Nell’antica Roma brindisi festosi e auguri allietavano il banchetto
Il vino: dalla pergola alla tavola
di Annalisa Venditti

"I bagni di vino e Venere potranno anche distruggere i nostri corpi, però sono i bagni, il vino e Venere a fare la nostra vita!". Questo epitaffio posto sulla tomba di Claudio Secondo, liberto della famiglia Claudia, ben racchiude la passione che gli antichi romani avevano per il vino, il più amato dei commensali.

Durante il banchetto i brindisi si succedevano: i più frequenti erano "bene tibi!" (che ti vada bene!), "vivas!" (che tu viva!), "salus!" (salute!), "bibe…et vivas multos annos!" (bevi e vivi molti anni!).

Alla padrona di casa si augurava salute con un gioioso "bene dominae!". Questi lieti motti spesso si trovavano scritti su coppe che, come oggetti propizi per il futuro, venivano regalate a capodanno o in occasione particolari. Per fare baldoria c’era anche l’usanza di vuotare tanti bicchieri di vino quante erano le lettere che componevano il nome del festeggiato. Il più semplice dei bicchieri, in terracotta o di legno, si chiamava "poculum", utilizzato per bere anche un’umile bevanda come la "posca", a base di aceto e acqua. La "lagona" era il recipiente dal collo stretto e dall’orifizio allargato, con un’ansa, da cui il vino veniva versato nei bicchieri. Nelle ampolle si portavano in tavola i vini più pregiati, serviti in piccole quantità. Come è noto, il vino non era bevuto puro, ma allungato con l’acqua. Della miscela si occupavano per lo più gli schiavi, su comando del padrone o del "rex bibendi" eletto dai commensali. La mescolanza avveniva nel cratere, un grande recipiente dalla larga bocca, originariamente di terracotta. Con il "simpulum", mestolo a manico lungo di metallo, venivano riempite le coppe. Il vino puro, considerato nocivo, era offerto nelle libagioni agli dei, con alcune accortezze tramandateci da Plinio il Vecchio: non doveva essere originato da una vite colpita dal fulmine o da chicchi pigiati con piedi feriti. La vite doveva essere potata e non vi doveva essere mai stato appeso un cadavere. Il vino consumato sulle tavole poteva essere allungato anche con acqua di mare. Si credeva che questo facesse somigliare i vini nostrani a quelli greci, considerati molto più pregiati. I Romani, se producevano un vino in casa, tendevano a riporlo in anfore che avevano contenuto vino greco nella speranza che il prodotto potesse migliorare.

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