Alla famiglia appartenne Stefano, impiccato nel 1453 per una congiura
Le Case dei Porcari nel Rione Pigna
di Cinzia Dal Maso

Al numero 19 di via della Pigna, nel rione omonimo, si trovano i resti delle case appartenute alla potentissima famiglia dei Porcari, estintasi nel Seicento, il cui prestigio fu particolarmente vivo in epoca medioevale.

Il caseggiato, che ha subito una radicale ristrutturazione nel XIX secolo, era così descritto in un documento del 1497: "terrinea, solarata e tettata con sala, camere, cucina e reclaustro, scala lapidea ed altre pertinenze". La facciata conserva l’elegante portale quattrocentesco arcuato, da cui si accede a un cortiletto dove c’è un’altra porta, arcuata e con lo stemma dei Porcari sulla chiave dell’arco. Da qui parte una grande scala esterna che porta al primo piano e al cui inizio è un’edicola marmorea costituita da un elemento architettonico romano che doveva inquadrare un busto di Marco Porcio Catone, ritenuto il capostipite della famiglia. Sull’architrave dell’edicola, infatti, corre l’iscrizione "Ille ego sum nostrae sobolis Cato Porcius auctor / nobile quod nomen os dedit, arma toga", che si può tradurre "Io sono quel Porcio Catone autore della nostra stirpe / a cui diede nobile fama la favella e armi la toga".

Altre porte con lo stemma dei Porcari si trovano al primo piano. In queste case la nobile famiglia raccolse, fine dal Quattrocento, una notevole collezione di antichità, in seguito dispersa. Ciò che restava della raccolta epigrafica fu donato alla fine dell’Ottocento al Campidoglio dall’allora proprietario dell’immobile, il principe Andrea Doria Pamphili.

Un altro ingresso al caseggiato si trova in vicolo delle Ceste 25, dove fa bella mostra il portale marmoreo quattrocentesco, restaurato superiormente, sopra il quale un tempo era un altro busto di Catone e oggi è una lapide apposta dal Comune, in cui si legge: "Stefano Porcari patrizio romano nacque e dimorò in questa casa. Perché lamentando la servitù della patria levò in tempi di oppressione un grido di libertà fu morto il di 9 gennaio 1453 per ordine di Nicolò V. S.P.Q.R. 1871".

L’iscrizione ricorda il membro più celebre della famiglia, quello Stefano sostenitore delle idee repubblicane che tentò di sollevare il popolo romano contro il potere pontificio. Aveva anche stabilito il giorno dell’insurrezione, il 6 gennaio 1453, ma fu tradito da alcuni congiurati. Riuscì a rifugiarsi in casa della sorella, dove fu presto trovato. Tradotto a Castel Sant’Angelo, vi fu processato e impiccato con nove complici il 9 gennaio. Il suo cadavere non fu mai ritrovato: non si sa se venne gettato nel Tevere o se fu seppellito di nascosto nella chiesa di Santa Maria in Traspontina, dove la famiglia possedeva una cappella.

Alcune lapidi di tombe della famiglia si possono ancora vedere nella vicina chiesa di San Giovanni della Pigna, anticamente detta dei Porcari, che si dovevano trovare sul pavimento dello scomparso portico medioevale. A seguito del restauro ottocentesco sono state poste sulle pareti ai lati dell’ingresso. A destra è la lapide di Nicola di Eramo Porcari, del 1362, la cui figura è incisa e incorniciata da un motivo a guglia. Sulla sinistra è murata la lapide di Giuliano Porcari, del 1282. Una grande croce, lo stemma e la cornice sono realizzati a mosaico con tessere di porfido e serpentino. L’iscrizione e un candelabro sono incisi. Sotto a questa è murata la lastra tombale di Giovanni Porcari, del 1363, la cui figura è circondata da un’iscrizione in caratteri gotici.

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