Le
città etrusche, circondate dai loro territori, costituivano dei veri stati
autonomi uniti in una lega con scopi per lo più religiosi, ma talvolta anche
politici. Le antiche fonti riferiscono che le città erano inizialmente dodici,
governate, nel periodo più antico, dai lucumoni, in pratica dei re con potere
giudiziario, militare e religioso. Avevano come attributi lo scettro, la corona,
il medaglione d’oro, la sella curule, la toga palmata, tutti elementi in seguito
assimilati come simboli di potere dai romani.
Per raccontare l’eccellenza della civiltà etrusca
del Lazio attraverso lo straordinario sviluppo dei suoi principali centri
urbani, l’Assessorato alla Cultura Spettacolo e Sport della Regione Lazio, con
la diretta partecipazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali –
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale, ha organizzato
una grande mostra dedicata a Veio, Cerveteri, Vulci, Tarquinia, al Palazzo delle
Esposizioni, in via Nazionale. Curatori dell’esposizione, Mario Torelli e Anna
Maria Moretti.
Le quattro metropoli dell’Etruria Meridionale,
che a partire dai più antichi e comuni caratteri, si andarono via via
differenziando, non solo rispetto alla produzione artistica, ma anche, più in
generale, rispetto agli orientamenti culturali e di culto, agli stili di vita,
alle prassi commerciali, sono presentate attraverso alcune delle più importanti
testimonianze artistiche locali, molte delle quali presentate al pubblico per la
prima volta.
Veio estendeva il suo potere dal lago di Vico a
quello di Bracciano, giungendo, a sud-ovest, fino al mare. La città è famosa per
le sue splendide terrecotte architettoniche, tornate alla luce nel 1916 nel
Santuario di Portonaccio. Le più celebrate sono le statue a tutto tondo della
fine del VI secolo a.C. che si elevavano sul crinale del tetto, in modo da
essere viste anche da lontano: sono Apollo dall’aspetto ferino e spietato,
Eracle alle prese con la cerva dalle corna d’oro, un Hermes bello ed enigmatico,
una dea con bambino in braccio.
Nell’ottagono centrale del Palazzo delle
Esposizioni, fino al 6 gennaio 2009, attraverso la ricostruzione di una parte
del Santuario sarà possibile rivivere l’emozione provata dagli antichi
pellegrini davanti all’imponente scenografia costituita da una sapiente
commistione di architettura e scultura.
Cerveteri, su un pianoro tufaceo a sei chilometri
dal mare, ci ha tramandato l’aspetto della casa etrusca e delle sue
suppellettili non attraverso a città dei vivi, ma tramite quella dei morti,
grazie alle grandi necropoli tutte intorno all’abitato. La decorazione interna
delle tombe, ricavata nel masso, imita le dimore coeve, con porte, finestre,
soffitti, sedie, letti, oggetti della vita quotidiana.
Con la ricostruzione di un intero sepolcro a
grandezza naturale, la mostra restituisce il fasto dei cerimoniali di epoca
arcaica, dove un ruolo rilevante era attribuito al culto degli antenati.
Vulci
è rappresentata dalla scultura monumentale in pietra locale e dalle opere del
vicino centro di Ischia di Castro che, spesso raffiguranti animali reali o
fantastici, che nel VI e V secolo a.C. erano collocate – come guardiani -
all’ingresso delle tombe. Cerveteri e Vulci, a partire dalla fine dell’VIII
secolo a.C., erano le mete principali dei grandi flussi commerciali provenienti
dal mondo greco, mercati attraverso i quali le pregiate ceramiche figurate di
produzione corinzia, greco-orientale, attica raggiungevano diversi centri
dell’Etruria, come oggetti di gran lusso. Sono presentati in mostra alcuni
grandi vasi, capolavori della pittura greca, che ebbero una profonda influenza
sulla cultura figurativa etrusca.
Tarquinia, con le sue cento e più tombe
affrescate tra l’età arcaica e quella ellenistica, costituisce la più importante
pinacoteca del mondo antico prima di Pompei.
Soprattutto ha un’importanza inestimabile per la
conoscenza dell’arte antica, dando un’idea di quella pittura greca tanto
decantata dalle fonti, ma di cui non è rimasto quasi nulla. Gli affreschi delle
pareti eseguiti su un sottile strato di intonaco ricoperto da una mano di
scialbo raccontano con esuberanza e naturalezza la vita quotidiana di un popolo
che forse più di tutti seppe apprezzare i piaceri dell’esistenza, ma che
dimostrò anche un grande amore per la natura e le sue manifestazioni. Con vivace
e fresca policromia sono rese scene di banchetti, di caccia, di pesca, quasi per
offrire al defunto una visione lieta e perenne del mondo che gli fu caro.
In
mostra sono esposti alcuni dei reperti più significativi di questa straordinaria
produzione pittorica, ancora in parte sconosciuta al grande pubblico. Il
rinvenimento agli inizi degli anni Settanta dell’area sacra di Gravisca, porto
di Tarquinia, ha costituito una tappa fondamentale per lo studio delle dinamiche
economiche che hanno animato i rapporti commerciali nel Tirreno, testimoniando
per la prima volta l’apertura in suolo etrusco di un emporio utilizzato
principalmente da mercanti greci. Il santuario di Gravisca viene rievocato non
solo grazie all’esposizione dei molti ex-voto dedicati dai frequentatori, ma
anche attraverso la ricostruzione virtuale del sacello di Adone, dove si
celebravano le feste che scandivano annualmente il ciclo di morte e rinascita
del giovane eroe.
La civiltà etrusca esercitò un ruolo di primo
piano nelle vicende della Roma arcaica, se non addirittura nella sua fondazione.
Di certo tre dei suoi leggendari re furono etruschi: Tarquinio Prisco, Servio
Tullio e Tarquinio il Superbo. L’influenza etrusca, anche dopo la cacciata dei
re, continuò a farsi sentire nell’Urbe per secoli, soprattutto nelle istituzioni
politiche e nella religione. Proprio ai rapporti tra queste antiche metropoli e
Roma è dedicata la seconda parte della mostra, che illustra continuità ma anche
differenze tra le due culture.
La mostra è aperta domenica, martedì, mercoledì e
giovedì dalle 10.00 alle 20.00; venerdì e sabato dalle 10.00 alle 22.30; lunedì
chiuso.
Per informazioni e prenotazioni: singoli, gruppi
e laboratori d’arte tel. 0639967500; scuole 0639967200;