Tra il 1868 e il 1870
l’archeologo Pietro Ercole Visconti eseguiva per ordine di Pio IX
Mastai Ferretti una serie di scavi sistematici a Testaccio, mentre
si costruivano un nuovo quartiere per gli operai e il mattatoio. Nel
corso della campagna, documentata dalle foto del fondo Parker,
tornarono alla luce i resti di un lungo molo di approdo di età
traianea. Era fornito di doppie rampe per agevolare le operazioni di
carico e scarico delle merci e aveva gli ormeggi in grandi blocchi
di travertino, poco più tardi inglobati nei muraglioni. Il molo
faceva parte dell’Emporium, costruito in appena venti anni, tra il
193 e il 174 a.C., che costituì uno scalo commerciale di
straordinaria importanza e venne ristrutturato in epoca imperiale.
La banchina aveva una lunghezza di mezzo chilometro, dall’odierna
via Rubattino a via Torricelli e una larghezza di 90 metri. La
struttura venne utilizzata fino al VII secolo dopo Cristo, poi vi si
impiantò un piccolo cimitero. Strettamente collegata all’Emporium
era la Porticus Aemilia, il più vasto edificio commerciale romano,
lungo 487 metri e largo 60, con una superficie di quasi 30 mila
metri quadrati. La Porticus, parallela al fiume, era costruita in
opera cementizia con rivestimento in mattoni e divisa in sette
enormi navate longitudinali e in cinquanta trasversali da pilastri.
In età romana all’Emporium
giungevano via fiume da Ostia e Porto i marmi pregiati provenienti
da ogni parte del mondo allora conosciuto, che diedero alla zona il
nome di Ripa Marmorata. Nelle sue esplorazioni il Visconti rinvenne
almeno mille e duecento blocchi di marmo, in gran parte ancora
grezzi, molti dei quali andarono a ornare le chiese di Roma.
Intanto reperti
archeologici emergevano un po’ dovunque durante la realizzazione
delle fondamenta delle case popolari, ma finivano per essere
distrutti, non essendo ritenuti abbastanza importanti.
A memoria dell’opera
dell’insigne archeologo, lo stesso Pio IX fece realizzare nel 1869
una piccola ma elegante fontana, ancora visibile sul lungotevere
Testaccio, presso il muraglione, in corrispondenza di via Florio. Il
corpo centrale in laterizio è incorniciato da due lesene a bugno in
travertino sovrastate da sfere. Due festoni ornano i lati, mentre
nella parte superiore, al centro, si trova lo stemma pontificio, con
due leoni rampanti contrapposti a campiture diagonali, sostenuto ed
inquadrato da due tralci di corone d'alloro e sovrastato dalla tiara
con le chiavi incrociate.
L’acqua sgorga dalla
bocca di una protome leonina e si raccoglie in una semplice vasca
marmorea sorretta da mensole e costituita da un sarcofago del III
secolo d.C. con la fronte strigilata e una tabula al centro, con la
dedica agli Dei Mani e il nome del defunto, un tale Ovinio Iulio
Rufino.
Sopra la testa di
leone campeggia la grande iscrizione dedicatoria di papa Mastai, in
cui si legge:
"PIUS IX PONT MAX
EMPORII GRADIBUS / AD TIBERIM REPERTIS / MARMORUM EX ASIAE ET
AFRICAE LAPIDICINIS / INGENTI COPIA QUAE DIU LATUERAT RECUPERATA /
ET SACRAE URBIS SUAE ORNAMENTO REDDITA / RIPAM HANC / IN LONG PMM IN
LAT PPM / XL MURO DUCTO TERMINAVIT PUBLICAVITQUE / ANNO S.P. XXIIII",
ossia "Pio IX Pontefice Massimo, avendo ritrovato i gradini
dell’Emporio tiberino e recuperato una notevole quantità di marmi
asiatici e di pietre africane che giacevano da lungo tempo,
restituendola ad ornamento della sua sacra città, costruito un muro
lungo 2000 palmi e largo 1040 piedi, delimitò tale riva, rendendola
di uso pubblico. Nel ventiquattresimo anno del suo Pontificato".
Nella notte tra il 31
dicembre 1999 e il primo gennaio del 2000 la fontana è stata oggetto
di atti vandalici o forse di un tentativo di furto da parte di
ignoti. La vasca, rotta in più parti, è stata sottoposta a un
accurato lavoro di restauro, che ha previsto anche la reintegrazione
di alcune parti e l’impermeabilizzazione dell’interno.