Sulla
via di Ripetta, a circa 150 metri da Piazza del Popolo, una lapide al civico 22
ricorda che qui nacque, il 13 gennaio del 1752 da una nobile famiglia di origini
portoghesi, una delle donne più colte ed attive del Settecento italiano:
Eleonora Fonseca Pimentel, le cui vicende hanno ispirato il romanzo di Enzo
Striano, "Il resto di niente", da cui è stato tratto l’omonimo film del 2004,
interpretato da Maria De Medeiros. L’attuale targa sostituisce quella originale,
che riportava una data di nascita errata, fatta apporre nel 1909 dal sindaco
Ernesto Nathan.
Suo padre era don
Clemente Henriques de Fonseca Pimentel Chaves, sua madre donna Caterina Lopez de
Leon.
La piccola Eleonora ricevette il
Battesimo nella vicina chiesa di Santa Maria del Popolo.
Nel 1760, quando
aveva appena otto anni, in seguito alla rottura dei rapporti diplomatici tra il
Regno del Portogallo e lo Stato Pontificio, la sua famiglia dovette trasferirsi
a Napoli. Qui la giovane si distinse per le sue straordinarie capacità
intellettuali e per una singolare bellezza. Anche grazie all'abate Lopez, suo
zio, studiò greco, latino, matematica, fisica, chimica, botanica, mineralogia,
astronomia, economia e diritto pubblico. Nonostante la giovane età, fu ammessa
all'Accademia del Filareti, sotto il nome di Epolifenora Olcesamante, e a quella
dell’Arcadia, con lo pseudonimo di Altidora Esperetusa. Ad appena 18 anni iniziò
una corrispondenza epistolare con il poeta Pietro Trapassi, Metastasio, che
rimase colpito dalle sue rare qualità e dai suoi versi e nell’ottobre del 1770
le indirizzò una lettera di lodi e incoraggiamento. Questo non fu che il primo
dei tanti carteggi che la legarono a uomini illustri del suo tempo, da Voltaire
a Goethe o Gaetano Filangieri.
Come ricordano
Ginevra Conti Odorisio e Fiorenza Taricone nel recente volume "Per filo e per
segno", "poetessa arcadica, studiosa di economia, matematica e diritto, la
Pimentel è figlia di quell’età dei Lumi che vede le donne abbattere il tabù
delle scienze e animare salotti intellettuali".
Il 4 febbraio del
1778 la ventiseienne Eleonora aveva sposato – nella chiesa di S. Anna - Pasquale
Tria de Solis, capitano dell'esercito napoletano, quarantaquattrenne. Non fu un
matrimonio felice, anzi si rivelò un vero inferno: il marito la tradiva, era
manesco. Nel giugno del 1779 le moriva il figlioletto Francesco, ad appena otto
mesi. Il tragico episodio le ispirò alcuni componimenti poetici.
Una seconda
gravidanza si interruppe a causa delle percosse del marito, da cui finalmente si
separò nel 1786, con un processo i cui atti sono conservati nell’Archivio di
Stato di Napoli e continuano a testimoniare le umiliazioni, le prepotenze. Dalle
sue deposizioni originali sappiamo perfino i nomi delle amanti del marito, con
cui il suo tiranno la costringeva a dividere il letto.
I
n
quel periodo la Pimental era ancora vicina ai reali di Napoli, Ferdinando IV e
Maria Carolina, per le cui nozze aveva composto, nel 1768, un epitalamio. Negli
anni successivi aveva salutato con i suoi versi la nascita dei loro figli. Tale
devozione fu ricompensata dal re, che avendo saputo delle ristrettezze
economiche in cui la Pimental versava in seguito alla separazione del marito, le
fece assegnare un sussidio mensile in qualità di bibliotecaria della regina. Con
Maria Carolina, Eleonora frequentò i salotti degli illuminati napoletani
affiliati alla massoneria, quella colta elite che avrebbe dato vita alla breve
ma significativa esperienza della Repubblica. La stessa Eleonora, in un primo
momento così vicina alla monarchia borbonica, abbracciò la causa dell’idealismo
democratico. "In lei matura – spiegano Odorisio e Taricone - un pensiero
progressista, laico e repubblicano, che per alcuni versi prefigura una
sensibilità risorgimentale". Si gettò nell’impegno politico, in difesa del
progresso e delle classi meno fortunate. Le sue idee le valsero l’accusa di
giacobinismo e l’arresto, nell’ottobre del 1798. All’arrivo delle truppe
francesi a Napoli, nel gennaio del 1799, fu liberata. Cancellò il "de" nobiliare
dal suo cognome e diventò una protagonista della vita politica della Repubblica
Napoletana. Su invito del Governo Provvisorio, assunse la direzione del
"Monitore napoletano", pubblicato dal 2 febbraio all'8 giugno 1799. "Il foglio,
che uscirà con l’etichetta di giornale ufficiale della Repubblica - continuano
Odorisio e Taricone - manterrà, grazie alla sua direttrice, una certa autonomia,
spronando costantemente il governo ed esortandolo a non tradire la sua missione
di difesa degli interessi del popolo. Nei suoi scritti la Pimentel chiedeva
l’abbattimento dei privilegi feudali e dei dazi che gravavano sugli strati più
poveri della popolazione. Consapevole della necessità di creare una base sociale
forte per la Repubblica, aveva infine compreso l’importanza di alfabetizzare la
plebe e di diffondere la coscienza dei diritti presso chi non ne possedeva
neppure il concetto". In ognuno dei trentacinque numeri del "Monitore" la
Pimentel dimostrò di essere una grande giornalista. Tra le sue idee più
innovative, la necessità di comunicare con la plebe nel suo stesso linguaggio,
il dialetto, per riuscire a innalzarla a dignità di popolo.
La sfortunata
Repubblica, però, cadde dopo soli cinque mesi, il 13 giugno 1799. Le truppe
Sanfediste, entrate in città, fecero strage dei patrioti partenopei. Eleonora
Pimentel Fonseca fu arrestata e condannata a morte mediante capestro, come "rea
di Stato", per aver osato parlare e scrivere contro il re. Aveva chiesto che le
fosse tagliata la testa, ma non le fu accordato, non essendo ritenuta di nobiltà
napoletana. L’esecuzione avvenne in Piazza Mercato, il 20 agosto 1799. Il suo
estremo desiderio fu una tazza di caffè, quindi pronunciò un verso di Virgilio:
"forsan et haec olim meminisse juvabit", "forse un giorno gioverà ricordare
tutto questo". Avrebbe voluto rivolgere un breve discorso alla folla che
l’attorniava, ma il carnefice non gliene diede il tempo. Dopo l’esecuzione il
suo corpo rimase esposto al popolo per l’intera giornata. Uno sfregio, che
probabilmente si aggiunse a un altro oltraggio: sembra che, nonostante le sue
preghiere, sia stata impiccata senza mutande e che non le sia stata data nemmeno
la cordicella che aveva chiesto per legarsi l’orlo della veste e impedire che le
si aprisse nel pendolare dalla forca, posta più in alto delle altre. I suoi
nemici le dedicarono una macabra poesia satirica che cominciava così: "'A
signora 'onna Lionora / che cantava 'ncopp' 'o triato, / mo' abballa mmiez' 'o
Mercato".