalli era nata a Roma nel 1810 da Enrica e Sebastiano, entrambi romani, di
estrazione borghese e assai stimati. La madre, poetessa di una certa fama,
intorno al 1820, nella sua casa in via del Pozzetto, ospitava riunioni di
artisti e letterati, tra cui il Ferretti, il Perticari, il Rossini, il Canova e
il principe Poniatowski, durante le quali venivano letti lavori teatrali di
Vittorio Alfieri e Vincenzo Monti. Tali letture si trasformarono in vere e
proprie rappresentazioni, nelle quali, per motivi di spazio, lo scenario era
sostituito da una semplice tabella sulla quale era indicato il luogo in cui si
svolgeva l’azione. Sembra che durante una di queste recite anche il Canova
interpretasse un ruolo nell’Ifigenia dell’Alfieri.
Le sue figlie
Giuditta, Lavinia e Clelia, cresciute in un ambiente così colto ed
effervescente, non potevano che rimanere contagiate dall’amore materno per la
letteratura italiana.
Clelia si era
sposata molto giovane con il chirurgo Lorenzo Massimi, anch’egli appassionato di
arte drammatica. Allo spirito eletto, ai modi scelti e soavi" – scriveva
Virginio Prinzivalli nelle memorie dell’Accademia filodrammatica romana -
riuniva un aspetto leggiadro". Era di statura media, snella ed elegante. Aveva
capelli neri e sguardo vivo, amava la lettura ed era dotata di solidi principi
morali e religiosi. Nell’aprile del 1842 entrò a far parte, insieme con la
sorella Giuditta, dell’Accademia filodrammatica romana. Pietro Sterbini le
affidò la parte di Livia nella sua tragedia il "Tiberio".
All’inizio del 1848
promosse alcune rappresentazioni a beneficio degli asili d’infanzia. Venne anche
messa in scena una singolare commedia in due atti, "L’Istituto di Montereau", il
cui titolo originale era "L' anno
1814 ossia Il pensionato di Montereau", di A. P. Dennery e E. Cormon, eseguita
da quattordici ragazze agli ordini di Virginia Traversi e Clelia Massimi, che,
per l’occorrenza, si erano fatte istruire nelle manovre militari da un ex
capitano della guardia napoleonica, il maggiore Zacchieri.
Singolare
l’intreccio, ambientato in Francia, a Montereau, nel 1814, quando la cittadina
era invasa dagli austriaci. I loro alleati avanzano verso Parigi e l'imperatore
muove contro di loro. Il sarto Giampaolo Canivet conduce la nipote Cecilia
presso la sua vicina madama Laurent, che oltre a quattro nipoti, Augustina,
Clotilde, Giannina ed Ernestina, tiene a pensione anche altre giovinette, per
tenerla al sicuro mentre lui è costretto a far parte della guardia nazionale.
Cecilia, una ragazza molto vivace, è innamorata del giovane Alfredo, ufficiale
della guardia nazionale. Induce Mulot, il giardiniere di madama Laurent, a
impadronirsi delle uniformi e delle armi in possesso dello zio Canivet, quindi
fa vestire tutte le pensionate da soldati e la serva Susanna da tamburino. Fa
prigioniera madama Laurent, chiude lo zio nella colombaia e si nomina comandante
del drappello femminile. Alfredo, ferito dai Cosacchi in un'imboscata, è
soccorso da Cecilia, che poi, sapendo che sta per passare vicino al pensionato
un distaccamento degli alleati, incita le ragazze a far fuoco su di loro.
Questi, credendo di essere assaliti da un gran numero di soldati francesi, si
danno alla fuga. Dall’alto di una collina Napoleone assiste all’avvenimento e
rimane ammirato dal coraggio del volontario che comanda il drappello, ignorando
che si tratta dell’intrepida Cecilia. Ordina al suo aiutante di raggiungere il
giovane, riconoscibile per la sua sciarpa celeste, e di promuoverlo. Cecilia,
saputa la cosa, cinge della sua sciarpa Alfredo, che, divenuto capitano, la può
sposare tra il tripudio generale.
Purtroppo sulla
commedia si abbatté la scure della censura teatrale, per mano del famigerato
abate Somai. Agli attori fu proibito di pronunciare le parole cosacchi, russi,
imperatore, Parigi, sostituite dalle generiche espressioni di nemici, capitale,
paese.
Nel giro di poco
tempo Clelia Massimi passò dalla guerra per commedia a quella tragica e reale
della Repubblica Romana sotto le bombe francesi. La donna, di cui era noto lo
spirito caritatevole – come scriveva il Prinzivalli sapeva fare "proprio
l’altrui dolore" - prestò la propria opera, insieme con la giovanissima figlia
Giulia, per la cura dei feriti presso l’ambulanza allestita all’ospizio della
Trinità dei Pellegrini.
Da una guida per
viaggiatori inglesi del 1856 sappiamo che in quegli anni Clelia Massimi dava
lezioni di declamazione per signore in lingua italiana nel palazzetto Borghese.
La sera del 23
novembre 1857, appena rincasata dalla prova generale di uno spettacolo teatrale,
Clelia fu colta da apoplessia fulminante e morì alle sette del mattino seguente.