A
chi volesse cimentarsi nella cucina dell’antica Roma è consigliabile
una dispensa ricca di spezie ed erbe oggi poco usate, ma
fondamentali per comprendere il gusto dei nostri progenitori.
Il libro di
riferimento è senz’altro il "De re coquinaria", il manuale
gastronomico attribuito a Marco Gavio Apicio, il cuoco imperiale
vissuto con ogni probabilità all’epoca di Tiberio. Nel ricettario
sono riportati per il condimento dei cibi ingredienti come lo
zafferano, il pepe, lo zenzero, il laserpizio, le foglie di alloro,
le bacche di mirto, le radici di costo, i chiodi di garofano, il
nardo indiano, il cardamomo e i gambi di nardo. Spesso erano
adoperati anche i semi di papavero, quelli tossici della ruta,
dell’alloro, dell’aneto, del sedano, del finocchio, del coriandolo,
del cumino, dell’anice, del prezzemolo e del sedano. Tra le erbe
essiccate non mancavano il laserpizio, la menta, la salvia, il
cipresso, l’origano, le bacche di ginepro, la genziana, il timo, il
coriandolo, il dragoncello, la cedronella, la pastinaca, la
maggiorana e il silfio. L’abbondanza delle spezie utilizzate creava
accostamenti forti (e per il nostro palato forse indigesti) che
oltre ad insaporire gli alimenti dovevano profumare l’intera mensa.
Plinio il Vecchio
definì Apicio "il più grande scialacquatore e crapulone di tutti i
tempi" e sulla sua morte il filosofo Seneca ha riportato un
misterioso aneddoto: "dopo aver speso per la cucina 100 milioni di
sesterzi, dopo aver dilapidato tanti regali dell’imperatore, arrivò
un momento in cui fu costretto a fare il bilancio dei suoi averi.
Dai suoi conti capì che aveva soltanto 10 milioni di sesterzi. Così,
come se si vedesse costretto a vivere nella fame più nera, decise di
porre fine alla propria vita con il veleno".
Dalle fonti letterarie
abbiamo la descrizione di lauti e gustosi banchetti, come quello
organizzato da Giulio Cesare dopo la sua vittoria sui Galli. Il
generale fece sedere intorno a 22 mila tavole imbandite a festa ben
260 mila invitati. Agli intervenuti vennero servite cozze, ricci di
mare, ostriche, tordi, polli su una base di asparagi, filetti di
capriolo, maiale selvatico e seppie.
La ricchezza
dell’antica cucina romana è impersonata anche dalla figura del
generale e console Lucullo. Nel suo meraviglioso palazzo esistevano
ben 12 sale da pranzo, ciascuna dedicata a una divinità e con il
prezzo del menù da offrire già stabilito. Nel Satyricon di Petronio
è descritta forse la cena più fantasmagorica che sia mai avvenuta,
quella organizzata dal ricco Trimalcione. Nel vassoio, con i
moltissimi dolci che offrì ai suoi commensali, un abile pasticcere
aveva addirittura realizzato un simulacro di Priapo.
L’argomento verrà
approfondito nel corso dell’Intervista possibile di "Questa è
Roma!", la trasmissione ideata e condotta da Maria Pia Partisani, in
onda ogni sabato mattina dalle ore 11 alle 12 su Nuova Spazio radio
(88.150 MHz).