Palazzo
Wedekind, con le sue linee sobrie ed eleganti, fa da sfondo a piazza Colonna.
Occupa l’area dell’antico Tempio di Marco Aurelio, che faceva parte di un
complesso monumentale importantissimo, il cuore della Roma degli Antonini. Al
centro era la grande colonna coclide, elevata tra il 176 e il 193 d. C., per
celebrare la vittoria sui Germani e i Sarmati. Il monumento, interamente in
marmo di Carrara e alto quasi 30 metri, è formato da 20 enormi rocchi
sovrapposti e scavati all’interno per formare una scala a chiocciola di 203
gradini. Tutt’intorno al fusto si snoda un fregio a spirale, che vi si avvolge
per 20 volte. La Colonna era sormontata dalla statua di Marco Aurelio,
sostituita da Sisto V con quella di San Paolo. Al posto del Palazzo Montecitorio
c’era un edificio per la cremazione dei cadaveri, l’Ustrinum Antoninorum, mentre
il Portico Vipsanio si innalzava dove oggi è il Palazzo della Rinascente.
Nel 1536 sul sito di Palazzo
Wedekind sembrerebbero esserci state alcune case dei Soderini e alla fine dello
stesso secolo vi sorgeva la dimora di Emilio Cesi, marchese di Riano, con una
facciata di 48 passi e alcuni negozi al pianterreno. Qui accanto nel 1595 era il
palazzo di Silvio Savelli, patriarca di Costantinopoli, e ancora a sinistra
quello del conte Girolamo Pompeo Ludovisi. Quest’ultimo edificio venne ceduto ai
Barnabiti, che nel 1595 vi eressero la chiesa di San Paolo decollato e un
collegio annesso, all’angolo con via della Colonna Antonina.
Sia la chiesa che le case
adiacenti vennero demolite nel 1659 e sostituite da un unico edificio, residenza
della famiglia Ludovisi, come si vede in alcune incisioni, tra cui una veduta
del Falda. Innocenzo XII (1691-1700) donò il Palazzo, con alcune modifiche,
all’Ospizio Apostolico di San Michele.
Al
piano terra erano sistemati gli Uffici dei quattro notai di Camera e quello
dell’Archivio Urbano. Con tutta probabilità fino da allora si insediò al primo
piano dell’edificio il Monsignore Viceregente del Vicariato di Roma, il primo
degli ufficiali della curia della diocesi di Roma, insignito di dignità
vescovile e nominato direttamente dal Papa. Esercitava un’ampia giurisdizione
insieme con il Cardinal Vicario.
Tra il 1809 e il 1814, durante
l’Amministrazione francese, nel palazzo ebbe stanza la Gran Guardia del Comando
della Piazza di Roma.
Nel 1814 Pio VII vi pose la
Computisteria Camerale e la Direzione generale delle Poste Pontificie, che prima
si trovava a Palazzo Madama. Qui le missive erano ricevute, affrancate,
impostate e distribuite.
Nel 1815 il Valadier aveva
progettato una nuova sistemazione dell’edificio, ma la sua completa
ricostruzione fu affidata da Gregorio XVI a Pietro Camporese il Giovane. I
lavori furono ultimati nel 1838. L’elemento più notevole della fabbrica era
costituito dal lungo portico – ancora visibile - di sedici colonne, undici delle
quali, ioniche scanalate in marmo lunense, provenienti da un edificio di epoca
augustea del municipio romano di Veio, forse la Basilica. Furono rinvenute negli
scavi del 1812-17 dai fratelli Giorgi e nel 1824 erano divenute proprietà del
Governo Pontificio. Nell’iscrizione in latino che corre sull’architrave del
portico si legge: "Gregorius. XVI Pontif. Maxim. anno MDCCCXXXVIII frontem
aedificii exornandum porticum Veiorum columnis insignem adstruendam curavit.",
ossia "Gregorio XVI Pontefice Massimo nell’anno 1838 fece decorare la facciata
dell’edificio aggiungendovi il Portico di Veio famoso per le sue colonne".
Una dodicesima colonna di identica
origine venne destinata da Pio IX, nel 1847, a ornare la piazza davanti alla
chiesa di San Francesco a Ripa, in Trastevere.
Le quattro colonne che affiancano
la porta l’ingresso sono di marmo venato e vengono dalla basilica costantiniana
di S. Paolo Fuori le Mura.
Sopra il portico del Camporese ci
sono una terrazza e altri tre piani. Dopo l’Unità d’Italia, il Palazzo per
qualche anno, dal 1871, ospitò il Ministero dell’Educazione del Regno. Nel 1879
il ricco banchiere Wedekind lo acquistò e lo fece ristrutturare secondo i
progetti dell’ingegnere Giovanni Gargiolli prima e dell’architetto G. B.
Giovenale poi. In tale occasione fu posto sull’attico sovrastante la facciata
l’orologio attuale, che ne andò a sostituire i due precedenti, diurni e
notturni, che segnavano le ore all’uso italiano e francese.
Ebbero la loro sede nel Palazzo
vari circoli, come quello Nazionale, che dal 1891 si fuse con l’Associazione
della Stampa, ancora al primo piano.
L’Associazione della Stampa era
nata il 15 dicembre del 1877 per sostenere e far rispettare il concetto della
libertà di stampa. Nel maggio di quello stesso anno il giornalista Fedele
Albanese aveva attaccato dalle pagine del Fanfulla l’onorevole Pierantoni. I due
avevano avuto un violento diverbio nel palazzo di Montecitorio e il Pierantoni
era giunto a percuotere l’Albanese. L’aggressione causò l’indignazione di tutti
i giornalisti, che espressero le loro proteste all'on. Di Blasio, questore della
Camera. Anche Francesco Crispi, presidente della Camera, deplorò il fatto. Visto
il successo ottenuto, sorse tra i giornalisti l’idea di riunirsi in
un’associazione per far meglio sentire la propria voce. Il primo Presidente fu
Guglielmo De Sanctis.
Nel 1880 sotto il Portico venne
aperto il Caffè Sommariva, detto "delle Colonne", punto di ritrovo dei
nottambuli romani. Vi servivano, a imitazione delle birrerie viennesi, le
Kellerine, cameriere in costume bavarese che costituivano una novità assoluta
per Roma. Quella di loro che riscuoteva il maggiore successo era una francesina
di nome Hannah. I curiosi che non volevano spendere per la consumazione si
accontentavano di affollarsi davanti all’ingresso per vedere le procaci ragazze
vestite di nero, con polsini e grembiulino bianco, muoversi tra i tavoli
sorridenti, raccogliendo sostanziose mance.
Dal settembre 1943 alla
liberazione di Roma il Palazzo fu sede ufficiale dei Fascisti romani.
Attualmente vi ha i suoi uffici e
la sua tipografia il quotidiano "Il Tempo".