Numerose lapidi testimoniano il livello raggiunto dalle acque nelle inondazioni

Le manine che indicano le piene del Tevere

di Alessandro Venditti

Prima della costruzione dei muraglioni, iniziata nel 1875, le piene del Tevere causarono disastrosi allagamenti della parte più bassa della città, testimoniati a partire dall’epoca medioevale da numerose lapidi, dette manine, nelle quali il livello raggiunto dai flussi veniva segnato per l’appunto da una mano con l’indice proteso.

Se ne trovano in vari luoghi, ma soprattutto a Castel Sant’Angelo e sulla facciata della chiesa di Santa Maria Sopra Minerva. Su quest’ultima ce n’è una a ben 20 metri, in cui il pontefice Clemente VIII maledice i vortici del Tevere che avevano toccato tale altezza nel 1598. Poco distante, una targa ricorda che nel 1557, terzo anno del pontificato di Paolo IV, le acque avevano sfiorato i 19 metri di altezza. Una terza lapide, a 18,9 metri, testimonia l’inondazione dell’8 ottobre 1530, sotto Clemente VII. L’iscrizione più antica sulla facciata risale al 1422, seguita da quella a 16 metri e 88 centimetri, in cui si legge che "nell’anno del Signore 1495 il 9 dicembre" "la torbida corrente spinse le sue acque fino a questo segno".

A partire dal 1704, data della costruzione del Porto di Ripetta, le piene vennero indicate sulle due colonne di travertino ancora esistenti all’imbocco di ponte Cavour, sostituite in seguito da un idrometro, oggi murato sulla parete laterale della chiesa di San Rocco.

Dell’argomento si parlerà a Nuova Spazio Radio (88.100 MHz), nel corso dell’Intervista possibile di "Questa è Roma", il programma ideato e condotto dalla professoressa Maria Pia Partisani, in onda ogni domenica dalle 9.30 alle 10.30 e interamente dedicato alla storia, all’arte e al folclore della nostra città.

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