Venne costruito nel 1876 per Umberto di Savoia, futuro re

L’Arco di via S. Ignazio Cavalcavia da principe

Unisce la Biblioteca Casanatense con l’antico Collegio Romano, che a sua volta, nell’omonima via, si collega all’Oratorio del Caravita con un altro passaggio sospeso

 

 

di Antonio Venditti

Il Collegio Romano, le cui origini si devono a S. Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, si modellò fin dall’inizio sull’Università di Parigi e costituì una sorta di "Università" riservata a chi volesse entrare nell’Ordine dei Gesuiti.

Si deve a Gregorio XIII la costruzione dell’imponente edificio, da cui trae il nome l’omonima piazza, per il quale furono sacrificati il palazzo Salviati e la via "ad Duos Amantes". Inaugurato il 28 ottobre 1584, per lungo tempo è stato attribuito a Bartolomeo Ammannati, ma è opera assai probabile del padre Giuseppe Valeriani, architetto Gesuita.

Il Collegio era delimitato lateralmente dalle vie S. Ignazio e del Collegio Romano e sulla parte retrostante da via del Caravita, costituendo un enorme complesso di ben 13.400 mq che includeva anche la chiesa di S. Ignazio. Oltre alle scuole, vi avevano sede la Biblioteca dei Gesuiti, il Museo Kircheriano, l’Osservatorio Astronomico e la Spezieria.

Via di S. Ignazio corrisponde all’antica via dell’Annunziata che traeva tale denominazione dall’omonima chiesa - fatta costruire da Vittoria Frangipane della Tolfa, in seguito principessa Orsini - con annesso convento di suore.

In questa chiesa, demolita insieme al convento per la costruzione di S. Ignazio, fu portato nottetempo nel 1623 il corpo di papa Gregorio XV, tumulato definitivamente tre anni dopo nel vicino tempio gesuitico.

Il così detto Arco di S. Ignazio, che attraversando la via unisce il Liceo E. Q. Visconti - in precedenza Biblioteca Vittorio Emanuele II e ancor prima Collegio Romano - con la Biblioteca Casanatense, fu costruito non per esigenze di pubblica utilità, ma soltanto per facilitare la visita ai due edifici prospicienti del principe ereditario, Umberto di Savoia, futuro Umberto I, che inevitabilmente sarebbe dovuto discendere da un edificio, attraversare la strada e risalire una scala per accedere all’altro.

Così l’Arco ebbe il battesimo regale nel 1876, "nobilitandosi" anche per aver integrato la funzionalità dei due importanti centri culturali.

Considerata la larghezza della strada, l’archivolto appare notevolmente dilatato, una forzatura architettonica, caratterizzata dalla eccessiva schematizzazione delle linee, che non trova alcun abbellimento nelle numerose incorniciature in marmo, che delimitano inoltre le tre finestre in linea su ciascuna fronte.

La Biblioteca Casanatense fu voluta dal card. Girolamo Casanate, che con testamento del 5 ottobre 1698 stabilì che la sua ricca biblioteca, composta da circa 25 mila volumi, dovesse andare in eredità al Convento dei Padri Domenicani della Minerva. Inoltre, nel 1698 istituì un fondo di 160 mila scudi perché sorgesse nei pressi del Convento una grande Biblioteca ad uso pubblico, che venne edificata su progetto dell’architetto Antonio Maria Borioni e aperta nel 1725.

Durante la dominazione francese, la Casanatense divenne la Biblioteca del dipartimento del Tevere, dopo il 1873 ne entrò in possesso lo Stato italiano.

Antonio Nibby scriveva nel 1879: "Questa Biblioteca è la più ricca di quante ne esistono in Roma in opere e stampe. Essa è fornita di preziosi codici a penna, fra i quali primeggia una grande Bibbia in pergamena, impressa a mano coi punzoni, specie di lavoro detto chirografia, che costituisce l’anello intermedio tra il manoscritto e la stampa".

La Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele fu fondata a seguito della legge del 1873, che attribuì le librerie claustrali al Demanio. Di queste, 59, non destinate prima al pubblico uso, vennero trasportate nel Palazzo del Collegio Romano e riunite alla preesistente Biblioteca dei Gesuiti, con cui formarono tutto un corpo, al quale il Regio Decreto 13 gennaio 1875, auspice il ministro Bonghi, impose il nome del Re. Venne aperta al pubblico il 14 marzo 1876.

Parallela a via S. Ignazio è la via del Collegio Romano, più stretta e breve, in tempi più antichi chiamata "ad duos montes". Conserva un arco che unisce il Collegio con l’Oratorio dei Gesuiti, detto il Caravita, storpiamento di Pietro Gravita, nome del padre Gesuita che lo fece costruire nel 1653.

All’attività di una Confraternita dell’Oratorio del Caravita è legata una sorridente aneddotica tipicamente romana, riferita da G.G. Belli in un sonetto del 19 dicembre 1832, che faceva dire a un popolano: "Ma chi? Quelli che vanno ar Caravita / La sera, e ce se sfrusteno er furello? / So tutti galantommini, fratello; / gente, te lo dich’io, de bona vita. / Quarcuno, si tu vòi, porta er cortello: / a quarcuno je piace l’acquavita: / quarchidunantro è un po’ longo de dita; / ma un vizio, già se sa, bisogna avello. / Ma poi tiengheno tutti er mantellone, / e cor Cristo e le torce quann’è festa / accompagneno er frate a le missione. / E’ ‘gni sera e per acqua, e pe tempesta, / vanno per Roma cantanno orazzione / coll ‘occhi bassi e senza gnente in testa".

Non migliore era ancora la situazione nel 1870, dal momento che Louis Delatre scriveva: "è uso che dopo la predica si distribuisca ai devoti una disciplina per battersi. Poi si spengono i lumi e allora comincia la flaggellazione". In verità, invece di usare la sferza per mortificare le proprie carni, "molti picchiano sulle colonne e sulle panche, altri sui loro vicini. Questi, talvolta, rendono pan per focaccia: allora nasce una baruffa, una confusione, parapiglia universale, e piovono da ogni parte in quell’oscurità nerbate da orbi".

L’Arco di via del Collegio Romano, perciò chiamato dei Gesuiti, venne costruito nel 1716 in seguito alla sistemazione della piazza del Collegio Romano, l’antico "Campo Camillano", che ebbe tale denominazione dai resti di un arco, ritenuto in onore di Camillo, forse uno degli ingressi al Tempio d’Iside e Serapide all’imboccatura di via Piè di Marmo.

Il cavalcavia, ad un’altezza inferiore del coronamento dei due edifici a cui si collega, presenta la ghiera in marmo impostata su grosse mensole, al di sopra della quale una bassa cornice delimita lo spazio occupato da tre semplici finestre, allineate e incorniciate in ambedue le fronti.


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