Nel cuore di Borgo,
nel vicolo del Campanile, che prende il nome dalla torre campanaria
della vicina chiesa di Santa Maria in Traspontina, sembra abbia
abitato Giovan Battista Bugatti, passato alla storia con il
soprannome di Mastro Titta. Fu il boia più famoso della Roma
pontificia, descritto dai suoi contemporanei come un uomo
tranquillo, educato e ligio al dovere e così preciso da lasciare un
elenco dettagliato di ogni "giustizia" compiuta nella sua onorata
carriera, dal marzo del 1796 all’agosto del 1864: in tutto 516, per
ognuna delle quali aveva ricevuto il compenso simbolico di un "papetto",
ossia una moneta da due carlini, quella che il Belli considerava "la
vera Lira romana".
Solitamente
l’esecutore delle condanne doveva rimanere dalla parte destra del
Tevere, come testimoniato dal proverbio "boia nun passa Ponte", un
invito per ognuno a restarsene nella propria parte di mondo. Il boia
attraversava il fiume solo per andare a giustiziare qualche
condannato a piazza del Popolo, al Velabro, o a Campo de’ Fiori. In
quel caso si diceva, abbastanza sinistramente, "Mastro Titta passa
ponte".
Alcuni studiosi
indicano come "casa del boia" un edificio quattrocentesco a tre
piani, ai civici 4 – 5 del vicolo, la cui facciata reca le tracce di
una splendida decorazione a graffito, attribuita dal Vasari a
Virgilio Romano, che l’avrebbe realizzata nel 1520, "con alcuni
prigioni e molte altre opere belle". Un’epigrafe ricorda i restauri
eseguiti nel 1936 dal prof. A.M. Zamponi su interessamento di
Gaetano Latmiral e con il finanziamento del Governatorato di Roma.
Al primo piano si vedono quattro Daci prigionieri con sullo sfondo
dei trofei di armi e il Guardiano di vacche addormentato assalito da
Mercurio. Tra il primo e il secondo piano, si nota un anello a punte
di diamante e tre penne di struzzo che fu l’emblema mediceo. Al
secondo piano sono raffigurate quattro figure mitologiche femminili
e arco con tre vacche. Al di sopra, ci sono vasi di frutta e leoni
alati. All’ultimo piano si susseguono teste di leoni. La casa è
stata restaurata anche nel 1980.
Secondo altri, Mastro
Titta avrebbe abitato in una casa a questa adiacente.
Mastro Titta morì il
18 giugno 1868, rimanendo per il popolo la figura emblematica del
boia di Roma. Non fu però l’ultimo ad esercitare tale "professione".
Dopo il suo pensionamento, infatti, era stato sostituito da Vincenzo
Balducci, suo aiutante fin dal 1850, che avrebbe continuato il
"lavoro" fino al 9 luglio del 1870.