La raccolta e la regolarizzazione delle acque
assunsero nei Colli Albani, in età romana, un crescente aspetto tecnico e perciò
un maggiore sviluppo, anche come incentivo e potenziamento dell’agricoltura.
Con
un elevato senso di iniziativa paragonabile per taluni aspetti a quello dei
nostri giorni, si procedette all’utilizzazione diretta delle acque dei laghi per
costruire degli emissari che servissero altresì per l’irrigazione dei campi,
tenendo presente l’esperienza etrusca dell’incanalamento e della bonifica in
genere di interi territori.
L’esempio più antico, secondo alcuni storici, è l’emissario del lago di Nemi,
realizzato per evitare disastrosi straripamenti nella zona antistante il tempio
di Diana. Costruito nel IV sec. a.C., l’emissario risulta formato da due
gallerie sovrapposte che si congiungono a 180 m. dall’imbocco. La galleria
inferiore, il vero e proprio emissario, è sotterranea, aperta nella roccia
tufacea e senza rivestimenti, con un andamento un po’ sinuoso. Nella camera
d’imbocco della galleria sono tutta una serie di congegni atta a regolare il
livello del lago per una stabilita irrigazione dei terreni a valle.
L’emissario, lungo m. 1.653, sbocca nella Valle Ariccia con un canale aperto.
L’emissario del lago di Nemi presenta notevoli spunti d’interesse non solo per
quanto riguarda la costruzione, ma anche per il procedimento di lavoro, teso a
completare il manufatto nel più breve tempo possibile.
Nel
1927-28 furono effettuati grandiosi lavori di restauro per rimetterlo in
funzione e svuotare parzialmente il lago, al fine di recuperare le navi romane
che giacevano sul fondo.
A un
primo esame l’emissario risultò in condizioni molto più precarie di quanto si
pensasse. Persino l’entrata risultava difficoltosa. La galleria era ostruita da
frane avvenute in epoca medioevale e da depositi rocciosi che avrebbero
ostacolato il deflusso dell’acqua .
Augusto Anzil e Mafaldo Corese si offrirono volontari per la completa ispezione
dell’antichissima opera. Camminando con l’acqua che in certi punti arrivava loro
al collo, spostandosi per alcuni tratti sulle mani e sulle ginocchia, a rischio
della vita, riuscirono ad uscire dalla parte del lago. Dal loro resoconto si
evinse che la costruzione della galleria era cominciata contemporaneamente sia
da una parte che dall’altra, come dimostravano i segni lasciati sulla roccia
dagli attrezzi di scavo. Nella relazione dell’ingegnere Augusto Biancini,
presidente del Comitato Industriale Scoprimento Navi Nemorensi, si legge: "Le
incisioni, tutt’ora visibili, lasciate sulla roccia dagli arnesi a punta
adoperati, attestano il lavoro duro, paziente ed estremamente penoso che gli
schiavi hanno dovuto compiere, obbligati a lavorare raggomitolati od in
posizione orizzontale e con limitatissima possibilità di movimenti. L’incontro è
documentato dalla opposta direzione delle incisioni, ancora nettamente visibili,
lasciate sulla roccia dagli utensili di lavoro ed è stato raggiunto per via di
tentativi guidati, verosimilmente, da segnali acustici. In tal modo si sono
raccordati i due avanzamenti, che si trovano a divergere fra loro di circa
quattro metri in senso planimetrico e di circa due in senso altimetrico. Errore
certo non grave, quando si pensi ai mezzi primitivi che, allora, si possedevano
per tracciare e mantenere le direzioni di avanzamento e soprattutto quando si
pensi che accade, talvolta, anche oggi di riscontrare nelle nostre gallerie
errori non molto minori, malgrado la perfezione degli strumenti e dei metodi
moderni". In una nicchia fu persino rinvenuta una piccola lucerna ad olio in
terracotta che aveva illuminato il lavoro di quegli uomini.
Finalmente si poté procedere alla
ristrutturazione della galleria, effettuata dal Ministero dei Lavori Pubblici
con tutti i mezzi allora disponibili, dagli argani elettrici alle perforatrici
pneumatiche e agli esplosivi, sempre cercando di non minare l’integrità del
monumento. Nel settembre del 1928 i lavori di sistemazione furono portati a
termine, e il primo ottobre se ne effettuò il collaudo. Secondo il racconto dei
testimoni dell’epoca, appoggiando l’orecchio alla roccia si sentiva
"lontano il rombo dell’acqua scrosciante nel lungo speco ed all’improvviso il
flutto ne esce e precipita spumeggiando".
Ancora più grandioso è l’emissario del lago Albano, costruito sempre nel IV
secolo, al tempo della guerra contro Veio, suggestionò talmente il Piranesi da
indurlo a riprodurlo fedelmente, anche nei minimi particolari. La sua
realizzazione, secondo Tito Livio, sarebbe stata originata da una profezia
dell’oracolo di Delfi: la vittoria dei Romani contro Veio sarebbe stata
possibile solo se le acque del lago fossero state incanalate e utilizzate per
irrigare i campi.
L’emissario, realizzato secondo la tradizione in un solo anno, è ancora
perfettamente funzionante e serve a mantenere costante il livello delle acque
del lago, irrigando con il sopravanzo i vicini campi della prospiciente pianura.
Scavato interamente nella roccia, conserva all’imbocco del cunicolo la struttura
originaria. L’imbocco è formato dalla camera di manovra delle saracinesche per
il deflusso delle acque e l’intero ambiente si deve far risalire ad un
rifacimento della fine della repubblica. La camera di manovra in blocchi di
peperino, in parte scoperta ed in parte coperta da una volta di massi ben
squadrati, presenta verso il fondo un muro sormontato da un arco alto circa 8
metri e delimitato da pilastri sempre di pietra albana. Al di sotto dell’arco il
flusso dell’acqua è regolato da un’apposita paratoia. Le acque entravano dal
lago originariamente attraverso una serie di fori praticati nel peperino, in
seguito sostituiti da una grata di ferro.
L’emissario, lungo circa 2.500 m., largo m. 1,20 e alto m. 1,60, sbocca in
località Le Mole. Al suo sbocco, presso le Mole di Albano, nel medioevo sorse un
piccolo borgo costituito da fontanili, canali, chiuse e mulini, con al centro
una torre, ancora oggi visibile.
Oltremodo interessante è il procedimento costruttivo, che vide lo scavo di 62
pozzi distanti 30 metri tra loro, in ognuno dei quali le coppie di operai che vi
lavoravano erano sostituite ogni sei ore, per accelerare al massimo i tempi, che
si rivelarono veramente eccezionali. |