Tredici capolavori tornano a casa dal Museum of Fine Arts di Boston

 

Archeologia in festa a Palazzo Massimo

 

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di Cinzia Dal Maso

“Archeologia in festa”, per alcuni capolavori che tornano a casa dagli Stati Uniti. Ogni tanto una bella notizia, per questo nostro patrimonio artistico continuamente depauperato dai tombaroli, calpestato dai vandali, offeso dall’incuria.  

Le tredici opere in mostra da oggi fino al 29 ottobre al primo piano del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, in largo di Villa Peretti 1, sono state trasferite definitivamente in Italia dal Museum of Fine Arts di Boston grazie alla stipula di un accordo bilaterale tra il Museo stesso e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.  L’iniziativa si pone nell’ambito più ampio di accordi culturali e cooperazione internazionale con gli Stati Uniti allo scopo di ridurre i traffici illeciti di opere d’arte e il saccheggio delle aree archeologiche. Indagini condotte dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale hanno infatti consentito di stabilire che le opere provenivano dal territorio italiano, da quegli scavi clandestini che, oltre tutto, fanno perdere agli oggetti archeologici di gran parte del loro valore, privandoli delle notizie sulla provenienza e il contesto.

Le opere tornate da Boston sono vasi greci di produzione attica a figure nere e rosse, provenienti dall’Etruria, vasi italioti di produzione apula e lucana, una statua di Vibia Sabina, moglie dell’imperatore Adriano e una base in marmo.

Per sottolineare l’evento, oggi il Museo resterà aperto fino alle 23, con ingresso gratuito. Verrà eseguito un concerto dell’Orchestra da Camera del Festival Euro Mediterraneo. Musiche di W.A. Mozart & A. Vivaldi. Enrico Castiglione Direzione Artistica.

Dal tramonto, sulla facciata di Palazzo Massimo saranno proiettate le immagini dei 13 capolavori, a cominciare dalla splendida anfora apula a figure rosse  attribuita al Pittore di Dario, del 340-330 a.C., alta quasi 90 centimetri. Vi è raffigurato l’assassinio di Atreo, figlio di Pelope e di Ippodamia, fratello di Tieste e padre di Agamennone e Menelao. Ancora apula è la Loutrophoros attribuita al Pittore del Sakkos Bianco, 320-310 a.C., con sulla parte centrale Pelope e Ippodamia su un carro. Pelope fu ucciso dal padre Tantalo, che offrì le sue carni agli dei durante un banchetto per mettere alla prova la loro onniscienza. Gli dei respinsero inorriditi il piatto di carne, punirono Tantalo e riportarono in vita Pelope, riunendo le parti smembrate del suo corpo. Pelope sposò Ippodamia figlia di Enomao dopo aver vinto e ucciso quest’ultimo durante una corsa di carri.

Due sono le Nestoris lucane, entrambe datate tra il 420 e il 410 a.C. e attribuite al pittore di Amykos, uno dei ceramografi dell’area di Metaponto, famoso per la raffinatezza del linguaggio pittorico e la leggiadria delle figure.

Molti i vasi attici provenienti da tombe etrusche, come la kalpis a figure rosse, del pittore di Berlino (485 a.C.), su cui è dipinto Apollo che offre un sacrificio davanti ad Artemide, Hermes e Latona posti al fianco di un altare, o il cratere a figure rosse del Pittore della Centauromachia del Louvre (440-430 a.C.), con scene di cacciatori traci, facilmente riconoscibili dalla minuziosa definizione degli abiti e dei copricapi.  Sulla la lekythos a figure nere del Pittore Diosphos, del 490 a.C, è raffigurata una delle fatiche di Ercole. L’eroe, assistito dal nipote Iolao, con il suono dei crotali, spaventò gli uccelli che nei boschi attorno al lago Stinfalo, in Arcadia, devastavano i campi con le loro penne bronzee ed i loro escrementi velenosi e, nutrendosi di carne umana, tormentavano gli abitanti. Erano talmente numerosi che volando oscuravano il sole. Al suono prodotto da Ercole si alzarono in volo terrorizzati e fuggirono in tutte le direzioni, talmente spaventati da scontrarsi fra loro. L'eroe continuò a suonare finché anche l'ultimo uccello scomparve all'orizzonte. Le iscrizioni prive di senso servivano esclusivamente a conferire maggior pregio all’oggetto. Particolarmente significativa la pelike attica a figure rosse del Pittore di Nausicaa (450 a.C.), decorata con pitture che ricordano il mito di Fineo e le Boradi. Fineo, figlio di Agènore e di Cassiopèa, fu sposo della figlia di Borea, Cleopatra, che gli diede due figli. Questi si innamorarono di Idea che li accusò di averle fatto violenza: Fineo non esitò ad accecarli, suscitando lo sdegno di Borea, che a sua volta accecò Fineo per punirlo. Infine, per aver dato ospitalità al troiano Enea, suscitò le ire di Giunone e Nettuno che gli inviarono le Arpie a contaminargli le mense. Fu liberato da questo flagello solo molto più tardi ad opera di due Argonauti, Colai e Zete.

A figure nere è invece l’hydria attica attribuita alla cerchia del Pittore di Antimenes, del 530-520 a.C., proveniente dall’area di Vulci. Mostra sul corpo quattro cavalieri barbari in marcia mentre nella fascia ristretta inferiore sono raffigurati due leoni che sbranano un animale. Sulla spalla una scena di partenza di guerrieri sul carro.

Incerta è la provenienza della lekythos a figure rosse attribuita al pittore di Terpaulos (500-490 a.C.), un vaso molto raro per la presenza della decorazione figurata sulla spalla. Inoltre le scene rappresentate sono sovrapposte e mostrano la morte di Egisto accoltellato da Oreste, Clitennestra con la doppia ascia che si scaglia contro lo stesso Oreste, mentre Telamede cerca di fermarla.

C’è poi il cratere a campana apulo attribuito al Pittore di Hoppin (380-370 a.C.),  dipinto con scene di Achille e Troilo sul cavallo, che ci riportano ai tempi dell'assedio acheo alla città di Troia. Troilo, il più giovane dei figli del re troiano Priamo, in groppa al suo cavallo con la mano destra tiene strette le redini, mentre con la sinistra sostiene una lunga lancia. Il cavallo,  slanciato e dai tratti eleganti, con alta criniera e lunghissima coda, si avventa contro Achille, colto nel momento in cui sta per sferrare il suo attacco. L’eroe ha il corpo seminudo ma è in assetto da guerra con scudo e spada di fattura greca. Il suo piede sinistro è in avanti mentre il destro, arretrato, ne sostiene lo slancio facendo leva sulle dita. Il braccio destro è proteso in avanti, quasi a guidare l'assalto, il sinistro brandisce in alto la spada. Il destino di Troilo è ormai segnato.

Particolarmente notevole, la statua in marmo raffigurante Vibia Sabina, moglie dell’imperatore Adriano, 136 d.C., proveniente con tutta probabilità dalla Villa Adriana di Tivoli, come il supporto triangolare in marmo (20-60 d.C.), destinato a sostenere un candelabro o una piccola colonna. Sui tre lati sono raffigurati Hermes, Dioniso e Artemide in movimento verso sinistra.

 

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