Un museo di opere d’arte sparso per il mondo

I tesori di Villa Adriana sono nei musei italiani ed esteri

di Cinzia Dal Maso

Oggi l’aspetto più rilevante dell’immensa villa dell’Imperatore Adriano a Tivoli sono le poderose strutture disseminate tra gli uliveti. In origine, però, l’attenzione di chi si trovava nella villa doveva essere immediatamente catalizzata, prima ancora che dalle stupende, innovative architetture, dalle loro decorazioni, dai rivestimenti marmorei, dalle pitture, sculture e mosaici che abbellivano le varie costruzioni.

Alla sistematica, caparbia ed insensata spoliazione di Villa Adriana hanno contribuito un esercito di cavatori d’ogni genere, più o meno autorizzati, che nei secoli scorsi hanno attinto a quella che veniva considerata una vera miniera di materiali pregiati. Fregi e marmi, colonne e capitelli sono andati a decorare palazzi di Tivoli e di Roma: solo quelli rinvenuti negli ultimi decenni sono stati lasciati sul posto.

Tutti gli edifici della villa, che oggi mostrano le nude murature, erano rivestiti di marmi colorati, provenienti dall’oriente del Mediterraneo e dall’Africa, come il pavonazzetto, il rosso antico, il cipollino, il porfido, il giallo antico o il serpentino. I rari frammenti trascurati dai "predatori" sono stati utilizzati per pavimentare il museo e alcuni locali di servizio, per dare un’idea del gran numero di qualità impiegate.

Nella villa si sono ritrovate centinaia di opere d’arte. Si è calcolato che, se si potessero di nuovo unire insieme sculture e mosaici, si costituirebbe un museo d’arte antica grande quanto quello Capitolino. Adriano aveva ornato la sua residenza con moltissime copie di capolavori della statuaria greca de1 V, IV e III secolo a.C., con originali ellenistici e creazioni romane. Sfortunatamente, la maggior parte di questo immenso patrimonio è stato allontanato dalla sua sede: le sculture tra il XVI ed il XIX secolo sono state asportate per decorare dimore patrizie e per arricchire musei e collezioni di Roma e di molte altre città europee, principalmente i Musei Vaticani e i Capitolini. Nuclei minori sono a Villa Borghese e a Villa Albani a Roma, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, al Louvre, al Museo Britannico ed in quelli di Berlino, Leningrado, Dresda e Stoccolma. Le opere d’arte venute alla luce tra il 1870 ed il 1950 sono conservate nel Museo Nazionale Romano e solo quelle provenienti dagli scavi più recenti hanno trovato posto nel Museo di Villa Adriana. Molte sculture, inoltre, sono andate disperse e ormai anche chi le possiede ne ignora la provenienza. Artefici di questa diaspora furono gli Estensi, che fin dal Cinquecento attinsero da Villa Adriana i materiali per ornare la loro villa tiburtina e nei secoli seguenti li vendettero al miglior offerente, i conti Fede, antichi proprietari dei terreni, ma soprattutto Lord Hamilton, cui si deve, intorno alla fine del ‘700, la vendita di decine e decine di statue e bassorilievi.

Si può tentare di ripercorrere idealmente la galleria d’arte voluta da Adriano, certamente indice di un gusto raffinato e di una profonda cultura. A rappresentare la scultura greca del V sec. a.C. c’è il famoso gruppo dei Tirannicidi, copia dell’opera di Kritios e Nesiotes, oggi al Museo Nazionale di Napoli, due teste femminili al Museo Nazionale Romano e due repliche della più celebrata statua di Mirone, il discobolo, una al Vaticano e l’altra al British Museum. Per quanto riguarda il IV sec.a.C., Adriano dovette amare le forme sinuose e sensuali delle creazioni di Prassitele, dal momento che possedeva almeno tre copie del Satiro a riposo, ora ai Capitolini e al Museo di Berlino.

Al Museo Nazionale Romano è conservata una statua femminile in movimento di torsione, che, secondo Rita Cittadini, si può ritenere una copia del ritratto ideale della poetessa Praxilla di Sicione nell’atto di suonare il"doppio flauto", opera di Lisippo. L’originale era stato portato a Roma, forse ad ornamento del Teatro di Pompeo nel Campo Marzio, e aveva suscitato la riprovazione del cristiano Taziano.

L’arte ellenistica aveva una parte rilevante, con la presenza, accanto alle copie, di molti originali. Si possono ricordare la Niobide Chiaramonti (Vaticano), un gruppo di Amore e Psiche ed un Endimione dormiente (Stoccolma). Nella scuola di Afrodisia in Caria (Asia Minore) furono realizzati, da Aristeas e Papias, i due centauri dei Musei Capitolini, uno giovane e baldanzoso, pronto a rispondere ai richiami dell’amore, l’altro vecchio e corrucciato, ormai "legato" e reso inoffensivo dalla vecchiaia, simboli di diversi aspetti della condizione umana.

Sul bordo della vasca del "frigidarium" nelle terme dell’Heliocaminus era collocata una sensuale Afrodite accovacciata, piegata con naturalezza sulle ginocchia ad accogliere sulla schiena un getto d’acqua, ora al Museo Nazionale Romano. I capelli sono sommariamente raccolti per non farli bagnare, ma qualche ciocca ribelle scivola con grazia dall’improvvisata acconciatura. Si tratta della più bella copia giunta sino a noi di una scultura del bitinio Doidalsas, vista da Plinio a Roma nel Tempio di Giove Statore, al Portico di Ottavia. Fu Nicomede I di Bitinia (III sec.a.C.) a commissionare la statua, dopo aver chiesto invano agli abitanti di Cnido di poter acquistare l’Afrodite eseguita per loro da Prassitele. Come propone Paolo Moreno nel I volume della sua "Scultura ellenistica", nell’opera di Diodalsas si potrebbe celare il ritratto della seconda moglie di Nicomede, Eptazeta.

Tra le creazioni originali di epoca romana si può annoverare l’Atleta di Stephanos, il Dioniso coronato di corimbi del Vaticano, le sculture di stile egizio o egittizzante, oltre, naturalmente, all’ultimo tipo scultoreo prodotto dall’arte classica, quello di Antinoo, divinizzato come Osiride nella statua di rosso antico della Gliptoteca di Monaco di Baviera, come Iakkos nel ritratto del Museo Nazionale Romano, come Bacco nella statua colossale del Vaticano, come Vertumno nel grande rilievo di Villa Albani. Bellissimo giovane originario della Bitinia, Antinoo fu teneramente amato da Adriano, ma perì precocemente, affogando nel Nilo, si dice in un sacrificio volontario per allontanare un infausto presagio dalla testa dell’Imperatore. Inconsolabile, Adriano si circondò di sue immagini, gli eresse un tempio, volle chiamare con il suo nome una stella e gli dedicò persino una città nel medio Egitto, Antinopoli.

Capolavoro di "opus vermiculatum" è il mosaico delle Colombe del Capitolino, che sembra troppo bello per essere una semplice copia: qualche studioso lo ritiene proprio il celebre originale di Sosos.

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