Dall’antica città di Gabii una pietra contro il fuoco
L’antica via Prenestina nel suo primo tratto conduceva a Gabii, antichissima città sull’orlo di un cratere vulcanico riempito da un vasto specchio d’acqua, il Lago di Castiglione, oggi prosciugato. Parteggiò per Tarquinio il Superbo dopo la sua cacciata da Roma e fu con lui sconfitta nella battaglia del Lago Regillo. In seguito fu sempre fedele a Roma, di cui costituì un avamposto per le conquiste nelle valli del Sacco e dell'Aniene. Fiorente nel periodo repubblicano, la sua decadenza iniziò già nel I sec.a.C. Se la Prenestina aveva un tracciato regolare, nei limiti del possibile rettilineo e senza forti pendenze, è perché da Gabii doveva essere trasportato qualcosa di veramente pesante: la pietra che dalle cave tutt’intorno alla città viaggiava alla volta di Roma, dove era molto apprezzata per la sua caratteristica refrattarietà al fuoco. Noi la chiamiamo pietra sperone, mentre per gli antichi era il "lapis gabinus", ossia la pietra gabina. Si tratta di un tufo litoide simile al peperino, ma con grana meno fine e maggiori intrusioni di scorie, probabilmente lava consolidata fuoriuscita dal cratere. E’ formato "da un impasto di pezzetti angolari di lava bigia, e rosso bruna con molte rilegature di spato calcare; essa contiene inoltre grossi rottami di lava basaltina e talvolta ciottoli calcarei", come scriveva nel 1820 Giambattista Brocchi nel suo libro sullo stato fisico del suolo di Roma. Purtroppo, le cave di pietra gabina che hanno tanta importanza hanno avuto per l’economia della città antica, hanno in qualche modo contribuito alla sua quasi totale scomparsa. Il loro sfruttamento sconsiderato in epoca moderna ha finito per distruggere una gran parte dei resti che affioravano nella campagna o giacevano ancora sepolti. Tra i monumenti romani in cui si riconosce il caldo e denso colore dello sperone, possiamo ricordare i ponti Fabricio, Emilio, Milvio, di Nona, le pareti del primo tratto verso il Tevere della Cloaca Massima, il Tabularium, il teatro di Pompeo, le taberne del Foro di Cesare. Quando Augusto fece costruire il suo grande Foro - con il tempio di Marte Ultore e due splendidi colonnati, decorato dai marmi più preziosi e rari provenienti da tutte le parti dell’Impero, anche le più remote - volle che il muro di fondo, che lo separava e proteggeva dalla "Subura", quartiere popolare e malfamato in cui scoppiavano spesso devastanti incendi, fosse realizzato con la rude pietra gabina. Quel muro non doveva essere bello, ma utile. Secondo quanto riferisce Tacito negli Annali, Nerone, dopo il disastroso incendio che sconvolse Roma nel 64 d.C., aveva prescritto che gli edifici dovessero essere, almeno in alcune parti, senza travi in legno e costruiti in pietra gabina o albana (peperino), entrambe inattaccabili dalle fiamme e resistentissime. |
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