I
Municipi dei Colli Albani gradatamente entrarono a far parte della vita sociale
di Roma, divenendone delle vere e proprie appendici. Difatti
l’approvvigionamento idrico dell’Urbe era completato dalla portata di due dei
più importanti acquedotti, provenienti proprio dai Colli Albani: il Tepulo-Iulio
e quello Alessandrino.
L’Acqua Tepula, così chiamata per
la sua temperatura di 16-17 gradi centigradi che la rendevano molto tiepida,
aveva origine in territorio tuscolano, alimentata da varie vene. Giunse a Roma
nel 125 a.C. ad opera dei consoli Servilio Cepione e L. Cassio Longino.
L’acquedotto Tepulo aveva una portata media di 16.240 metri cubi al giorno.
L’Acqua Giulia, così denominata da
Agrippa che ne realizzò l’acquedotto durante l’impero di Cesare Augusto, era
anch’essa alimentata da vene vicine tra loro e aveva origine probabilmente non
lontano dal ponte degli Squarciarelli. La temperatura del nucleo principale
doveva essere di 10 gradi centigradi. Venne erogata a Roma nel 33 a.C., dove
alimentava il ninfeo detto nel Medioevo dei Trofei di Mario, aveva una portata
media di 48.964 metri cubi nelle 24 ore. Agrippa, però, cercò oculatamente di
ottenere un’acqua alla temperatura ideale di 13 gradi e mezzo, convogliando la
Tepula e la Giulia in un’unica grotta. Le due acque alle piscine delle
Capannelle tornavano ad essere separate nelle portate originarie.
Ancora dai Colli Albani proviene
l’ultimo degli acquedotti realizzato dagli imperatori romani, quello
Alessandrino, voluto da Alessandro Severo per alimentare le Terme di Nerone nel
Campo Marzio. Le sorgenti dell’Acqua Alessandrina, portata a Roma nel 226 d.C.,
scaturivano a circa tre chilometri a nord di Colonna, nei pressi della Tenuta di
Pantano Borghese. L’acquedotto Alessandrino, essendo fin dall’origine quasi
tutto in superficie, è l’unico fra quelli menzionati di cui sia possibile
ammirare i resti nei Colli Albani. Le sue poderose e basse arcate continue
attraversano diagonalmente Pantano Borghese, dove costituiscono alcuni tra i
migliori avanzi della monumentale opera.
Nel Tuscolano sgorgava un’altra
acqua, la Cabra, che ritenuta di scarsa qualità da Agrippa, venne per volontà
dell’Imperatore lasciata agli abitanti di questi luoghi, dove costituì il più
importante sistema di rifornimento idrico. Inoltre, secondo turni stabiliti e
quantità prefissate, veniva erogata alle ville della zona, tra le quali quella
di Cicerone, che pagava per tale servizio una tassa ai Tuscolani. L’acqua venne
chiamata dai Tuscolani anche Augusta, in segno di gratitudine verso l’Imperatore
e presenta i resti del proprio acquedotto a Rocca di Papa, nella località che
trae la denominazione Arcioni proprio dagli archi dell’antico acquedotto.
Non tutte le zone dei Colli Albani
nell’antichità poterono usufruire dei vantaggi pratici di un acquedotto diretto,
e là dove le difficoltà topografiche si presentavano insormontabili, si
utilizzarono serbatoi artificiali, anche di eccezionale capienza, con soluzioni
derivanti proprio dall’esperienza edilizia e connesse al sistema idraulico degli
acquedotti.
In origine venivano scavati dei
semplici pozzi destinati all’estrazione o alla raccolta dell’acqua piovana,
quasi sempre di forma circolare e con il diametro interno molto piccolo, come
possiamo vedere a Tuscolo a sud della casa del custode.
Moltissime sono le cisterne sparse
per i Colli Albani, di varie forme e dimensioni, alcune ancora in ottimo stato e
persino funzionanti. Gran parte di questi serbatoi si trovano nel Tuscolano, a
cominciare dalle due cisterne della villa romana di via S. Andrea a Borghetto.
A Grottaferrata ve n’è un’altra
ben conservata in prossimità di via dei Montoni, la cosiddetta cisterna di Villa
delle Querce, con ben sette navate.
Delle tante del comune di
Frascati, è doveroso citare quelle della zona archeologica di Tuscolo. Adiacente
all’atrio della casa di Prastina Pacato è la cisterna tripartita, mentre
attraverso un’apertura delle mura inferiori si entra nella cisterna arcaica,
costituita da blocchi di sperone squadrati e sovrapposti che tendono a
restringersi e a incurvarsi verso l’alto fino a costituire una sorta di volta
ogivale. Un’altra cisterna, quella "grande", si trova dietro il teatro lungo la
strada che conduce all’acropoli; è a pianta quadrata, divisa a navate, in
opus coementicium, con le pareti rivestite in opus signinum. Un’altra
cisterna di dimensioni minori e di forma triangolare si trova verso l’acropoli.
Poco lontano dal sepolcro di M. Celio Viniciano, sul pendio del colle, è ancora
un altro serbatoio ad una sola navata con copertura a botte.
Esempi di cisterne romane troviamo
a Monte Porzio Catone nella Villa Lucidi, nel Barco Borghese, nel Casale
Venturini, in quello Montanari ed in località Pallotta.
Delle oltre trenta cisterne di
Montecompatri, quella del Casale Brandolini in località Casale Mazzini è ancora
in funzione. Quasi sotterranea e a due navate è la conserva in località Valle
della Statua a Rocca Priora.
Marino racchiude nell’area della
villa detta di Valerio Messala una cisterna ad una sola navata.
Veramente un monumento di tecnica
costruttiva è il Cisternone di Albano, il più grande serbatoio dei Colli Albani.
Fu creato dall’imperatore Settimio Severo per raccogliere e conservare le acque
potabili provenienti da Palazzolo e destinate ai Castra Albana. L’enorme
costruzione, di forma trapezoidale, interamente scavata nella roccia, è formata
da cinque grandi navate intercomunicanti, delimitate da quattro file di nove
grossi blocchi, sui quali è impostata la volta alta circa m. 12. La sua capacità
è di circa 10.000 metri cubi di acqua e è ancora in funzione.
Presso Castel Gandolfo, sulla via
Appia, si trova la grande cisterna denominata Piscina Torlonia, di notevole
capacità, mentre un’altra grande, ma di minore portata, caratterizzata da un
sistema di cunicoli, si trova nelle vicinanze di Ariccia, sul Monte Gentile.
Sulla sommità del Prato Fabio a
Rocca di Papa si trovano due grandi cisterne, ancor oggi utilizzate, costruite
in pietra locale di lapillo e peperino, capaci di contenere un centinaio di
botti d’acqua.
Il rifornimento alla villa
imperiale sul lago di Nemi era assicurato da una grande conserva d’acqua, divisa
in due navate, di cui attualmente si ammira l’originaria struttura.