Un volume di Paolo Moreno svela i segreti della famosa scultura
Cleopatra Capitolina, bellezza tutta terrena
di Cinzia Dal Maso

Nel 1874 veniva rinvenuta a Roma, lungo l’odierna via Ugo Foscolo, nell’ambiente sotterraneo di una villa di origine tardo repubblicana, una splendida statua in marmo di Paro, copia di un originale tardo ellenistico, un nudo femminile a cui Carlo Ludovico Visconti diede il nome di Venere Esquilina: identificazione che le sarebbe rimasta addosso a lungo, nonostante piccole imperfezioni del corpo e del viso, oltre a elementi propri del mondo egizio, la rendessero alquanto improbabile. Solo nel 1955 Licinio Glori, cultore di storia e di linguistica, nel testo di una lettura tenuta all’Accademia dei Lincei e pubblicata in proprio, proponeva di riconoscere nella donna quella famosa Cleopatra VII che nel 46 a. C., ad appena 23 anni, aveva raggiunto Cesare a Roma con il neonato Cesarione, frutto del suo amore con il dittatore: una felice intuizione che non avrebbe però avuto un seguito negli anni successivi, fino al suo rilancio nel 1994 da parte di Paolo Moreno su nuove e solide basi, grazie a stringenti confronti e puntuali analisi del tessuto storico. I risultati non si sono fatti attendere: nel 2006 la scultura veniva accolta con tutti gli onori ad Amburgo, quale protagonista della mostra "Kleopatra und die Caesaren", prima di tornare nella sede "storica" del Palazzo dei Conservatori.

Ora Moreno approfondisce e amplia nell’elegante volume "Cleopatra Capitolina" (Editinera, 84 pagine riccamente illustrate, 29 euro), con testo in italiano e inglese, l’analisi della scultura, "eseguita nella prima età imperiale a guisa della statua dell’amata che Giulio Cesare aveva dedicato il 46 a.C. nel tempio di Venere Genitrice, dominante il nuovo Foro". Collocazione di alto significato religioso e politico, che venne rispettata da Ottaviano quando completò il tempio di Venere e il Foro che prendeva il suo nome da quello del padre adottivo.

L’archeologo si sofferma sul tipo statuario, quindi analizza i dettagli fisionomici, accostando il volto della scultura a monete e ritratti della regina e scoprendone i tratti comuni: "il triangolo delle guance, il naso dal dorso largo, il cui contorno si continua nel sopracciglio appena arcuato tra la fronte bassa e l’occhio dall’apertura stretta e allungata. Inconfutabile – continua lo studioso – la peculiarità del labbro inferiore, carnoso e sporgente rispetto a quello superiore, che è sottile e serrato: il prognatismo ereditato dal primo dei Tolemei, più o meno riconoscibile nell’immaginario numismatico e monumentale degli epigoni, secondo il grado di realismo autorizzato dal committente". Accurata è la descrizione della pettinatura, articolata in due livelli di lettura, coerente con i ritratti ufficiali nel coronamento di riccioli sulla fronte e consapevole del costume privato della regina nel provvisorio accomodamento della chioma con una fascia prima del bagno. Lo scultore ha fermato l’attimo in cui Cleopatra, dopo il lavacro, con "la mano sinistra regge l’estemporanea, pesante piegatura posteriore della chioma, mentre la destra ha sciolto un estremo della benda, tirandolo lateralmente. Tra un istante la massa verrà allentata poiché l’altro capo della fascia rimane appena fermato trasversalmente sotto il lembo che la mano destra va sollevando: se ne riconosce l’estremità che scende sui boccoli al centro della fronte". Geniale il confronto di Moreno tra il largo nastro e il diadema protocollare d’oro di Cleopatra, a conferma della ricercata ambiguità dell’artista.

Particolarmente interessante il capitolo dedicato a Cesarione, "Il DNA di Cesare". Proprio a Moreno va il merito di aver riconosciuto nella statua bronzea di un ragazzo rinvenuta sotto la sabbia della spiaggia cretese di Ieràpetra le sembianze del figlio di Cleopatra e Cesare. Puntuali le somiglianze con quest’ultimo, soprattutto nel ritratto dei Musei di Berlino: "elementi comuni e inconfondibili sono la bocca larga, le pieghe scavate delle guance, gli zigomi alti, le grandi orecchie discoste dal cranio, la stretta apertura degli occhi ravvicinati, soprattutto il sistema di rughe sulla fronte, inspiegabili nella freschezza dell’età se non come impronta ereditaria volutamente approfondita dal plasticatore: due solchi verticali sopra la radice del naso e un lungo tratto orizzontale".

Dell’argomento si parlerà a Nuova Spazio Radio (88.150 MHz), nel corso dell’Intervista possibile di "Questa è Roma", il programma ideato e condotto dalla professoressa Maria Pia Partisani, in onda ogni mercoledì dalle 13 alle 14 e in replica la domenica dalle 9.30 alle 10.30.

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