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Le antiche arcate attraversano ancora la campagna romana

Acquedotti e cisterne dei Colli Albani

di Antonio Venditti

 

I Municipi dei Colli Albani gradatamente entrarono a far parte della vita sociale di Roma, divenendone delle vere e proprie appendici. Difatti l’approvvigionamento idrico dell’Urbe era completato dalla portata di due dei più importanti acquedotti, provenienti proprio dai Colli Albani: il Tepulo-Iulio e quello Alessandrino.

L’Acqua Tepula, così chiamata per la sua temperatura di 16-17 gradi centigradi che la rendevano molto tiepida, aveva origine in territorio tuscolano, alimentata da varie vene. Giunse a Roma nel 125 a.C. ad opera dei consoli Servilio Cepione e L. Cassio Longino. L’acquedotto Tepulo aveva una portata media di 16.240 metri cubi al giorno.

L’Acqua Giulia, così denominata da Agrippa che ne realizzò l’acquedotto durante l’impero di Cesare Augusto, era anch’essa alimentata da vene vicine tra loro e aveva origine probabilmente non lontano dal ponte degli Squarciarelli. La temperatura del nucleo principale doveva essere di 10 gradi centigradi. Venne erogata a Roma nel 33 a.C., dove alimentava il ninfeo detto nel Medioevo dei Trofei di Mario, aveva una portata media di 48.964 metri cubi nelle 24 ore. Agrippa, però, cercò oculatamente di ottenere un’acqua alla temperatura ideale di 13 gradi e mezzo, convogliando la Tepula e la Giulia in un’unica grotta. Le due acque alle piscine delle Capannelle tornavano ad essere separate nelle portate originarie.

Ancora dai Colli Albani proviene l’ultimo degli acquedotti realizzato dagli imperatori romani, quello Alessandrino, voluto da Alessandro Severo per alimentare le Terme di Nerone nel Campo Marzio. Le sorgenti dell’Acqua Alessandrina, portata a Roma nel 226 d.C., scaturivano a circa tre chilometri a nord di Colonna, nei pressi della Tenuta di Pantano Borghese. L’acquedotto Alessandrino, essendo fin dall’origine quasi tutto in superficie, è l’unico fra quelli menzionati di cui sia possibile ammirare i resti nei Colli Albani. Le sue poderose e basse arcate continue attraversano diagonalmente Pantano Borghese, dove costituiscono alcuni tra i migliori avanzi della monumentale opera.

Nel Tuscolano sgorgava un’altra acqua, la Cabra, che ritenuta di scarsa qualità da Agrippa, venne per volontà dell’Imperatore lasciata agli abitanti di questi luoghi, dove costituì il più importante sistema di rifornimento idrico. Inoltre, secondo turni stabiliti e quantità prefissate, veniva erogata alle ville della zona, tra le quali quella di Cicerone, che pagava per tale servizio una tassa ai Tuscolani. L’acqua venne chiamata dai Tuscolani anche Augusta, in segno di gratitudine verso l’Imperatore e presenta i resti del proprio acquedotto a Rocca di Papa, nella località che trae la denominazione Arcioni proprio dagli archi dell’antico acquedotto.

Non tutte le zone dei Colli Albani nell’antichità poterono usufruire dei vantaggi pratici di un acquedotto diretto, e là dove le difficoltà topografiche si presentavano insormontabili, si utilizzarono serbatoi artificiali, anche di eccezionale capienza, con soluzioni derivanti proprio dall’esperienza edilizia e connesse al sistema idraulico degli acquedotti.

In origine venivano scavati dei semplici pozzi destinati all’estrazione o alla raccolta dell’acqua piovana, quasi sempre di forma circolare e con il diametro interno molto piccolo, come possiamo vedere a Tuscolo a sud della casa del custode.

Moltissime sono le cisterne sparse per i Colli Albani, di varie forme e dimensioni, alcune ancora in ottimo stato e persino funzionanti. Gran parte di questi serbatoi si trovano nel Tuscolano, a cominciare dalle due cisterne della villa romana di via S. Andrea a Borghetto.

A Grottaferrata ve n’è un’altra ben conservata in prossimità di via dei Montoni, la cosiddetta cisterna di Villa delle Querce, con ben sette navate.

Delle tante del comune di Frascati, è doveroso citare quelle della zona archeologica di Tuscolo. Adiacente all’atrio della casa di Prastina Pacato è la cisterna tripartita, mentre attraverso un’apertura delle mura inferiori si entra nella cisterna arcaica, costituita da blocchi di sperone squadrati e sovrapposti che tendono a restringersi e a incurvarsi verso l’alto fino a costituire una sorta di volta ogivale. Un’altra cisterna, quella "grande", si trova dietro il teatro lungo la strada che conduce all’acropoli; è a pianta quadrata, divisa a navate, in opus coementicium, con le pareti rivestite in opus signinum. Un’altra cisterna di dimensioni minori e di forma triangolare si trova verso l’acropoli. Poco lontano dal sepolcro di M. Celio Viniciano, sul pendio del colle, è ancora un altro serbatoio ad una sola navata con copertura a botte.

Esempi di cisterne romane troviamo a Monte Porzio Catone nella Villa Lucidi, nel Barco Borghese, nel Casale Venturini, in quello Montanari ed in località Pallotta.

Delle oltre trenta cisterne di Montecompatri, quella del Casale Brandolini in località Casale Mazzini è ancora in funzione. Quasi sotterranea e a due navate è la conserva in località Valle della Statua a Rocca Priora.

Marino racchiude nell’area della villa detta di Valerio Messala una cisterna ad una sola navata.

Veramente un monumento di tecnica costruttiva è il Cisternone di Albano, il più grande serbatoio dei Colli Albani. Fu creato dall’imperatore Settimio Severo per raccogliere e conservare le acque potabili provenienti da Palazzolo e destinate ai Castra Albana. L’enorme costruzione, di forma trapezoidale, interamente scavata nella roccia, è formata da cinque grandi navate intercomunicanti, delimitate da quattro file di nove grossi blocchi, sui quali è impostata la volta alta circa m. 12. La sua capacità è di circa 10.000 metri cubi di acqua e è ancora in funzione.

Presso Castel Gandolfo, sulla via Appia, si trova la grande cisterna denominata Piscina Torlonia, di notevole capacità, mentre un’altra grande, ma di minore portata, caratterizzata da un sistema di cunicoli, si trova nelle vicinanze di Ariccia, sul Monte Gentile.

Sulla sommità del Prato Fabio a Rocca di Papa si trovano due grandi cisterne, ancor oggi utilizzate, costruite in pietra locale di lapillo e peperino, capaci di contenere un centinaio di botti d’acqua.

Il rifornimento alla villa imperiale sul lago di Nemi era assicurato da una grande conserva d’acqua, divisa in due navate, di cui attualmente si ammira l’originaria struttura.

 

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