"Donne
e Guerra. Dire, fare, subire": questo il titolo del nuovo volume
con cui Fiorenza Taricone ricostruisce la storia del rapporto tra
scenari bellici e mondo femminile, sgombrando il campo da tanti
luoghi comuni e travisamenti. L’autrice - professoressa di Storia
delle Dottrine politiche presso l’Università di Cassino e docente di
Pensiero politico e Questione femminile - scava nel passato
dell’umanità fino ad arrivare alla figura semileggendaria di
Semiramide, regina degli Assiri, donna di virtù eccezionali e di
grande intraprendenza, ma proprio per questo vittima della
maldicenza della storiografia. "Numerosi esempi dimostrano come
la realtà storica di Semiramide - si legge nel volume - abbia
spesso lasciato il posto, anche molti secoli dopo, a versioni che
mettono in rilievo la sua immoralità e soprattutto crudeltà, con
chiare analogie alle donne- amazzoni". E proprio a queste
ultime eroine Fiorenza Taricone dedica un capitolo ricco di dati e
citazioni, muovendosi con estrema agilità nel ginepraio delle fonti
antiche, per tentare di ancorare il mito alla realtà, estrapolandone
evidenze storiche, geografiche o etimologiche.
L’excursus sui ruoli attivi e passivi
assunti dalle donne negli scenari bellici prosegue con il Medio Evo
- epoca di grandi contraddizioni che vede castellane in stato di
semischiavitù nei ginecei ma anche donne guerriere e determinate -
per passare attraverso il Rinascimento, il Seicento, il Settecento,
il Romanticismo e approdare alle due guerre mondiali, alla
resistenza, al secondo dopoguerra e alla recente legge sul
volontariato femminile militare. Particolarmente interessante il
saggio sul travestitismo femminile, che prende l’avvio da uno
scritto di Benedetto Croce sulle donne-soldato nel Seicento. Si
inizia con donna Catalina de Erauso, la cosiddetta monaca – alfiere
fuggita da convento in panni maschili che ebbe una vita battagliera
e avventurosa. "Un’altra donna che militava nei panni di un
soldato ungaro - si legge - fu scoperta a Bologna nel 1664,
mentre più romanzesco appare il caso di due ragazze francesi, figlie
di un ugonotto e di una cattolica, Luisa e Maria Cassier, che il
padre, dopo la morte della madre, condusse con sé in abiti maschili
per sfuggire alle persecuzioni, a Ginevra". Le due ragazze
lasciarono il padre durante il viaggio e benché avessero solo
quindici e tredici anni "peregrinarono travestite per tutta
l’Italia", intraprendendo anche una campagna contro il
brigantaggio.
Quel
"dire, fare, subire" nel titolo del libro sta appunto a
indicare - spiega Taricone - "una molteplicità di modi nel vivere
il complesso fenomeno bellico, e il suo corredo di violenza di
pertinenza maschile; un mondo da cui le donne sono state escluse per
l’originaria divisione sessuale dei ruoli, quindi messe al riparo,
ma contemporaneamente esposte come popolazione civile, come madri,
sorelle, figlie, amanti". Ad esempio, "se è vero che le donne
che combattono in prima persona durante le lotte risorgimentali non
hanno più un assoluto bisogno di travestirsi da uomini come era più
frequente nel XVII e XVIII secolo, è altrettanto vero che
socialmente, le funzioni accettate sono limitative, e oscillanti tra
la moglie-madre e la madre-martire. Le prestazioni più degne di
ammirazione da parte delle donne sono quelle riferibili
all’educazione destinata a inculcare alla prole l’amor patriottico".
Le pagine di "Donne e guerra.
Dire, fare, subire" (Elsa Di Mambro Editore, 300 pagine, 19,90
euro) sono corredate da fonti iconografiche diverse ed eterogenee,
che rendono visivamente l’idea di quanto le sommosse, le guerre, le
invasioni, le rivoluzioni, non siano affatto state estranee alle
donne: "anzi hanno fatto parte della loro vita e delle loro
scelte, sia quando ne sono state vittime, sia quando ne sono state
in un certo modo protagoniste consapevoli". Ce lo mostrano le
infermiere volontarie della grande guerra, severe e tutte vestite di
bianco, oppure una sorridente Comunarda impegnata nella difesa di
Parigi del 1871, con un’ampia gonna appena sotto il ginocchio,
giubbetto con le mostrine e berretto sulle ventitré, o ancora le
tranviere romane chiamate a sostituire gli uomini che combattono al
fronte, sobrie e consapevoli del proprio impegno civile.