Al
numero 19 di via della Pigna, nel rione omonimo, si trovano i resti
delle case appartenute alla potentissima famiglia dei Porcari,
estintasi nel Seicento, il cui prestigio fu particolarmente vivo in
epoca medioevale.
Il caseggiato, che ha subito una
radicale ristrutturazione nel XIX secolo, era così descritto in un
documento del 1497: "terrinea, solarata e tettata con sala, camere,
cucina e reclaustro, scala lapidea ed altre pertinenze". La facciata
conserva l’elegante portale quattrocentesco arcuato, da cui si
accede a un cortiletto dove c’è un’altra porta, arcuata e con lo
stemma dei Porcari sulla chiave dell’arco. Da qui parte una grande
scala esterna che porta al primo piano e al cui inizio è un’edicola
marmorea costituita da un elemento architettonico romano che doveva
inquadrare un busto di Marco Porcio Catone, ritenuto il capostipite
della famiglia. Sull’architrave dell’edicola, infatti, corre
l’iscrizione "Ille ego sum nostrae sobolis Cato Porcius auctor /
nobile quod nomen os dedit, arma toga", che si può tradurre "Io sono
quel Porcio Catone autore della nostra stirpe / a cui diede nobile
fama la favella e armi la toga".
Altre porte con lo stemma dei Porcari
si trovano al primo piano. In queste case la nobile famiglia
raccolse, fine dal Quattrocento, una notevole collezione di
antichità, in seguito dispersa. Ciò che restava della raccolta
epigrafica fu donato alla fine dell’Ottocento al Campidoglio
dall’allora proprietario dell’immobile, il principe Andrea Doria
Pamphili.
Un altro ingresso al caseggiato si
trova in vicolo delle Ceste 25, dove fa bella mostra il portale
marmoreo quattrocentesco, restaurato superiormente, sopra il quale
un tempo era un altro busto di Catone e oggi è una lapide apposta
dal Comune, in cui si legge: "Stefano Porcari patrizio romano nacque
e dimorò in questa casa. Perché lamentando la servitù della patria
levò in tempi di oppressione un grido di libertà fu morto il di 9
gennaio 1453 per ordine di Nicolò V. S.P.Q.R. 1871".
L’iscrizione
ricorda il membro più celebre della famiglia, quello Stefano
sostenitore delle idee repubblicane che tentò di sollevare il popolo
romano contro il potere pontificio. Aveva anche stabilito il giorno
dell’insurrezione, il 6 gennaio 1453, ma fu tradito da alcuni
congiurati. Riuscì a rifugiarsi in casa della sorella, dove fu
presto trovato. Tradotto a Castel Sant’Angelo, vi fu processato e
impiccato con nove complici il 9 gennaio. Il suo cadavere non fu mai
ritrovato: non si sa se venne gettato nel Tevere o se fu seppellito
di nascosto nella chiesa di Santa Maria in Traspontina, dove la
famiglia possedeva una cappella.
Alcune lapidi di tombe della famiglia
si possono ancora vedere nella vicina chiesa di San Giovanni della
Pigna, anticamente detta dei Porcari, che si dovevano trovare sul
pavimento dello scomparso portico medioevale. A seguito del restauro
ottocentesco sono state poste sulle pareti ai lati dell’ingresso. A
destra è la lapide di Nicola di Eramo Porcari, del 1362, la cui
figura è incisa e incorniciata da un motivo a guglia. Sulla sinistra
è murata la lapide di Giuliano Porcari, del 1282. Una grande croce,
lo stemma e la cornice sono realizzati a mosaico con tessere di
porfido e serpentino. L’iscrizione e un candelabro sono incisi.
Sotto a questa è murata la lastra tombale di Giovanni Porcari, del
1363, la cui figura è circondata da un’iscrizione in caratteri
gotici.