Ogni stemma,
poi,
ha nella parte inferiore un piccolo, grottesco mascherone che nella
sua forma fa riferimento ai genitali esterni femminili, anch’essi
diversi l’uno dall’altro e corrispondenti alle fasi di travaglio
indicate dai volti di donna.
Molte congetture sono state fatte sui
motivi che hanno spinto l’artista a realizzare questa sorta di
capriccio, così inusuale soprattutto se si pensa al contesto in cui
è collocato, una chiesa, anzi il luogo cardine della cristianità.
D’altro canto già il figlio del
Bernini, Domenico, nello scrivere nel 1713 la biografia
dell’illustre genitore, aveva avvertito che il baldacchino non si
presta ad essere "raccontato ed ispira la poesia piuttosto che la
prosa, per cui è difficile descriverlo, onde l’occhio solamente può
essere degno Giudice".
Secondo alcuni si tratterebbe di un
modo un po’ particolare per rivolgere un augurio a una nipote di
Urbano VIII che desiderava una gravidanza e un parto felici.
Un’altra tradizione vorrebbe, invece, che i soggetti delle sculture
fossero stati dettati dal disappunto del Bernini nei confronti del
Pontefice, che avrebbe vietato un matrimonio riparatore tra una sua
nipote e l’artista. Dall’amore contrastato dei due sarebbe anche
nato un bambino.
Altri hanno pensato al mancato
riconoscimento da parte di Taddeo Barberini, nipote di Urbano VIII,
del figlio avuto dalla sorella di un allievo del Bernini.
E’ un po’ difficile, però, credere
che un raffinato uomo di mondo come Gian Lorenzo Bernini avesse
rischiato di perdere il favore di un Pontefice potente e non certo
tenero, recandogli un affronto nella chiesa più importante del mondo
cattolico.
Potrebbe quindi trattarsi di
un’allusione alla lunga gestazione con cui l’artista ha portato a
termine il baldacchino stesso, durata non nove mesi, ma addirittura
nove anni, dal 1624 al 1633.
L’artificio barocco potrebbe altresì
essere un linguaggio simbolico per glorificare il papato di Urbano
VIII, che, con un processo di trasformazione simile a quello del
parto e non privo di sofferenze, aveva fatto diventare un mondo
governato da guerre e dolori, vizi e ignoranza, nel regno della pace
e della prosperità, rappresentato dal paffuto cherubino.
La sequenza di stemmi sui basamenti
delle colonne del Baldacchino ha suscitato
persino
il vivo interesse del più celebrato regista del cinema russo, quel
Sergei Michailovich Ejzenstejn a cui si devono capolavori
indimenticabili come "La corazzata Potemkin", "Ivan il terribile" o
"La congiura dei Boiardi".
"Questi otto stemmi che sembrerebbero
indipendenti e identici tra loro – scriveva nel 1937 - in realtà non
solo non sono identici, ma neppure autonomi l’uno dall’altro". Essi
sono, continuava, "otto inquadrature, gli otto pezzi del montaggio
di una completa sceneggiatura. Presi insieme svolgono
progressivamente un intero dramma". Non bisogna dimenticare che per
Ejzenstejn il montaggio cinematografico era molto di più che il puro
e semplice lavoro di taglio e incollatura di una pellicola: era il
principio che regge la costruzione di un film, a cui si devono il
senso e il ritmo dell’intera narrazione filmica. Le basi del
Baldacchino di San Pietro interessarono talmente il regista, che
arrivò a dedicar loro 15 pagine del suo saggio sulla "Teoria
generale del montaggio", nelle quali esaminò anche le varie leggende
e tradizioni sorte intorno agli stemmi e si soffermò sullo spirito
arguto dei romani e sulle loro pasquinate.
Di questo singolare aspetto del
capolavoro del Bernini si parlerà nel corso dell’Intervista
possibile di "Questa è Roma!", la trasmissione ideata e condotta da
Maria Pia Partisani, in onda ogni domenica dalle 9.30 alle 10.30 su
Nuova Spazio Radio (88.150 Mhz): un’ora dedicata agli episodi più
curiosi e sconosciuti della storia della Capitale, agli aspetti
genuini del suo folklore, agli aneddoti e alle riflessioni sulla
grandezza del mondo antico.