Fu eretta in onore di Pietro Ercole Visconti nel 1869

La fontana di Pio IX dedicata a un archeologo

di Cinzia Dal Maso e Antonio Venditti

 

Tra il 1868 e il 1870 l’archeologo Pietro Ercole Visconti eseguiva per ordine di Pio IX Mastai Ferretti una serie di scavi sistematici a Testaccio, mentre si costruivano un nuovo quartiere per gli operai e il mattatoio. Nel corso della campagna, documentata dalle foto del fondo Parker, tornarono alla luce i resti di un lungo molo di approdo di età traianea. Era fornito di doppie rampe per agevolare le operazioni di carico e scarico delle merci e aveva gli ormeggi in grandi blocchi di travertino, poco più tardi inglobati nei muraglioni. Il molo faceva parte dell’Emporium, costruito in appena venti anni, tra il 193 e il 174 a.C., che costituì uno scalo commerciale di straordinaria importanza e venne ristrutturato in epoca imperiale. La banchina aveva una lunghezza di mezzo chilometro, dall’odierna via Rubattino a via Torricelli e una larghezza di 90 metri. La struttura venne utilizzata fino al VII secolo dopo Cristo, poi vi si impiantò un piccolo cimitero. Strettamente collegata all’Emporium era la Porticus Aemilia, il più vasto edificio commerciale romano, lungo 487 metri e largo 60, con una superficie di quasi 30 mila metri quadrati. La Porticus, parallela al fiume, era costruita in opera cementizia con rivestimento in mattoni e divisa in sette enormi navate longitudinali e in cinquanta trasversali da pilastri.

In età romana all’Emporium giungevano via fiume da Ostia e Porto i marmi pregiati provenienti da ogni parte del mondo allora conosciuto, che diedero alla zona il nome di Ripa Marmorata. Nelle sue esplorazioni il Visconti rinvenne almeno mille e duecento blocchi di marmo, in gran parte ancora grezzi, molti dei quali andarono a ornare le chiese di Roma.

Intanto reperti archeologici emergevano un po’ dovunque durante la realizzazione delle fondamenta delle case popolari, ma finivano per essere distrutti, non essendo ritenuti abbastanza importanti.

A memoria dell’opera dell’insigne archeologo, lo stesso Pio IX fece realizzare nel 1869 una piccola ma elegante fontana, ancora visibile sul lungotevere Testaccio, presso il muraglione, in corrispondenza di via Florio. Il corpo centrale in laterizio è incorniciato da due lesene a bugno in travertino sovrastate da sfere. Due festoni ornano i lati, mentre nella parte superiore, al centro, si trova lo stemma pontificio, con due leoni rampanti contrapposti a campiture diagonali, sostenuto ed inquadrato da due tralci di corone d'alloro e sovrastato dalla tiara con le chiavi incrociate.

L’acqua sgorga dalla bocca di una protome leonina e si raccoglie in una semplice vasca marmorea sorretta da mensole e costituita da un sarcofago del III secolo d.C. con la fronte strigilata e una tabula al centro, con la dedica agli Dei Mani e il nome del defunto, un tale Ovinio Iulio Rufino.

Sopra la testa di leone campeggia la grande iscrizione dedicatoria di papa Mastai, in cui si legge:

"PIUS IX PONT MAX EMPORII GRADIBUS / AD TIBERIM REPERTIS / MARMORUM EX ASIAE ET AFRICAE LAPIDICINIS / INGENTI COPIA QUAE DIU LATUERAT RECUPERATA / ET SACRAE URBIS SUAE ORNAMENTO REDDITA / RIPAM HANC / IN LONG PMM IN LAT PPM / XL MURO DUCTO TERMINAVIT PUBLICAVITQUE / ANNO S.P. XXIIII", ossia "Pio IX Pontefice Massimo, avendo ritrovato i gradini dell’Emporio tiberino e recuperato una notevole quantità di marmi asiatici e di pietre africane che giacevano da lungo tempo, restituendola ad ornamento della sua sacra città, costruito un muro lungo 2000 palmi e largo 1040 piedi, delimitò tale riva, rendendola di uso pubblico. Nel ventiquattresimo anno del suo Pontificato".

Nella notte tra il 31 dicembre 1999 e il primo gennaio del 2000 la fontana è stata oggetto di atti vandalici o forse di un tentativo di furto da parte di ignoti. La vasca, rotta in più parti, è stata sottoposta a un accurato lavoro di restauro, che ha previsto anche la reintegrazione di alcune parti e l’impermeabilizzazione dell’interno.

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