La metrica fu, insieme con il
dialetto romanesco, il punto di forza della poetica di Giuseppe Gioachino Belli,
che lo utilizzò in modo magistrale nel sonetto, una forma chiusa, difficile, di
cui però seppe sfruttare ogni potenzialità, riuscendo a dipingere dei quadri
vividi e completi con poche, precise pennellate, nell’angusto spazio di 14
versi, due quartine e due terzine. Il verso era quello classico della poesia
italiana, l’endecasillabo, in cui il Belli era già maestro, avendolo usato
moltissimo nelle composizioni italiane. Nei sonetti romaneschi lo adoperò con
estrema perizia e notevole libertà, pur partendo dalle tre forme tradizionali:
l’endecasillabo a majore (con accenti nella VI e X sillaba), quello a minore con
accenti in IV, VIII e X e quello a minore con accenti in IV, VII e X sillaba.
Proprio all’alternanza di endecasillabi di diversi tipo è affidato il ritmo
interno del sonetto. Rari sono i sonetti completamente composti di endecasillabi
a majore: un esempio è "Er caffettiere filosofo", in cui l’uniformità delle
cadenze è intenzionale e strettamente collegata all’impostazione e allo sviluppo
del tema. Sembra di vedere il macinino che continua, inesorabilmente, a girare
in tondo:
"L’ommini de sto monno so l’istesso
/ che vvaghi de caffè ner mascinino, / c’uno prima, uno doppo e un antro
appresso, / tutti quanti però vvanno a un distino. / Spesso muteno sito, e
ccaccia spesso / era vago grosso er vago piccinino, / e ss’incarzeno tutti in zu
l’ingresso / der ferro che li sfragne in porverino. / E l’ommini accusì viveno
ar monno / misticati pe mano de la sorte / che sse li gira tutti in tonno in
tonno; / e mmovendose ognuno, o piano o forte, / senza capillo mai caleno a
fonno / pe ccascà ne la gola de la Morte".
Lo strumento principale di questo
capolavoro belliano sta proprio nella perfezione metrica. In concomitanza con
l’uniformità ritmica delle strofe, anche i versi hanno le stesse cadenze e sono
tutti a rime alternate. L’armonia imitativa del motivo del macinino rende in
modo efficacissimo la monotona ineluttabilità finale delle cose umane.
Come dimostrano gli abbozzi e le
minute, quella del Belli fu una metrica tutt’altro che improvvisata o spontanea.
Fu frutto di amoroso studio e continui perfezionamenti, ma non avrebbe potuto
svilupparsi né raggiungere vertici così alti se non fosse stata alimentata da un
humus eccezionale: una straordinaria capacità di versificazione e una rara
sensibilità ritmica e musicale, sorretta dalla costante passione per la lirica e
dall’amicizia con l’altro grande Gioachino del suo tempo, Rossini.
D’Annunzio, che conosceva
perfettamente la poesia del "nostro Belli immortale", lo proclamò "il più grande
artefice del sonetto che abbia avuto la nostra letteratura"