La Necropoli di Porto racconta la vita della gente comune

Erano marinai e portuali gli "ospiti" dell’Isola Sacra

   

di Cinzia Dal Maso

Un luogo veramente speciale a pochi chilometri da Roma è la Necropoli dell’Isola Sacra, nel comune di Fiumicino. Il nome della località potrebbe sembrare bizzarro, ma con un po’ di spirito di osservazione ci si può rendere conto che è veramente circondata dall’acqua su tutti i lati, un fazzoletto di terra ritagliato dal resto del mondo: a sud e ad est scorre il Tevere, che si curva con una grande ansa prima della foce, a nord c’è la Fossa Traiana, oggi detta Fiumara Piccola, il canale realizzato in occasione della costruzione dei porti imperiali di Claudio (41-54 d.C.) e Traiano (98-117), ad ovest si estende il mar Tirreno. La linea di costa, in epoca romana, era assai più arretrata dell’attuale, avanzata a causa dei depositi fluviali.

La denominazione di "Sacra" attribuita all’Isola è piuttosto antica, dal momento che la troviamo già nel "de Bello gothico" di Procopio (536-37), e dovrebbe riferirsi alla presenza di molti edifici di culto cristiani, primo fra tutti la basilica di Sant’Ippolito, noto e venerato martire portuense.

Nell’antichità l’area era attraversata da una grande strada a doppia carreggiata, forse la Flavia, larga 10 metri e mezzo, che correva parallelamente alla vicina costa, collegando Porto con Ostia. Lungo i lati della strada si disponevano le tombe in cui venivano seppelliti, tra la metà del II e l’inizio del IV secolo d.C., gli abitanti di Porto, soprattutto i marinai ed i lavoratori addetti ai servizi portuali. Una necropoli, quindi, priva di monumenti particolarmente ricchi, ma assai interessante per la conoscenza della gente comune. Non tutte le tombe sono state scavate e molte giacciono ancora sotto la coltre di sabbia che le ha preservate dalle ingiurie del tempo e dalle razzie di barbari e pirati. Per lo più somigliano a casette costruite in muratura, a cella con o senza recinto, addossate le une alle altre e allineate lungo la strada su più fronti, richiamando l’organizzazione per "insulae" di Ostia Antica. Destinate ad intere famiglie, quindi non solo ai proprietari, ma anche ai loro liberti e discendenti, hanno all’interno nicchie ed edicole per le ceneri, spesso movimentate da timpani e absidi, che ricordano le "frontes scenae" teatrali e l’architettura dei ninfei. Non mancano alcuni arcosoli per inumati.

Molte delle tombe sono a cassone; due appaiono a dado e coronate da un tettuccio cuspidato.

A sinistra dell’entrata alla Necropoli si nota una piccola tomba a forma di piramide appartenuta al pittore Anneo Attico, originario della Gallia e morto a 36 anni.

Una serie di sepolture individuali riempiva lo spazio libero tra una tomba e l’atra: ne sono state rinvenute a centinaia, ma oggi se ne possono vedere alcune solo nel cosiddetto "campo dei poveri". Le ceneri dei defunti erano poste in olle o anfore e interrate. Anche gli inumati, essenzialmente i bambini, potevano venire sepolti nelle anfore. Per gli adulti si utilizzavano più frammenti di anfore diverse.

La decorazione architettonica, soprattutto interna, delle tombe, mostra una grande varietà di motivi, alcuni dei quali presentano numerose analogie con quelli della coeva Necropoli Vaticana. Pavimenti e pareti sono spesso ricoperti di mosaici con un vasto repertorio di soggetti: scene mitologiche, Venere, Ercole, la Muse, le Quattro Stagioni, immagini di pastorizia o di caccia.

Tutte le tombe hanno un’iscrizione con indicati il nome e il mestiere del proprietario. Grande valore documentario hanno quelle con sulla facciata un bassorilievo in marmo o terracotta alludente al lavoro praticato in vita dal defunto. I rilievi sono esposti nel Museo di Ostia Antica, mentre sul posto restano dei calchi in gesso. Costituiscono una fonte inesauribile per la conoscenza del mondo del lavoro romano. In uno si vede un chirurgo su uno sgabello davanti a un paziente, anch’esso seduto, a cui forse sta eseguendo un salasso, pratica piuttosto diffusa nella medicina antica come cura alle più disparate malattie. Sulla destra del rilievo spicca una custodia con strumenti chirurgici, tra cui bisturi di varie forme.

Famosa è la lastra in terracotta con la partoriente nuda seduta sulla sedia gestatoria, assistita da un’ostetrica e da una donna in piedi che le passa le braccia sotto le ascelle. C’è poi il rilievo con un uomo vestito di una corta tunica, probabilmente un fabbro, davanti al suo bancone di lavoro e quello con un venditore d’acqua o un fabbricante d’anfore raffigurato mentre regge con la mano sinistra un grosso recipiente. Sono rappresentati anche lavori umili, come il calzolaio o il cordaio. In un’officina di marmorari gli operai tagliano, lavorano e trasportano grosse pietre.

Riferimenti ad arti e mestieri sono anche nei mosaici, come quelli con scene di aratura, di zappatura del seminato e di mietitura: due figure con falcetto ricurvo sono inserite in un campo pieno di enormi spighe quasi prive di stelo, due mietitori trasportano a spalla le spighe raccolte in ceste, due coppie di cavalli, sotto la guida sapiente del contadino, girano in tondo sull’aia, procedendo alla battitura del grano. Nell’ultima scena pervenutaci una figura maschile separa i chicchi dalla pula, gettando in aria con un forcone il grano misto a paglia.

Certo un forte simbolismo pervade il mosaico davanti alla tomba 43, in cui due navi a vele spiegate, con due barchette a rimorchio, si dirigono verso un faro a quattro piani, con un bel fuoco sulla cima. E’ il faro di Porto, a cui il proprietario della tomba, forse un armatore, guardò tante volte con fiducia al termine di un lungo e pericoloso viaggio. Allo stesso tempo, l’iscrizione in greco "ode pausylypos", qui è la fine degli affanni, ricorda al passante che la morte per l’uomo, come il porto per le navi, è l’approdo sicuro che ci libera dai mali del mondo.

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