Il cavalcavia, del 1762, dà il nome alla strada sottostante

Prestiti su depositi all’arco del Monte

La piccola cappella, che si apre ad di sotto, dedicata alla Vergine, sostituisce una precedente demolita nel 1870

 

 

di Antonio Venditti

Via dell’Arco del Monte, per un certo tempo intitolata a Giovanni Eerta, ma che dal 1945 ha ripreso la vecchia denominazione, è una antica e caratteristica strada dall’andamento rettilineo, il cui inizio è subito dopo l’imbocco di via dei Giubbonari, a sinistra, per concludersi poi in piazza dei Pellegrini.

Siamo nell’antico rione Regola, dove si ergono quasi contrapposti due antichi palazzi, quello del Monte di Pietà e l’altro dei Barberini, residenza di illustri porporati che ne arricchirono la storia. In questa "Casa grande" dei Barberini, come era allora conosciuta, oggi sede della scuola elementare "Trento e Trieste", abitò Maffeo Barberini tra il 1584 e il 1623, anno della sua ascesa al soglio pontificio col nome di Urbano VIII. A partire dal 1600, quando ereditò il palazzo, Maffeo rivolse subito le cure necessarie alla "Casa Grande", spendendo ben 2000 scudi per gli interventi di muratori, falegnami e scalpellini, sotto la direzione di Flaminio Ponzio. Altri lavori furono eseguiti tra il 1621 e il 1622, a cui attesero Filippo Breccioli e Carlo Maderno.

Maffeo dimorò abitualmente nella "Casa Grande", facendola divenire un punto d’incontro con "persone versate in letture amene e greche, latine e toscane, in prosa e in versi", come Vincenzo Gramigna e Gabriello Chiabrera. Riferisce Andrea Nicoletto, suo biografo allorché divenne pontefice, che il palazzo fu centro preferito per conversazioni erudite su qualunque tipo di disciplina e scienza. Provvedeva alla sua manutenzione una fitta schiera di servi, che a manteneva in ordine mobili di pregiata fattura, ricche tappezzerie, pitture eccellenti, numerose argenterie, statue antiche, una ricchezza in bella mostra. In basso, attigue alle stalle, erano carrozze e cocchi "in ogni più nobile forma".

L’edificio rimase proprietà dei Barberini fino al 1734, anno in cui il principe Francesco lo cedette ai Carmelitani Scalzi di S. Teresa, detti della Scala, che ne fecero la sede della propria Curia Generalizia. I Carmelitani vi restarono fino al 1759, poi, dopo aver acquistato il palazzo Rocci, si trasferirono in via di Monserrato. Così la "Casa Grande" divenne proprietà del Monte di Pietà, cui fu collegata nel 1762 mediante un arco (del Monte), perché fosse adibita a Depositeria Generale della Camera Apostolica, del Banco dei Depositi.

Nel 1819 furono tolte dall’atrio della "Casa Grande", trasformato dai Carmelitani in cappella dedicata ai SS. Teresa e Giovanni della Croce - come appare in un’incisione del Vasi - dodici colonne di granito orientale, allo scopo di decorare il Braccio Nuovo dei Musei Vaticani.

L’arco del Monte è da considerare piuttosto uno snello cavalcavia, che, pur non presentando elementi architettonici degni di nota, ha assunto ugualmente un doppio merito, quello di rendere meno monotono un rettilineo viario e di fare quasi da trait-union tra la piazza del Monte di Pietà e quella dei Pellegrini.

Sotto l’arco si affaccia dalla "Casa Grande" una piccola cappella, dedicata alla Vergine, con una breve invocazione incisa sopra l’archetto che delinea l’entrata: "Sancta Maria / succurre miseris". Sostituisce la cappellina, un tempo dedicata a S. Maria del Soccorso, demolita dopo il 1870.

La cappella fu costruita a spese del Sacro Monte, richiamato dalla scritta in bronzo posta sul cancello di protezione. L’immagine della Madonna del Soccorso fu offerta nel 1781 da Domenico Francioli ed è attualmente custodita nella vicina chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini. La cappella fu restaurata nel 1853 e verso la fine del ‘800.

Nel piccolo ambiente, illuminato dalla luce fioca di una lampada sempre accesa, oggi si venera un immagine mariana dipinta su una tela settecentesca in cui la Vergine appare col Bambino fra le braccia e con S. Giovannino al fianco.


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