Dal furto di Promèteo alle pietre focaie, gli specchi e i funghi secchi Accendere il fuoco nell’antica Roma
Gli antichi greci e latini attribuivano a Promèteo l’arrivo del fuoco sulla terra. Il coraggioso Titano l’avrebbe rubato al padre degli dei, Zeus, per farne dono agli uomini. Adirato per il gesto sacrilego, il Nume lo punì severamente, costringendolo a vedersi divorare ogni giorno il fegato da un rapace. Nell’antica Roma il fuoco era un elemento utile per l’illuminazione, il riscaldamento degli ambienti e la cottura dei cibi. Tuttavia una città costruita per lo più in legno - così appariva l’Urbe duemila anni fa – temeva gli effetti devastanti che poteva avere un piccolo focolaio nel momento in cui si trasformava in un incendio. Basterà pensare al celeberrimo rogo in cui arse la città nel 64 d.C., al tempo dell’imperatore Nerone, cui dovette seguire una massiccia riedificazione urbanistica. Per ottenere il fuoco si strofinavano velocemente tra loro dei ramoscelli. Una pietra focaia, a contatto con un’altra pietra o un chiodo generava scintille. A innescare la fiamma potevano essere foglie secche, zolfo, oppure una qualità di funghi secchi ricordata da Plinio il Vecchio. Anche gli antichi sapevano che uno specchio metallico rivolto verso il sole poteva generare una fiamma, ma questo sistema era sicuramente più complicato e poco utilizzato. Lo stesso effetto, secondo Plinio il Vecchio, si creava mettendo al sole una sfera di vetro riempita di acqua. Una volta acceso, dopo tanta fatica, si faceva attenzione a non far spegnere il fuoco. Tra vicini ci si aiutava volentieri. Così, in caso di necessità si bussava alla porta per "prendere un po’ di fuoco". L’argomento verrà approfondito sabato prossimo all’interno della trasmissione "Questa è Roma!", il programma di intrattenimento sulla storia della Capitale, ideato e condotto da Maria Pia Partisani, in onda dalle ore 11 alle 12 su Nuova Spazio Radio (88.150 MHz). © 2003 - Grafica e layout sono di esclusiva proprietà di www.specchioromano.it |
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