Tivoli è famosa soprattutto per la villa dell’imperatore
Adriano e per la sontuosa residenza del cardinale Ippolito d’Este, ma molti
altri sono i suoi monumenti che meritano di essere visitati. Tra questi, il
tempio rotondo dell’Acropoli antica che domina il paesaggio e ne accresce la
suggestione, ben noto fin dal XV secolo, grazie a innumerevoli disegni di
viaggiatori e a quelli di artisti rinascimentali come Giuliano da Sangallo e
Bramante. Il bellissimo disegno riportato qui sopra, per l’appunto di Giuliano
da Sangallo, è conservato nella Biblioteca Vaticana. La sua conservazione e
l’eleganza dell’architettura ne fanno uno degli edifici fondamentale dell’arte
romana. La scelta del luogo, sui dirupi creati dalla cascata dell’Aniene, a
dominare i sottostanti strapiombi, non fu casuale, ma tesa a dimostrare come
l’ingegno umano possa costruire anche nelle zone più impervie.
Il tempio è piuttosto antico: risale all’inizio del I secolo
a. C. ed è un periptero corinzio del diametro di 14,25 metri. Sorge su un alto
podio di calcestruzzo rivestito in opera quadrata di travertino. Il portico era
formato da 18 bellissime colonne, dieci delle quali ancora in sito, sormontate
da un fregio a festoni e bucrani. Le colonne poggiano su una base attica e
presentano ognuna 18 scanalature. In origine erano rivestite da un sottile
strato di stucco, che le rendeva lucide e levigate. I capitelli sono in stile
corinzio italico e reggono una trabeazione in travertino su cui si legge ancora
il nome del duoviro Lucio Gellio, il magistrato che dedicò il monumento.
Nel muro della cella, in opus incertum, con piccoli poligoni
e rombi tufacei, si apre la porta, rastremata e senza cornice, con ai lati due
finestre.
Sul muro di fondo è una teca, anticamente chiusa da sportelli
di legno. Qualcuno pensa che qui fosse conservato l’unico libro sibillino
superstite, rinvenuto, secondo la leggenda, insieme con una statua della
Sibilla, nelle acque dell’Aniene. La Sibilla Albunea o Tiburtina fu l’ultima tra
le famose veggenti dell’antichità ed ebbe, con i suoi vaticini, una grande
importanza religiosa e politica. In grado di reggere il confronto con le
"medium" del mondo ellenico, il suo antro si doveva trovare nel burrone sotto al
tempio, vicino a una fonte di acque solforose e nei pressi del bosco di Tiburno,
eroe eponimo della città.
Il peristilio è ricoperto da un lacunare, composto da un
doppio ordine di cassettoni e rosoni.
Basandosi sul confronto con il tempio rotondo più famoso di
Roma, qualcuno ha pensato che il tempio sull’Acropoli tiburtina potesse essere
dedicato a Vesta, una divinità che, insieme con Ercole, era particolarmente
venerata a Tivoli, come documentano numerose iscrizioni.
Nel Medioevo l'edificio venne trasformato nella chiesa di S.
Maria Rotonda con funzioni di diaconia. Una volta restituito alla sua primitiva
struttura, le tracce della sua trasformazione in chiesa si sono conservate in
una piccola nicchia della cella. Qui, fino agli inizi del nostro secolo, si
scorgevano ancora frammenti di pitture cristiane, con la Vergine affiancata da
due santi.
Accanto al tempio rotondo ne sorge uno rettangolare, in stile
ionico, con quattro colonne sulla facciata e semicolonne addossate al muro della
cella. Si ignora a quale divinità fosse dedicato.
I templi sono inseriti nella splendida cornice della Villa
Gregoriana, realizzata nel 1835 per volontà di papa Gregorio XVI quando, dopo
l’ennesimo straripamento dell’Aniene, venne decisa la sistemazione del letto del
fiume e la trasformazione di questo luogo incantevole, ma pericoloso, in un
modello di integrazione tra natura ed arte. Venne traforato il Monte Catillo, il
fiume fu deviato per preservare il centro abitato e fu costruito uno
straordinario giardino naturale dominato dai templi dell’antica Tibur: un
paesaggio di grande fascino caratterizzato da folti boschi, fra pareti scoscese,
grotte e cascate d’acqua. Per tutto il XIX Villa Gregoriana ha attratto
viaggiatori, poeti, illustri visitatori, artisti che hanno riprodotto centinaia
di volte la bellezza del luogo. Tra gli scorci più suggestivi, la Grande Cascata
con una turbinosa massa d'acqua che precipita da oltre 100 metri e le grotte
naturali di Nettuno e delle Sirene, con il loro straordinario succedersi di
voragini e cascatelle. Wolfgang Goethe (1749-1832) nel suo "Viaggio in Italia"
(1828) scrisse: ".. in questi giorni sono stato a Tivoli ed ho veduto uno dei
primi spettacoli della natura. Le cascate, con le rovine ed il complesso del
paesaggio appartengono a quegli oggetti la conoscenza dei quali ci rende più
ricchi nel profondo del nostro io".
Tra i più curiosi souvenir di Tivoli è "il tempio di Vesta"
in sughero, opera di un anonimo del 1770.
Sullo scorcio del Novecento, l’intero parco giaceva in uno
stato di progressivo abbandono, finché, nel 2002, è stato affidato al FAI, che
ha provveduto a un’imponente opera di recupero paesaggistico, che nella sua
prima fase è stata resa possibile dal determinante contributo di Unicredit e
dalla Provincia di Roma per il restauro dell’edificio ex scolastico, ora adibito
a biglietteria, bookshop e caffetteria.
Nel corso della campagna "Aiutateci a salvare il Parco Villa
Gregoriana" numerosi cittadini hanno offerto spontaneamente il loro contributo
adottando una panchina del Parco e dedicandola a persone care. L’elenco completo
delle panchine, con la relativa piantina, è disponibile presso le biglietterie
del Parco.
Sulla sponda dell’Aniene fu rinvenuta nel 1929 la tomba della
vestale Cossinia, ancora conservata presso la stazione ferroviaria. L’iscrizione
informa che la donna aveva esercitato il sacerdozio per ben 66 anni. Vicino al
corpo fu rinvenuta una bambola d’avorio in buono stato di conservazione.