Nella
storia di Roma antica e recente si distinguono numerose figure
femminili che hanno partecipato con fermezza e coraggio al complesso
fenomeno culturale della guerra. Tra le eroine rinascimentali, non
si può dimenticare Giuditta Tavani Arquati, della cui tragica morte
è appena caduto l’anniversario.
Era nata a
Roma nel 1836 e visse a Trastevere,
dove sposò nella chiesa di San Crisogono Francesco Arquati, di umile
condizioni, da cui ebbe molti figli. A causa di ristrettezze
economiche, la famiglia fu costretta a trasferirsi a Venezia in
cerca di lavoro, ma tornò ben presto a Roma.
I convulsi avvenimenti del 25 ottobre
1867 sono efficacemente narrati nel suo recente volume ""Donne e
Guerra. Dire, fare, subire" (Elsa di Mambro Editore, 300 pagine,
euro 19,90) da Fiorenza Taricone, docente di Storia delle Dottrine
politiche e di Pensiero politico e Questione femminile presso
l’Università di Cassino.
"Nella fabbrica di Giulio Ajani alla
Lungaretta, capo delle cospirazioni di Trastevere, quaranta patrioti
fra cui l’Arquati, accompagnato dalla moglie e un figlio, si erano
riuniti per organizzare una rivolta", riferisce la Taricone.
Purtroppo ci fu una spiata.
L’edificio fu circondato da trecento tra zuavi e gendarmi. "I
patrioti, asserragliati, presero le armi e Giuditta prestava aiuto
soccorrendo i feriti, porgendo le munizioni. Quando, invece
dell’intervento di altri patrioti sopraggiunsero rinforzi zuavi –
prosegue - la sorte dei combattenti fu segnata e durò fino a che,
mancando le armi, i soldati entrarono abbattendo la porta". Fu
l’inferno: i cospiratori che non erano riusciti a fuggire vennero
barbaramente trucidati. Giuditta, raggiunta da numerosi colpi d’arma
da fuoco, vide il marito e il figlio Antonio, appena diciassettenne,
trapassati da colpi di baionetta con tale foga da bucare il muro
dietro di loro. I carnefici quindi si accanirono su di lei e la
finirono penetrando con le lame più volte nel ventre che conteneva
una nuova vita.
Terminato
il massacro, gendarmi e zuavi si sedettero alla mensa preparata da
Giuditta e brindarono alla vittoria, in mezzo a tutto quel sangue e
ai cadaveri orrendamente trucidati.
La tragedia rimase a lungo nella
mente dei romani. Ne fu testimone il patriota Alberto Mario, che si
trovava a Roma il 25 ottobre del 1870, nella ricorrenza del terzo
anniversario. "Fino dal mattino – ricordava - la casa Ajani n. 97 in
via della Lungaretta era fastosamente addobbata a lutto con damaschi
neri a fettoni fimbriati in oro. Nel mezzo dell’addobbo sorgeva un
busto naturale di donna ancora giovane con aspetto e forme di
matrona antica; aspetto e forme che ancora si ravvisano nelle donne
trasteverine. Sotto al busto, un’iscrizione; e più sotto, altre tre.
Corone di fiori di lauro pendevano intorno. Tutta la via della
Lungaretta era cosparsa di foglie d’alloro. Da tutte le abitazioni
sventolavano bandiere tricolori. La porta principale della casa
Ajani stava aperta. La gente v’entrava, visitava gli appartamenti e
ne usciva per una porta laterale che mette in altra contrada. Il
giorno 25 non meno di settantamila persone furono a quella casa, ed
altrettante nei giorni seguenti: Io ci andai due volte ed era una
interminabile processione di pedoni e di carrozze, alcuna delle
quali anche di principi romani. Al vespero del 25 accorsero in corpo
l’associazione dei reduci delle patrie battaglie in colonna di
cinquecento, le rappresentanze dei quattordici rioni portando
bandiere a bruno e tre bande musicali che accrescevano la mestizia
universale con musiche funebri".
La
ressa era tale che Alberto Mario riuscì a entrare nella casa solo il
29 ottobre. Ne riportò un’impressione fortissima: "dove giacquero
trucidati la Giuditta e il marito e il figlio sorgeva una croce in
marmo vagamente scolpita, dono dei marmisti di Roma: sulla parete
pendevano corone di fiori e di sempreverdi appese dai visitatori.
Vedevansi nell’intonaco della parete i buchi fatti dalle baionette
nel passar da parte a parte i corpi di quei gloriosi infelici e la
parete spruzzata di sangue e larghe macchie sanguigne sul pavimento.
Simili buchi e macchie e colpi di palla proprio al basso della
parete presso al pavimento si vedevano anche nella stanza vicina.
Nel mezzo della quale alzavasi un tumulo ove leggevasi i nomi di
tutti caduti. Il colore tetro degli apparati, le corone, le
iscrizioni, i segni orrendi di quella tragedia e l’immagine viva
della donna sublime, stringevano il cuore".