Le strade cittadine pullulavano di botteghe artigiane
Costruire e riparare: i mestieri nell’antica Roma
di Annalisa Venditti

A far grande Roma, nell’antichità, non furono soltanto i letterati, l’esercito e i governanti, ma anche quella massa di artigiani che, con il suo instancabile lavoro, contribuì alla sussistenza pratica e allo sviluppo della civiltà. Una storia minore, che ci viene raccontata dalle fonti sullo sfondo dei grandi avvenimenti e di cui abbiamo testimonianza dai tanti manufatti giunti sino a noi. Un mondo di lavoratori più o meno sommersi che affollavano la città con i loro mestieri e le loro infinite specializzazioni.

Nelle botteghe, dette tabernae, si costruiva e si aggiustava, si ricevevano i clienti e si chiudevano affari. Si viveva tra il caos e le numerose richieste.

Il tempo trascorreva scandito dal colpo del martello per l’orefice Brattiarius, immortalato sul suo rilievo funebre oggi conservato ai Musei Vaticani. L’aurifex, come dice l’iscrizione, è seduto e continua per l’eternità a battere sull’incudine un oggetto di forma allungata. Lo sguardo sembra concentrato in quel gesto, chissà quante volte compiuto, talmente quotidiano da diventare immediato, quasi scontato. Così forse sarà stato anche per tutti gli altri, per il fabrum (il fabbro), il ceramista (figulum), il ciabattino (sutor), il carrozzaio (cisiarius), il sarto (sartor), uomini che dal lavoro manuale traevano guadagno e sostentamento. Nonostante l’utilità di certi mestieri, la società colta romana ne disprezzava profondamente la natura. Una bassa considerazione colpiva tutto ciò che aveva a che fare con l’attività artigianale e con il lavoro salariato, coinvolgendo inevitabilmente anche la condizione dell’artista, non tenuto nella considerazione che in epoca moderna siamo abituati a dare a questa figura.

"La bottega artigianale non si concilia affatto con la condizione di un uomo libero", diceva Cicerone, sottolineando che "tutti gli artigiani praticano un basso mestiere" e pure per Seneca "i mestieri dell’artigiano" erano "vili e volgari". Una certa insofferenza si manifestava anche nei confronti del disordine e della confusione prodotte dalle botteghe in città.

Molti desideravano mandar via gli artigiani dal centro di Roma, assegnando zone ben delimitate alle loro attività, che tendevano ad allargarsi e a occupare in modo disordinato più spazi possibili. L’Imperatore Domiziano (80-96 a.C.) cercò di regolamentare il caos metropolitano dei mestieri. "Tu, Germanico, hai ordinato di sgombrare i vicoli e dove prima si vedeva un sentiero, ora possiamo percorrere una via. Nessun pilastro è ora circondato da bottiglie legate intorno a essi, né il pretore è costretto a camminare in mezzo al fango, né il rasoio alla cieca è impugnato in mezzo a una turba che si pigia e nere bettole ingombrano le vie. Barbieri, osti, beccai e cucinieri stanno ciascuno davanti la loro soglia. Ora si può dire che Roma è Roma, prima era una grande confusione di baracche".

Una lotta - quella amministrativa - tra l’ordine e disordine, tra la compressione delle botteghe e il loro naturale sconfinamento di cui è forse difficile percepire le proporzioni.

Le strade cittadine pullulavano di botteghe. Lungo il Tevere fiorivano le attività commerciali. A Trastevere c’erano i conciari, che lavoravano il cuoio, gli ebanisti, i vasai. In periferia trovava posto la lavorazione del vetro. Lungo le vie consolari erano collocati i grandi mattonifici, fondamentali per la produzione di materiali edilizi all’ingrosso.

Quello che dobbiamo immaginare, tra i vicoli di Roma, è un universo di specialisti e bottegai che si tramandavano il mestiere di padre in figlio, di generazione in generazione, talvolta arricchendosi a tal punto da diventare piccoli imprenditori. Agli inizi dell’attività e per la maggior parte degli artigiani dobbiamo comunque pensare ad una vita trascorsa a produrre e a "reficere", riparare. Sbagliato sarebbe generalizzare la condizione giuridica degli artigiani, differente a seconda del periodo e dell’ambito analizzato. Libero di nascita poteva essere il padrone o il salariato, ma tanti erano nelle botteghe gli schiavi o gli schiavi liberati. La manodopera servile ovviamente era largamente utilizzata per i lavori più umili, più faticosi e quindi meno specializzati. Le grandi proprietà, poi, avevano a servizio artigiani incaricati della fabbricazione, riparazione degli attrezzi e dell’abbigliamento del personale. Tra gli artigiani c’erano anche donne, operaie per lo più destinate all’oblio di cui troviamo flebile traccia nelle iscrizioni e in altri documenti, che si adoperavano nella lavorazione della lana, "femineus labor", sarte, pettinatrici, confezionatrici di corone fiori e persino fornaie.

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