Un monumento da
salvare: Santa Maria del Riposo
A circa un miglio
dalla Porta Portese, sul lato destro della via omonima, subito dopo
l’incrocio con via Pascarella, è una minuscola cappella di forma
absidale martoriata negli anni sessanta e oggi fronteggiata da
enormi e anonimi edifici. La cappella, a ridosso del marciapiede, è
una memoria di fede e arte che da tantissimo tempo giace nel più
totale e deprecabile abbandono, sia esterno che interno. E’ quanto
resta di una minuscola costruzione, di documentata importanza
storico-artistica, nel 1962 privata della parte retrostante. Sulla
piccola lapide posta sopra la porta di ingresso si legge: IN HONOREM
B. MARIAE / VIRGINIS NVNCVPAT / DEL RIPOSO, mentre sulla loggetta
soprastante il tetto si evidenzia, dipinto a colori, lo stemma del
principe Massimi inquartato con quello dei Della Porta.All’esterno
della cappella le immondizie circondano i muri scrostati, gli
intonaci caduti, le finestre murate alla buona, le scritte tracciate
con gli spray, alcuni tronconi di muro. L’interno, che si riesce a
intravedere attraverso una fessura della piccola porta di ferro
serrata da una lenta catena con due lucchetti, appare di uno
squallore estremo: saltano all’occhio un lavandino, alcuni barattoli
e vari pezzi di legno. Non si sa che fine abbia fatto il bel dipinto
a fresco con l’immagine della Vergine col Bambino, già nel secolo XV
oggetto di devozione, che dava il nome di “Imagine” a tutto il
territorio di Pietra Papa. Di certo il fortissimo odore di muffa che
proviene dall’edificio non fa presagire nulla di buono.La località,
occupata da vigne e giardini fino all’Ottocento, si stendeva sulle
sponde del Tevere e si ritiene, come già nella “Roma Moderna” del
1697 di Ottavio Panciroli, che in epoca antica vi sorgessero gli
orti di Cesare e, come ricordano Varrone e Tacito, fosse poco
distante dal Tempio di Fors Fortuna, divinità dell’agricoltura e
delle funzioni legate all’agricoltura, come il commercio, e proprio
per questo addetta alla tutela del territorio.La cappella,
conosciuta come “Santa Maria del Riposo”, era un luogo di sosta per
i viandanti diretti a Porto, l’attuale Fiumicino, che vi si
fermavano in preghiera. La sua officiatura regolare risale ai primi
decenni del secolo XVI. Il 4 febbraio 1526 fu ceduta da Tiberio
Castellani a Pietro de’ Massimi, che l’affidò ai Frati di San Pietro
in Montorio per l’utilizzo dei contadini della zona. L’edificio
attuale risale al 1600, anno in cui, essendo fatiscente il corpo
originario della cappella, Massimo de’ Massimi incaricò il Mastro
Battista Bosij dell’erezione della nuova fabbrica, munita di
cancelli: i lavori furono periziati il 28 luglio dell’anno seguente
dall’Architetto Gaspare Guerra per otto scudi. Massimo de’ Massimi
promosse, tra il 1603 e il 1635, molti interventi, come il muro di
cinta della vigna che si stendeva sul lato opposto della strada
Portuense e un grande portale, eseguito il 1629 dallo scalpellino
Simone Castelli, che ancora si nota di lato alla Portuense con
l’iscrizione, posteriore di alcuni decenni, “Villa a Porta de
Rodianis”. Perduti sono i casali di fronte alla Cappella e un
belvedere di peperino con sedili, statue e fontane situate laddove
ora inizia il ponte che conduce a Testaccio.Morto nel 1644 Massimo
de’ Massimi, il figlio Pietro ottenne dal papa Alessandro VII con
Chirografo del 22 giugno 1655 il permesso di alienare fino alla
somma di scudi 40.000 i beni fidecommissionari della sua casa fra i
quali la Cappella di S. Maria del Riposo e la vigna murata, che il 6
aprile 1656 furono cedute al prezzo di scudi 3.000 a Monsignor
Giulio Cenci e a Pietro Gigli, diventato nel 1690 l’unico
proprietario.Il passaggio di S. Maria del Riposo da cappella a
chiesa risale al 25 febbraio 1693, con Breve di Innocenzo XII, che
elargì anche la dichiarazione di altare privilegiato alla chiesa con
Breve del 5 aprile dello stesso anno per permettere a Francesca
Guerra, moglie di Pietro Gigli, di istituirvi una Cappellania anche
per venire incontro ai bisogni dei contadini che nei mesi invernali
non potevano beneficiare dei servizi religiosi.L’assetto definitivo
della chiesa è dovuto a Francesca Guerra, che il 4 marzo 1698
acquistò dal Marchese Camillo Giovan Battista Massimo un
giardinetto di 3/4 di pezza a quella limitrofo al prezzo di 140
scudi e vi fece erigere la Sagrestia e alcune stanze soprastanti per
il Cappellano che aveva l’obbligo di celebrarvi quotidianamente la
S. Messa, istruire i fanciulli alla Dottrina Cristiana e recitare il
S. Rosario nei giorni festivi.Nel 1708 la chiesa e la vigna murata
furono lasciate in eredità da Francesca Guerra al nipote Gironimo
della Porta Rodiani, che a sua volta curò il culto della chiesa,
aumentandone la rendita, arricchendone l’arredo e affiancando un
chierico al Cappellano. S. Maria del Riposo – dipendente dalla
Parrocchia di Santa Cecilia in Trastevere - aveva acquistato una
notorietà tale che nel 1741 fu nominata parrocchia rurale con “Motu
proprio” di Benedetto XIV, anche se non assunse mai tale funzione.
Godeva anche dell’Indulgenza Plenaria nella Festa della Natività di
Maria SS.ma, concessa da Pio VI con Breve del 9 agosto 1776 e
successivamente rinnovata con Rescritti dei Pontefici successivi
fino a Pio IX, che si poteva lucrare dai primi vesperi sino al
tramonto, pregando Dio per la Concordia dei Principi Cristiani,
l’estirpazione delle eresie e l’esaltazione della S. Chiesa
Cattolica.Il 15 aprile 1854 la chiesa tornò in proprietà alla casa
del suo fondatore con il matrimonio di Giacinta della Porta Rodiani
con il Principe Camillo Vittorio Massimo, le cui spoglie furono poi
accolte nella cripta sotterranea di quel sacello il 6 aprile 1873.
Il 22 gennaio 1900, con la morte di Giacinta della Porta Rodiani, la
chiesa con la vigna murata e parte dei suoi beni patrimoniali
andarono in eredità al figlio, padre Massimiliano Massimo, e insieme
con altre proprietà contribuirono alla fondazione del Collegio
omonimo, passando in proprietà della Compagnia di Gesù.
Successivamente Santa Maria del Riposo fu adibita a molino, a forno,
a magazzino, poi a locale adibito allo squaglio del sego.
di
Antonio Venditti
maggio 2007 |