Fu costruito grazie agli Italiani emigrati in Argentina

Il Faro tricolore del Gianicolo


Nelle ricorrenze nazionali, potenti fasci di luce tricolori illuminano le notti romane: vengono dal Faro del Gianicolo, elevato nel 1911, in occasione del primo cinquantenario della creazione del Regno d’Italia, grazie ai fondi raccolti dagli Italiani emigrati in Argentina. Il luogo in cui è stato collocato, oltre a essere molto elevato, ha anche un significato simbolico per essere stato teatro degli scontri per la difesa della Repubblica romana del 1849.

Il Faro è opera dell’architetto piacentino Manfredo Manfredi (1859 – 1927), che realizzò anche la tomba di Vittorio Emanuele II all’interno del Pantheon, il progetto del palazzo del Viminale, e contribuì a portare a termine il Vittoriano.

Realizzato in pietra bianca di Botticino, è alto 20 metri e si ispira alle forme dell’arte classica.

Su una base circolare con diametro di dieci metri si innalza una tozza colonna sovrastata da un capitello su cui corre la dedica: "A ROMA CAPITALE GLI ITALIANI D’ARGENTINA. MCMXI". Sopra al capitello è una sorta di ara circolare ornata da quattro erme con protomi leonine, collegate da festoni. Sopra a tutto, la lanterna, raggiungibile attraverso la scala a chiocciola che conduce al capitello e poi attraverso una scala a pioli di ferro. Nella base del Faro sono stati ricavati tre locali: l’atrio di ingresso alla scala e due ambienti di servizio e deposito, situati nello spazio circolare che corre intorno alla scala.

La balconata del Faro, che guarda verso il carcere di Regina Coeli, a cui è molto vicina in linea d’aria, era utilizzata fino a qualche tempo fa dai familiari dei detenuti per comunicare con i loro parenti: una pratica in effetti vietata, ma tollerata dalle forze dell’ordine, purché i messaggi riguardassero esclusivamente notizie importanti e urgenti.

di Annalisa Venditti

01 giugno 2010

I busti del Gianicolo bendati
in nome di una  pseudo cultura

Oggi la parola cultura è usata sproposito in ogni tipo di conversazione, privata o pubblica.

E fin qui tale abuso sarebbe pure sopportabile, vista l’ignoranza terminologica – anche televisiva - da cui siamo invasi, ma che in nome di un indefinito tipo di cultura si utilizzino quali elementi propagandistici i busti marmorei del Gianicolo, dedicati agli eroi del nostro Risorgimento e in particolare della Repubblica Romana del 1849, è soltanto un’offesa gratuita al ricordo di tanti martiri della libertà - per i quali la cultura ebbe "un’anima, un principio spirituale" - e all’intelligenza dei romani.

E’ possibile che questa riflessione abbia accumunato i pochi passanti che ieri mattina, subito dopo il sorgere del sole, lungo i viali del Gianicolo hanno visto i circa 80 busti violati da una benda nera sugli occhi con la scritta My Trastevere e ridicolizzati. Come tante statue di Pasquino, alcune di loro avevano appeso al collo con uno spago da cucina un foglio con una poesia spacciata come scritta da Trilussa. Con una metrica claudicante, in un romanesco stentato, si denuncia la scomparsa della cultura, non avendo però la capacità, o meglio il coraggio, di dare una chiara proposta alternativa: se non proprio didattica, perché sarebbe pretendere troppo, almeno sociologica e non propagandistica. Certamente, anche la "cultura del buon senso" deve essere veramente ostica a questi improvvisati e non ben definiti paladini del sapere romano, ai quali sarebbe bello chiedere la differenza tra i termini "romanità" e "romanistica": qualcuno potrebbe dire che è un po’ come sparare su degli indifesi, meglio dire su degli ignoranti! Nemmeno le statue di Trilussa e di Giuseppe Gioachino Belli nelle omonime piazze sono state risparmiate da questo blitz dell’ignoranza e della maleducazione: a ciascuna è stato appeso il messaggio dell'iniziativa firmata sempre My Trastevere.

Alcuni pensano che gli autori possano essere stati spinti ad effettuare un’azione di protesta politica a seguito dei tagli subiti dalla cultura che hanno coinvolto, oltre all'università e alla scuola, anche musica, cinema, teatro e centinaia di enti italiani. Per altri, invece, rispecchia una denuncia sociale.

La facilità con cui è stata effettuata l’incursione ha dimostrato ancora una volta quanto siano vulnerabili e privi del necessario controllo i busti del Gianicolo, vittime di continui atti di vandalismo, sempre rimasti impuniti: alcuni sono stati decapitati, altri imbrattati e quello di Colomba Antonietti ha il naso spezzato.

Per bendare la statua del Belli poi, qualcuno ha dovuto addirittura arrampicarsi sul monumento. E’ possibile che abbia potuto agire indisturbato in un largo che accoglie numerose fermate di autobus e il posteggio dei taxi?

La firma "My Trastevere" da settimane circola per le strade della capitale legandosi ad attività sul territorio volte a "riportare la cultura tra la gente", due settimane fa con un concerto in Piazza Trilussa che ha visto l'incursione serale di una band con tredici musicisti, fino alle 23 circa camuffati tra la folla, che ha dato vita ad una "session" di divertimento. La scritta My Trastevere, però, rimane avvolta nel mistero.

di Alessandro Venditti

27 ottobre 2010

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