Dalla sontuosa residenza romana fu trafugata la Triade Capitolina La Villa dell’Inviolata, ex paradiso dei tombaroli
La campagna tra Roma e Tivoli, fortemente urbanizzata e disseminata di insediamenti industriali, ha perso molto del suo antico fascino, pur conservando ancora scorci di rara bellezza, lembi di paesaggio incontaminato, relitti di un passato in cui ombrosi boschi arrivavano a lambire fresche valli attraversate dalle limpide acque dell’Aniene e delle sue sorgenti. Dal I sec.a.C., l’area intorno a Tivoli divenne, più del territorio prenestino e dei Colli Albani, un luogo di residenza estiva assai apprezzato, scelto da illustri personaggi per costruirvi le loro ville. Certamente di rango elevato fu anche il facoltoso - e per ora ignoto - proprietario del complesso residenziale di circa 10.000 metri quadrati rinvenuto nel comune di Guidonia Montecelio. La villa, edificata alla fine dell’epoca repubblicana ma modificata in età imperiale, si trovava in posizione piuttosto elevata, su un ripiano a sud est affacciato sul fosso dell’Inviolata. Un diverticolo della via Cornicolana la collegava alla Tiburtina. Oggi è inserita nel parco archeologico-naturalistico dell’Inviolata, istituito nel 1996 dalla Regione Lazio. Raffinatissima doveva essere la decorazione degli ambienti, come testimoniano frammenti di marmi pregiati, intonaci dipinti e tessere musive. Non doveva mancare un confortevole impianto termale privato, probabilmente alimentato da una grande cisterna rettangolare in opera cementizia, con il lato maggiore lungo 40 metri, divisa in due ambienti a volta comuni-canti, rivestiti in signino. I resti monumentali sono, purtroppo, di difficile lettura, perché il sito è stato oggetto di ricerche sistematiche da parte dei "tombaroli", che hanno sconvolto l’area per asportare sculture, frammenti architettonici ed oggetti di valore da introdurre sul mercato clandestino. Non è un caso che proprio da uno scavo clandestino nella villa dell’Inviolata provenisse l’ormai famosa Triade Capitolina - Giove, Giunone e Minerva - recuperata dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Artistico. Il prezioso reperto era stato venduto ad un antiquario svizzero. Nel 1994, quando stava per essere ceduto ad un collezionista americano, gli uomini del Generale Roberto Conforti riuscirono a sequestrarlo. Una serie di perquisizioni aveva permesso di ritrovare un frammento del gruppo rimasto in Italia, parte dell’avambraccio destro di Giunone, che combaciava perfettamente con la scultura in possesso dell’antiquario elvetico. Fu possibile, in questo modo, provare senza ombra di dubbio che la Triade apparteneva al nostro Paese e bloccarne la circolazione sul mercato internazionale, restituendola al pubblico nel Museo Archeologico di Palestrina. L’opera riveste un’importanza particolare, essendo l’unica scultura a tutto tondo finora ritrovata che rappresenti la Triade Capitolina, nota solo da riproduzioni su medaglioni, monete o rilievi. Le tre divinità principali del Pantheon romano sono raffigurate sedute una accanto all’altra, in una rara posizione di pari dignità, su una lunga panca. Sono contraddistinte dai consueti attributi e dall’animale a loro sacro. Giove, al centro, è vestito del solo mantello, panneggiato intorno ai fianchi e riportato sulla spalla sinistra. Nella mano destra, abbandonata in grembo, regge un fascio di fulmini. Ai suoi piedi è la fedele aquila, compagna di tante avventure, che guarda verso il padre degli dei pronta a scattare a un suo cenno. Alla sinistra di Giove è la sua sposa, Giunone, con indosso un chitone stretto da una cintura sotto il seno e un ampio mantello. Il volto è incorniciato dal velo. Nelle mani, oggi perdute, doveva stringere una patera e uno scettro. Le è accanto il pavone. All’estremo opposto del sedile, Minerva è accompagnata dall’immancabile civetta. Vestita in modo simile a Giunone, ha sul capo l’elmo corinzio. Ogni divinità ha dietro al capo una piccola vittoria alata che la -incorona con un serto vegétale: di foglie di quercia per Giove, di petali di rosa per Giunone e d’alloro per Minerva. Il gruppo è databile tra il 160 e il 180 d.C. e doveva essere collocato nel larario della villa, da dove stendeva la sua ala protettrice sulla lussuosa dimora e su tutti i suoi abitanti. La sistemazione dell’opera nel Museo Prenestino ha lasciato un po’ delusi i volontari della Sezione Cornicolana del Gruppo Archeologico Latino, che avrebbero voluto vedere la Triade esposta nell’Antiquarium di Guidonia Montecelio, da loro gestito con cura e dedizione. Almeno per il momento, si sono dovuti limitare ad esporne la foto, accanto ai pochi reperti riusciti a sfuggire all’avidità degli scavatori clandestini: alcune antefisse d’argilla beige, vari frammenti marmorei di statue e sarcofagi, alcuni marmi pregiati e parte di una statua in marmo bianco, raffigurante una donna vestita di un peplo da cui esce la gamba destra, coperta dalla stoffa leggerissima e aderente del panneggio sottostante. Doveva rappresentare una musa o una divinità ed è databile tra il II ed il III secolo d. C., anche se sembra derivare da un originale greco molto più antico. Notevole è una testina in marmo bianco, un ritratto di giovinetto. Il volto ovale presenta grandi occhi con spesse palpebre e la pupilla fortemente incisa. Una corta capigliatura a ciocche nervose appena segnate incornicia il viso. Lo sguardo rivolto verso l’alto contribuisce a dare al fanciullo un’espressione assorta e malinconica. Il ritratto è databile intorno alla metà del III secolo d.C. e può essere avvicinato ad alcune raffigurazioni di Marco Giulio Severo Filippo, figlio dell’imperatore Filippo l’Arabo (244-49) e di Octacilia Severa, nato intorno al 236 e morto giovanissimo, nel 249. La piccola testa ha dato vita a una suggestiva ipotesi, ancora tutta da dimostrare: la possibilità che la villa fosse di proprietà di Filippo l’Arabo o della sua famiglia. L’Antiquarium di Guidonia Montecelio, inaugurato nel marzo 2000, è dedicato a don Celestino Piccolini. Ubicato nello storico palazzetto dell'ex Oratorio, si affaccia sulla piazza principale di Montecelio. L'edificio, annesso originariamente all’antico complesso della Cappella della Pietà e dell’Ospedale, fu uno dei primi costruiti, a partire dal XVI sec., attorno alla chiesa di S. Giovanni. Insieme al palazzo Cesi, situato di fronte alla chiesa, e ad altri fabbricati diede l'attuale forma alla piazza. |
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