La zona nel XVI secolo era considerata un pubblico postribolo All’Arco della Chiesa Nuova sostavano le "donne curiali" Il ritratto della Vergine, su una parete, il 9 luglio 1796 mosse miracolosamente gli occhi insieme ad altre immagini mariane
La Chiesa Nuova è la denominazione con cui è conosciuta da secoli S. Maria in Vallicella, sul Corso Vittorio Emanuele, così detta per un avvallamento che nell’antichità corrispondeva al Tarento, un luogo basso e pieno di stagni formati, come si credeva, a seguito dell’azione di qualche vulcano spento. La zona ha fornito nei tempi numerose testimonianze storiche. Caratteristico, come riferimento topografico, fu un antico pozzo di marmo bianco che si trovava in una piazza vicina all’antica S. Maria in Vallicella, indicata allora "ad puteum album". ". Dalla "Dichiarazione" del 1551 che accompagna il disegno della pianta della primitiva chiesa, si può conoscere anche la vita della località che gravitava intorno alla Vallicella. Nel documento si legge che "la contrada di questa Chiesa era anticamente pubblico postribolo onde, quando si voleva esagerare una cosa infame si diceva: ‘Questo non si è mai fatto a Pozzo Bianco’. Ciò si raccoglie di varie scritture antiche di d.a. Chiesa che sono al n. 34. Similmente era infame la vicina contrada del Fico..." Sicuramente, l’Arco di fronte al fianco destro della Chiesa Nuova, quale andito appartato e riparato da sguardi indiscreti, deve essere stata una postazione privilegiata da qualche "donna curiale", come venivano chiamate allora le prostitute in quanto dipendenti direttamente dal tribunale del Cardinale Vicario, per l’esercizio della prostituzione in strada, cosi diffuso nel XVI sec. a Roma. Nel 1592, secondo un censimento, si contavano ben diciottomila prostitute, mentre gli abitanti di Roma non arrivavano a centomila! Si apre quasi al centro di un edificio, in modo del tutto simile a un grande portone, dando il nome di Arco della Chiesa Nuova a un breve tratto di strada che sbocca su vicolo del Governo Vecchio. Qui, in angolo, è una lapide la cui iscrizione ricorda l’apertura della via della Chiesa Nuova, sulla quale si affaccia l’ingresso retrostante dell’Arco. La strada, voluta dai padri dell’Oratorio Vallicelliano, fu realizzata sotto Clemente X, Emilio Altieri, nell’anno giubilare 1675 per separare la chiesa dalle case vicine. Tra gli edifici che si affacciano su vicolo del Governo Vecchio, caratteristici non solo per le linee architettoniche rinascimentali, ma per l’altezza in spazi notevolmente ristretti, il palazzetto Turci, detto anche la "piccola cancelleria" e al n. 52, in angolo con il vicolo dell’Arco della Chiesa Nuova, una casa con loggia terminale e una decorazione a finta punta di diamante che si estende sulle pareti. Appena si entra sotto l’Arco, sulla parete di sinistra balza all’attenzione una mostra in legno scuro, di modestissima fattura, con l’immagine della Vergine, che apre il manto azzurro in segno di protezione, al di sotto del quale stanno alcuni cherubini. E’ un’opera realizzata da Laura e Flavio Venturi di "Decoranda", il 2 febbraio 1995, in occasione del IV centenario della morte di S. Filippo Neri, copia dell’immagine di S. Maria in Vallicella collocata sull’altare maggiore della Chiesa Nuova e visibile per mezzo di un meccanismo che fa scivolare la tela del Rubens da cui è coperta. Il popolo ha sempre venerato una sacra raffigurazione della Madonna posta sotto l’Arco: famoso il prodigio del 9 luglio 1796 quando mosse gli occhi, insieme ad altre numerose immagini delle chiese e delle edicole mariane di Roma. Nella parete di fronte è murata una targa di marmo, con al centro una fessura ormai chiusa, che reca incise queste parole: "Elemosina dia / chi è devoto di Maria".". Ma la zona della Vallicella fu testimone nel Seicento di una fervida vita intellettuale: il notaro Cristoforo Castelletti, peraltro commediografo, nella sua composizione teatrale "Stravaganze d’amore" del 1585 fece parlare, per la prima volta, in romanesco un personaggio di primo piano nel ruolo di serva, la Perna. Fu S. Filippo Neri (1515-95), più di ogni altro, a lasciarvi una impronta indelebile, tanto da essere chiamato con affetto dai romani, "Pippo bono". |
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