Gusti e sapori dell’antica Roma

Spezie ed erbe per noi insolite profumavano i piatti e le mense

di Annalisa Venditti

 

A chi volesse cimentarsi nella cucina dell’antica Roma è consigliabile una dispensa ricca di spezie ed erbe oggi poco usate, ma fondamentali per comprendere il gusto dei nostri progenitori.

Il libro di riferimento è senz’altro il "De re coquinaria", il manuale gastronomico attribuito a Marco Gavio Apicio, il cuoco imperiale vissuto con ogni probabilità all’epoca di Tiberio. Nel ricettario sono riportati per il condimento dei cibi ingredienti come lo zafferano, il pepe, lo zenzero, il laserpizio, le foglie di alloro, le bacche di mirto, le radici di costo, i chiodi di garofano, il nardo indiano, il cardamomo e i gambi di nardo. Spesso erano adoperati anche i semi di papavero, quelli tossici della ruta, dell’alloro, dell’aneto, del sedano, del finocchio, del coriandolo, del cumino, dell’anice, del prezzemolo e del sedano. Tra le erbe essiccate non mancavano il laserpizio, la menta, la salvia, il cipresso, l’origano, le bacche di ginepro, la genziana, il timo, il coriandolo, il dragoncello, la cedronella, la pastinaca, la maggiorana e il silfio. L’abbondanza delle spezie utilizzate creava accostamenti forti (e per il nostro palato forse indigesti) che oltre ad insaporire gli alimenti dovevano profumare l’intera mensa.

Plinio il Vecchio definì Apicio "il più grande scialacquatore e crapulone di tutti i tempi" e sulla sua morte il filosofo Seneca ha riportato un misterioso aneddoto: "dopo aver speso per la cucina 100 milioni di sesterzi, dopo aver dilapidato tanti regali dell’imperatore, arrivò un momento in cui fu costretto a fare il bilancio dei suoi averi. Dai suoi conti capì che aveva soltanto 10 milioni di sesterzi. Così, come se si vedesse costretto a vivere nella fame più nera, decise di porre fine alla propria vita con il veleno".

Dalle fonti letterarie abbiamo la descrizione di lauti e gustosi banchetti, come quello organizzato da Giulio Cesare dopo la sua vittoria sui Galli. Il generale fece sedere intorno a 22 mila tavole imbandite a festa ben 260 mila invitati. Agli intervenuti vennero servite cozze, ricci di mare, ostriche, tordi, polli su una base di asparagi, filetti di capriolo, maiale selvatico e seppie.

La ricchezza dell’antica cucina romana è impersonata anche dalla figura del generale e console Lucullo. Nel suo meraviglioso palazzo esistevano ben 12 sale da pranzo, ciascuna dedicata a una divinità e con il prezzo del menù da offrire già stabilito. Nel Satyricon di Petronio è descritta forse la cena più fantasmagorica che sia mai avvenuta, quella organizzata dal ricco Trimalcione. Nel vassoio, con i moltissimi dolci che offrì ai suoi commensali, un abile pasticcere aveva addirittura realizzato un simulacro di Priapo.

L’argomento verrà approfondito nel corso dell’Intervista possibile di "Questa è Roma!", la trasmissione ideata e condotta da Maria Pia Partisani, in onda ogni sabato mattina dalle ore 11 alle 12 su Nuova Spazio radio (88.150 MHz).

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