Nel 1849 a Roma diresse il Comitato di Soccorso dei feriti e le ambulanze
Cristina Trivulzio di Belgiojoso,

la principessa odiata dai francesi

di Cinzia Dal Maso e Antonio Venditti

Nella primavera del 1849, la disperata difesa della Repubblica Romana dai francesi del generale Oudinot vide accorrere uomini da tutta l’Italia, organizzati alla meglio. Alcuni corpi diventeranno famosi, come la Legione Italiana di Garibaldi, la Legione Romana, i Bersaglieri Lombardi di Manara, la legione dei Volteggiatori Italiani di Giacomo Medici. Ma anche numerose donne seppero dare un indispensabile apporto nei modi più disparati. Tra loro spicca Cristina Trivulzio di Belgiojoso, principessa della migliore aristocrazia lombarda, nata a Milano nel 1808, una "patriota impegnata, intellettuale ed esule", come la descrivono Ginevra Conti Odorisio e Fiorenza Taricone" nel volume "Per filo e per segno" (Giappichelli Editore).

Crebbe in una casa in cui respirò fin dall’infanzia un clima di cospirazione, frequentata da personaggi come Silvio Pellico, Federico Confalonieri e Gian Domenico Romagnosi. Un ritratto di Francesco Hayez del 1832 ne mostra i capelli scurissimi come gli occhi profondi e indagatori, un sobrio vestito nero che però lascia scoperte spalle e braccia.

"Dopo la sconfitta piemontese", spiegano Conti Odorisio e Taricone, "decise di recarsi nella Repubblica romana, nella quale vide la possibilità di costruire un primo Stato italiano indipendente. Si unì così a Mazzini, nominato da poco triumviro, pur non condividendo tutti i suoi principi".

A Roma la situazione era drammatica. Le bombe francesi facevano strage di civili e di soldati, dopo ogni scontro non si sapeva più dove mettere i feriti, né con cosa soccorrerli e curarli. Mazzini affidò a Cristina l’organizzazione della sanità pubblica e dei convogli di ambulanze militari, oltre alla direzione del comitato di soccorso di cui facevano parte Enrichetta di Lorenzo, compagna di Pisacane, la marchesa Giulia Paulucci e l’americana Margaret Fuller.

Cristina lanciò un appello alle donne romane affinché la aiutassero ad assistere i feriti. L’avviso è datato 27 aprile 1849 e recita: "nel momento che un Cittadino offre la vita in servizio della Patria minacciata, le Donne debbono anche esse prestarsi nella misura delle loro forze e dei loro mezzi... sin d’oggi si è pensato di comporre una Associazione di Donne allo scopo di assistere i Feriti, e di fornirli di filacce e di biancherie necessarie. Le Donne Romane accorreranno, non v’ha dubbio, con sollecitudine a questo appello fatto in nome della patria carità.. Le offerte in biancheria, filacce ecc. ecc. possono pure essere dirette alle Cittadine componenti il Comitato..."

Furono moltissime a rispondere alla chiamata, di tutte le classi sociali e di ogni regione, persino straniere, dame irreprensibili ma anche alcune prostitute di professione. Ne scelse trecento con una durissima selezione, che tenne conto certamente più dell’interesse dei feriti che della morale. Il loro impegno non conosceva riposo. Faceva caldo e per essere più libere nei movimenti non si preoccupavano di prodigarsi con le maniche rimboccate, un vero scandalo per la società ipocrita dell’epoca, ma soprattutto per Pio IX, che nell’Enciclica "Noscitis et Nobiscum", lamentava che "più d’una volta gli stessi miseri infermi già presso a morire, sprovveduti di ogni conforto della Religione, furono astretti ad esalare lo spirito fra le lusinghe di sfacciata meretrice".

La Belgiojoso rispose al Pontefice con una lettera pacata ma decisa nei toni di non voler sostenere "che tra la moltitudine di donne che, durante il maggio e giugno del 1849, si dedicarono alla cura dei feriti non ve ne fosse neppure una di costumi reprensibili". "Vostra Santità – continuava - si degnerà sicuramente di considerare che non disponevo della Polizia Sacerdotale per indagare nei segreti delle loro famiglie, o meglio ancora dei loro cuori". La cosa più importante era però che quelle donne "erano state per giorni e giorni al capezzale dei feriti; non si ritraevano davanti alle fatiche più estenuanti, né agli spettacoli o alle funzioni più ripugnanti, né dinnanzi al pericolo, dato che gli ospedali erano bersaglio delle bombe francesi". Anche la stampa dell’epoca volle fare la sua parte, incolpandola di fare alzare la febbre ai pazienti con la sua bellezza. I gazzettisti francesi, in particolare, velenosamente criticarono quelle donne pietose che rincuoravano e curavano anche i loro connazionali feriti. Padre Bresciani, un gesuita molto noto all’epoca, le chiamò "svergognate, che tenean luogo del demonio tentatore al capezzale di quegli infelici..." e definì la Belgiojoso "sfacciata ed impudente".

La Belgiojoso faticò non poco a reperire i locali dove poter accogliere e curare i feriti, effettuando vari sopralluoghi in chiese e conventi. Alla fine mise in piedi ben dodici ospedali militari tra cui quello ampio nel Quirinale e organizzò il primo corpo di infermiere volontarie. Si occupò anche del sostentamento dei malati, chiedendo con insistenza al Triumvirato di continuare a pagare il soldo ai militari feriti. Tante e tali furono le sue critiche al governo provvisorio, che Mazzini la definì "un vero tormento".

Fu lei ad assistere amorosamente Goffredo Mameli nella sua agonia all’Ospedale della Trinità dei Pellegrini, dove era entrato per una medicazione e un breve ricovero. Ma sembra che, nella concitazione del momento, gli fosse stato estratto dalla gamba un proiettile, dimenticando però lo stoppaccino, ossia la garza contenente la polvere da sparo, provocando la cancrena. Quando la Belgiojoso se ne accorse, le sue urla si udirono per tutta la corsia. Nemmeno l’amputazione della gamba riuscì a salvare il giovane poeta, che spirò tra le braccia della principessa il 6 luglio. Proprio in quei giorni Cristina scrisse in un lettera all’amica Jaubert: "Per quanto sia grande la vostra immaginazione, non vi raffigurerete mai la realtà dolorosa della mia vita durante i bombardamenti di Roma...Potevo addormentarmi, sapendo di non ritrovare vivi, al mio risveglio, tutti coloro che con voce flebile la sera mi avevano augurato una notte tranquilla? Potevo prevedere quante mani avevano stretto la mia per l’ultima volta? Quanti lenzuoli rovesciati sul guanciale mi avrebbero annunciato alla vista del mattino, un martire in più?"

La Repubblica Romana cadde il 3 luglio, e dopo circa un mese la Belgioioso dovette lasciare la città, avvertita da un prete a cui aveva salvato la vita che un fascicolo che la riguardava era sul tavolo di un cardinale, con la scritta "sentimenti irreligiosi".

Le accuse più ingiuste e infamanti, però, furono quelle di furti e di malversazione nell’amministrazione delle ambulanze.

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