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Ricordata dalla tradizione popolare e dai sonetti del Belli

Viva viva la Befana! La festa dei bambini

Le baracche fecero il loro ingresso a piazza Navona dopo i lavori di pavimentazione del 1872, sostituendo la fiera di piazza S. Eustachio

 

Anche a Roma la tradizione della Befana, la vecchia che porta i regali ai bambini buoni e cenere e carbone a quelli cattivi, è antica .
Presso il volgo, almeno fino ai primi decenni dell’Ottocento, la Befana era concepita come un personaggio ambivalente, una strega benefica, che cavalca la scopa, tenendo il manico davanti a sé, al contrario delle sue colleghe, volando sopra cupole, terrazze, comignoli, campanili e abbaini.
Era attesa in modo frenetico dai bambini, che non riuscivano per ore e ore a chiudere occhio, come si legge nel sonetto di G.G. Belli del 6 gennaio 1845, intitolato appunto "La notte de Pasqua Befania": "Mamma! mamma! - Dormite. - Io nun ho sonno. /Fate dormì chi l’ha, sor demonietto. / Mamma, me voj’arzò. - Giù, stamo a letto. / Nun ce posso stà più; qui me sprofonno. / Io nun ve vesto. - E io mò chiamo nonno. / Ma nun è giorno. - E che m’avevio detto / che ciamancava poco? Ebbè? v’aspetto? / Auffa li meloni e nu’ li vonno! / Mamma, guardat’ un po’ si ce se vede? / Ma te dico ch’è notte. Ajo! - Ch’è stato?/ Oh dio mio!, m’ha pijato un granchio a un piede. / Via, statte zitto, mò attizzo er lumino. / Sì, eppoi vedete un po’ che m’ha portato la befana a la cappa der cammino."
Ricordava nel 1889 Giggi Zanazzo in "Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma": "La sera de la viggija de la Bbefana, a ttempo mio - li regazzini se manneveno a ddormi’presto, e sse ffacevano magnà ppoco pe’ffaje lascià una parte de la céna a la Bbefana". Un’attesa che coinvolgeva grandi e piccini, così descritta vivacemente l’anno successivo da Francesco Sabatini: "Nelle vecchie famiglie le costumanze perduran; sicché i bambini lasciano volentieri parte della loro cena alla Befana, che dovrà scendere dalla cappa del camino coi suoi befanini, per portare dal lontano paese di Befania i dolci e i giuocattoli da tanto tempo desiderati, come premio della diligenza nello studio, dello amore e del rispetto ai genitori. Ogni bambino ha già scritto alla Befana una letterina commoventissima, nella quale domanda quei ninnoli che vide, passeggiando colla mamma, nella tale vetrina di un chincagliere, e che più colpirono la sua fantasia. Ma la Befana è inesorabile, poiché tiene il registro di tutte le mancanze di ogni fanciullo, e, a chi non lo merita, invece di dolci e giuocattoli, lascia una calza piena di cenere e carbone.
Ed allora quel fanciullo che non fu buono in famiglia e studioso in iscuola, rimpiange inutilmente la sua disubbidienza e la sua pigrizia; e si ripromette, nel venturo anno, di meritare tutti i favori della severa Befana.
Quel fanciullo, pertanto, che trovò sul camino i balocchi che domandava, si diverte allegramente, e gode il premio della sua esemplare condotta".
Finalmente arrivava "La matina de Pasqua Befania" ed è sempre il Belli ha descriverne la poesia: "Ber vede è da per tutto sti fonghetti, / sti mammocci, sti furbi ciumachelli, / fra ‘na battajeria de giucarelli / zompettà come spiriti folletti! / Arlecchini, trommette, purcinelli, / cavallucci, sediole, ciufoletti, carrettini, cuccù, schioppi, coccetti, / sciabbole, berrettoni, tammurrelli... /Questo porta la cotta e la sottana, / quello è vistito in càmicio e pianeta, / e quel’antro è ufiizzial de la befana. /E intanto, o prete, o chirico, o uffizziale, / la robba dorce le tira le deta; / e mamma strilla che finisce male".
L’Epifania era una ricorrenza talmente sentita da essere preceduta un tempo dal termine di Pasqua, attesa da tutti, perché "Er giorno de Pasqua Bbefania, che vviè a li 6 de gennaro – scriveva ancora Giggi Zanazzo - da noi, s’aùsa a ffasse li rigali. Se li fanno l’innamorati, li spòsi, ecc. ecc. Ma ppiù dde tutti s’ausa a ffalli a li regazzini. Ortre a li ggiocarèlli, a questi, s’ausa a ffaje trovò’ a ppennòlòne a la cappa der cammino du carzette, una piena de pastarèlle, de fichi secchi, mosciarèlle, e un portogallo e ‘na pigna indorati e inargentati; e un’antra carzètta piena de cennere e ccarbòne pe’ tutte le vorte che sso’stati cattivi". Una festa con la quale i genitori inevitabilmente dovevano fare i "conti", considerata la spesa da sostenere per l’acquisto dei "giocarelli": "La befana, a li fiji, è necessario / defajela domani eh sora Tolla?", si legge in un altro sonetto del Belli, indicativo anche del luogo dove prima di piazza Navona si svolgeva la grande fiera. "In giro oggi a crompà c’è troppa folla. /A li mii je la fo ne l’ottavario. / A chiunque m’accosto oggi me bolla: / e com’a Sant’Ustacchio è qui ar Zudario. / Dunque pe st’otto giorni io me li svario; / e a la fine, se sa, chi venne, ammolla. / Azzeccatece un po d’un artarino / oggi che ne chiedeveno? Otto gnocchi / e d’una Pupazzaccia un ber zecchino./ Mò ognuno cerca de cacciavve l’occhi;/ ma quanno sémo ar chiude er butteghino, / la robba ve la dànno pe bajocchi".
"La bbardoria che sse fa adesso a Ppiazza Navona – spiegava Giggi Zanazzo - tempo addietro, se faceva a Ssant’Ustacchio e ppe’ le strade de llì intorno. In mezzo a ppiazza de li Caprettari ce se faceva un gran casotto co’ ttutte bbottegucce uperte intorno intorno, indove ce se vennévano un sacco de ggiocarèlli, che èra una bbellezza. Certi Pupazzari, metteveno fòra certe bbefane accusì vvere e bbrutte, che a mme, che ero allora regazzino, me faceveno ggelà er sangue da lo spavento!".
Infatti, la fiera della Befana fu trasferita, senza che perdesse nulla del suo vivace folklore, a piazza Navona dopo che furono terminati nel 1872 i lavori di pavimentazione, a cui si aggiunse l’illuminazione a gas. Nel bordo dell’amplissimo marciapiede centrale vennero eretti 120 casotti di legno col tetto ricoperto di zinco, tutti uguali e simmetrici, forniti dal Comune.
Era consuetudine a Roma, fino al 1802, che il Pontefice la mattina della Befana ricevesse in regalo cento scudi d’oro dal Collegio dei novantanove scrittori apostolici. Nel corso di una cerimonia, uno di loro, dopo aver pronunciato un discorso in latino, poneva il tributo in una coppa d’argento, che il cardinale pro datario consegnava al Papa, il quale, a sua volta, permetteva agli scrittori il bacio della pantofola.

di Antonio Venditti

gennaio 2005

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