I
romani offrivano agli amici miele, fichi e ramoscelli
d’alloro |
E’ in arrivo gennaio, il mese
del dio Giano |
di
Cinzia Dal Maso |
Il nome che noi diamo al primo mese
dell’anno - gennaio, in latino januarius – deriva da quello del dio
Giano, che nell’antica Roma era molto venerato come protettore d
ogni ingresso e di ogni inizio. Con il suo aspetto bifronte
esemplificava il momento di passaggio, rivolto indietro verso l’anno
appena trascorso, ma allo stesso tempo teso a guardare ai giorni
futuri. Secondo la tradizione, sarebbe stato il re Numa Pompilio a
introdurre gennaio nel calendario romano, anche se le feste del
Capodanno per molto tempo ancora si celebrarono a marzo, primo mese
dell’anno romuleo, inizio della primavera e perciò del nuovo ciclo
agricolo. Per quanto fino dal 153 a.C. i consoli entravano in
carica il primo di gennaio, solo con la riforma giuliana del 46 a.C.
questo giorno fu considerato a tutti gli effetti il primo dell’anno.
Vi si offrivano a Giano farro salato e una focaccia di formaggio,
farina, olio e uova, lo "ianual", probabilmente per chiedere la
protezione della divinità sui prodotti dei campi. In questo stesso
giorno si spostò l’uso di offrire agli amici commensali miele e
fichi, come augurio di future dolcezze, e ramoscelli d’alloro colti
in un boschetto della via Sacra dedicato a Strenia, la dea sabina
dispensatrice di felicità, e per questo chiamati "strenae", nome che
sopravvive nelle nostre "strenne".
I consoli appena entrati in carica
dovevano prendere gli auspici con l’ausilio di un esperto nell’arte
augurale, che, all’interno di un qualsiasi recinto sacro o nell’area
detta "auguraculum" sul Campidoglio, scrutava il cielo fino a
riconoscere un segnale del consenso divino. Solo allora il console
poteva indossare la toga bordata di rosso, detta "praetexta", con la
quale riceveva in casa amici, clienti e senatori. Poteva quindi
cominciare la solenne processione, aperta dai littori, che lo
accompagnava in Campidoglio, non prima di aver incontrato sulla via
Sacra quella dell’altro console. Dopo un solenne sacrificio, i
consoli sedevano sulle loro "sellae curules" davanti al tempio di
Giove Ottimo Massimo e ricevevano la pubblica acclamazione. Quindi,
dopo aver sacrificato un bue bianco in ringraziamento dei voti
esauditi durante l’anno trascorso, formulavano i "vota publica",
ossia gli auguri per il benessere dello Stato nell’anno a venire.
La vita contadina a gennaio era molto
tranquilla: i campi non avevano bisogno di veri e propri lavori e ci
si limitava a operazioni di riordino e manutenzione. Eppure a
capodanno i romani si recavano al lavoro, come augurio di un anno
attivo e prospero.
Il Tempio di Giano nel Foro Romano si
trovava a cavallo dell’Argileto ed era il più antico e importante
santuario della divinità. Doveva avere la forma di un arco a due
ingressi, forse un’antica porta della città, con al centro del
passaggio il simulacro di Giano. Dell’edificio non resta alcuna
traccia, se si eccettua una schematica rappresentazione su una
moneta di epoca neroniana (I secolo d.C., nella foto)
Secondo quanto riferisce
Servio,
l’edificio sarebbe stato distrutto sotto
Domiziano e
sostituito da un arco quadrifonte. Era questo il tempio le cui porte
venivano spalancate nei periodi di guerra e serrate solo in tempo di
pace, come avvenne durante l’impero di Augusto e quello di Nerone.
Scriveva Svetonio: "il tempio di Giano Quirino che, dalla
fondazione di Roma, non era stato chiuso che due volte, sotto il
principato di Augusto fu chiuso tre volte, in uno spazio di tempo
molto più breve, poiché la pace fu stabilita in terra e in mare".
"Nerone
portò al
Campidoglio
una corona di lauro e chiuse il tempio di Giano Bifronte, come se
non rimanesse da fare più nessuna guerra".
La divinità dà anche il nome a
un’altura che non era compresa nel novero dei sette colli: il
Gianicolo, sul quale secondo la leggenda Giano avrebbe fondato la
sua città, dedicandovi un altare per ogni mese dell’anno.
L’occupazione del colle viene
tradizionalmente attribuita a un’epoca molto antica, quella del re
Anco Marcio. Esso infatti costituiva un elemento prezioso per la
difesa della città, un baluardo sulla riva destra del Tevere, di
fronte al ponte Sublicio.
Sul Gianicolo veniva innalzata una
bandiera in segno di sicurezza quando nel Campo Marzio si svolgevano
i Comizi.
Vi sarebbe stato seppellito, presso
l’antichissimo santuario di Fontus, il re Numa Pompilio. Vi furono
anche tumulati i poeti Ennio e Cecilio Stazio.
Tito Livio tramanda che il colle
venne più volte conquistato dagli Etruschi e che durante le guerre
civili fu teatro dei combattimenti tra i partigiani di Mario e
quelli di Silla.
Fin dall’età repubblicana le pendici
del colle fino alle rive del Tevere erano occupate da giardini e
ville suburbane, come quella detta della Farnesina, i cui splendidi
affreschi sono oggi conservati al Museo Nazionale Romano, nella sede
di Palazzo Massimo.
Al IV secolo d.C. risale il
cosiddetto Santuario Siriaco, con ingresso nell’attuale via Dandolo,
dove è stata rinvenuta una singolare statuetta di bronzo alta 50
centimetri, con il corpo avvolto nelle spire di un serpente.
Dell’argomento si parlerà a Nuova
Spazio Radio (88.100 MHz), nel corso dell’Intervista possibile di
"Questa è Roma", il programma ideato e condotto dalla professoressa
Maria Pia Partisani, in onda ogni domenica dalle 9.30 alle 10.30 e
interamente dedicato alla storia, all’arte e al folclore della
nostra città. |
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