Anche l’imperatore Tiberio alzava il gomito
Vino e alcolismo nell’antica Roma
di Annalisa Venditti

Gli antichi romani amavano bere il vino, cui attribuivano anche un potere medicamentoso. Le migliori qualità non mancavano sulle mense dei ricchi, mentre i poveri si dovevano accontentare di qualche bevuta a buon mercato ai "thermopolia", i bar dell’epoca, dove l’oste lo serviva, a seconda della stagione, caldo o freddo. Alle donne, per lo meno nei tempi più antichi, era interdetto il consumo del vino, considerato un elemento estraneo alla coppia, nocivo alla salute e soprattutto nemico dell’integrità morale. Contravvenire al divieto era considerato al pari dell’adulterio.

C’è da dire che il sapore del vino antico era diverso da quello attuale, non solo per la conservazione, ma anche perché la miscela più consigliata era di tre parti d’acqua e una di vino. Il vino puro era fortemente temuto e consumato soltanto da coloro che si erano ormai persi nel vizio. Il vino poteva essere allungato anche con acqua di mare, oppure con il miele, come avveniva per il "mulsum", l’aperitivo dei nostri progenitori. Era nota l’aromatizzazione con petali di rose, violette e pepe.

Se da un lato spesso la letteratura esaltava nel vino la sua gioiosa componente conviviale, dall’altro già anticamente si percepivano la pericolosità e gli effetti dannosi di un uso smodato. In una commedia di Eubulo (IV sec. a. C.) Dioniso in persona spiega che è da morigerati bere al massimo tre coppe di vino: una per il brindisi, una per l’amore e una per il sonno. La quarta infatti porterebbe alla violenza, la quinta al chiasso, la sesta all’allegria dell’ubriachezza, la settima alla rissa, l’ottava al tribunale, la nona all’attacco di fegato, la decima alla follia e alla distruzione del mobilio. Una piaga, quella dell’alcolismo, già nota ai tempi di Roma antica, se Plinio il Vecchio nel I sec. d.C., tra gli effetti negativi del vino, annoverava "la dipendenza", precisando come il vino fosse "un prodotto tanto adatto a confondere l’intelletto umano e suscitare pazzia, causa di migliaia di delitti". Dediti al vino erano, tra gli altri, secondo le fonti, Marco Antonio e Marco, figlio di Cicerone. Svetonio tramanda che l’imperatore Tiberio (14-37 d.C.) si era aggiudicato per questo un inequivocabile soprannome da parte del suo esercito. Tiberius Claudius Nero era diventato, per assonanza, Biberius (bevitore) Caldius (di più caldo) Mero (vino puro).

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