Una lapide in via di Ripetta ricorda la casa in cui nacque nel 1752

Eleonora Fonseca Pimentel, una giornalista illuminata

di Cinzia Dal Maso e Antonio Venditti

Sulla via di Ripetta, a circa 150 metri da Piazza del Popolo, una lapide al civico 22 ricorda che qui nacque, il 13 gennaio del 1752 da una nobile famiglia di origini portoghesi, una delle donne più colte ed attive del Settecento italiano: Eleonora Fonseca Pimentel, le cui vicende hanno ispirato il romanzo di Enzo Striano, "Il resto di niente", da cui è stato tratto l’omonimo film del 2004, interpretato da Maria De Medeiros. L’attuale targa sostituisce quella originale, che riportava una data di nascita errata, fatta apporre nel 1909 dal sindaco Ernesto Nathan.

Suo padre era don Clemente Henriques de Fonseca Pimentel Chaves, sua madre donna Caterina Lopez de Leon. La piccola Eleonora ricevette il Battesimo nella vicina chiesa di Santa Maria del Popolo.

Nel 1760, quando aveva appena otto anni, in seguito alla rottura dei rapporti diplomatici tra il Regno del Portogallo e lo Stato Pontificio, la sua famiglia dovette trasferirsi a Napoli. Qui la giovane si distinse per le sue straordinarie capacità intellettuali e per una singolare bellezza. Anche grazie all'abate Lopez, suo zio, studiò greco, latino, matematica, fisica, chimica, botanica, mineralogia, astronomia, economia e diritto pubblico. Nonostante la giovane età, fu ammessa all'Accademia del Filareti, sotto il nome di Epolifenora Olcesamante, e a quella dell’Arcadia, con lo pseudonimo di Altidora Esperetusa. Ad appena 18 anni iniziò una corrispondenza epistolare con il poeta Pietro Trapassi, Metastasio, che rimase colpito dalle sue rare qualità e dai suoi versi e nell’ottobre del 1770 le indirizzò una lettera di lodi e incoraggiamento. Questo non fu che il primo dei tanti carteggi che la legarono a uomini illustri del suo tempo, da Voltaire a Goethe o Gaetano Filangieri.

Come ricordano Ginevra Conti Odorisio e Fiorenza Taricone nel recente volume "Per filo e per segno", "poetessa arcadica, studiosa di economia, matematica e diritto, la Pimentel è figlia di quell’età dei Lumi che vede le donne abbattere il tabù delle scienze e animare salotti intellettuali".

Il 4 febbraio del 1778 la ventiseienne Eleonora aveva sposato – nella chiesa di S. Anna - Pasquale Tria de Solis, capitano dell'esercito napoletano, quarantaquattrenne. Non fu un matrimonio felice, anzi si rivelò un vero inferno: il marito la tradiva, era manesco. Nel giugno del 1779 le moriva il figlioletto Francesco, ad appena otto mesi. Il tragico episodio le ispirò alcuni componimenti poetici.

Una seconda gravidanza si interruppe a causa delle percosse del marito, da cui finalmente si separò nel 1786, con un processo i cui atti sono conservati nell’Archivio di Stato di Napoli e continuano a testimoniare le umiliazioni, le prepotenze. Dalle sue deposizioni originali sappiamo perfino i nomi delle amanti del marito, con cui il suo tiranno la costringeva a dividere il letto.

In quel periodo la Pimental era ancora vicina ai reali di Napoli, Ferdinando IV e Maria Carolina, per le cui nozze aveva composto, nel 1768, un epitalamio. Negli anni successivi aveva salutato con i suoi versi la nascita dei loro figli. Tale devozione fu ricompensata dal re, che avendo saputo delle ristrettezze economiche in cui la Pimental versava in seguito alla separazione del marito, le fece assegnare un sussidio mensile in qualità di bibliotecaria della regina. Con Maria Carolina, Eleonora frequentò i salotti degli illuminati napoletani affiliati alla massoneria, quella colta elite che avrebbe dato vita alla breve ma significativa esperienza della Repubblica. La stessa Eleonora, in un primo momento così vicina alla monarchia borbonica, abbracciò la causa dell’idealismo democratico. "In lei matura – spiegano Odorisio e Taricone - un pensiero progressista, laico e repubblicano, che per alcuni versi prefigura una sensibilità risorgimentale". Si gettò nell’impegno politico, in difesa del progresso e delle classi meno fortunate. Le sue idee le valsero l’accusa di giacobinismo e l’arresto, nell’ottobre del 1798. All’arrivo delle truppe francesi a Napoli, nel gennaio del 1799, fu liberata. Cancellò il "de" nobiliare dal suo cognome e diventò una protagonista della vita politica della Repubblica Napoletana. Su invito del Governo Provvisorio, assunse la direzione del "Monitore napoletano", pubblicato dal 2 febbraio all'8 giugno 1799. "Il foglio, che uscirà con l’etichetta di giornale ufficiale della Repubblica - continuano Odorisio e Taricone - manterrà, grazie alla sua direttrice, una certa autonomia, spronando costantemente il governo ed esortandolo a non tradire la sua missione di difesa degli interessi del popolo. Nei suoi scritti la Pimentel chiedeva l’abbattimento dei privilegi feudali e dei dazi che gravavano sugli strati più poveri della popolazione. Consapevole della necessità di creare una base sociale forte per la Repubblica, aveva infine compreso l’importanza di alfabetizzare la plebe e di diffondere la coscienza dei diritti presso chi non ne possedeva neppure il concetto". In ognuno dei trentacinque numeri del "Monitore" la Pimentel dimostrò di essere una grande giornalista. Tra le sue idee più innovative, la necessità di comunicare con la plebe nel suo stesso linguaggio, il dialetto, per riuscire a innalzarla a dignità di popolo.

La sfortunata Repubblica, però, cadde dopo soli cinque mesi, il 13 giugno 1799. Le truppe Sanfediste, entrate in città, fecero strage dei patrioti partenopei. Eleonora Pimentel Fonseca fu arrestata e condannata a morte mediante capestro, come "rea di Stato", per aver osato parlare e scrivere contro il re. Aveva chiesto che le fosse tagliata la testa, ma non le fu accordato, non essendo ritenuta di nobiltà napoletana. L’esecuzione avvenne in Piazza Mercato, il 20 agosto 1799. Il suo estremo desiderio fu una tazza di caffè, quindi pronunciò un verso di Virgilio: "forsan et haec olim meminisse juvabit", "forse un giorno gioverà ricordare tutto questo". Avrebbe voluto rivolgere un breve discorso alla folla che l’attorniava, ma il carnefice non gliene diede il tempo. Dopo l’esecuzione il suo corpo rimase esposto al popolo per l’intera giornata. Uno sfregio, che probabilmente si aggiunse a un altro oltraggio: sembra che, nonostante le sue preghiere, sia stata impiccata senza mutande e che non le sia stata data nemmeno la cordicella che aveva chiesto per legarsi l’orlo della veste e impedire che le si aprisse nel pendolare dalla forca, posta più in alto delle altre. I suoi nemici le dedicarono una macabra poesia satirica che cominciava così: "'A signora 'onna Lionora / che cantava 'ncopp' 'o triato, / mo' abballa mmiez' 'o Mercato".

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