Povero, elegantissimo Trilussa!

Storpiato da un monumento

 

di Cinzia Dal Maso

Il 21 dicembre del 1950 si spegneva a Roma, nella sua casa-studio di via Maria Adelaide, vicino piazza del Popolo, Carlo Alberto Salustri, meglio conosciuto come Trilussa, il poeta arguto di una Capitale sorniona e borghese, sempre con la risposta pronta e pungente. Appena venti giorni prima, aveva ricevuto il telegramma con la nomina a Senatore della Repubblica e sembra avesse detto alla fedele governante: "A Rosa, finarmente se magna!".

In occasione del quarto anniversario della sua morte, Roma volle rendergli il dovuto omaggio con un monumento sistemato a Trastevere, su un lato della piazza - attualmente anch’essa dedicata a Trilussa - che si affaccia su ponte Sisto ed ha per sfondo la seconda mostra dell’Acqua Paola, opera secentesca del Vasanzio e di Giovanni Fontana.

Il monumento ha una larga base in mattoni, nella quale sono inseriti elementi marmorei, tra cui un capitello, un frammento di architrave, una parte di transenna. Una lapide reca incisi alcuni tra i più celebri versi di Trilussa: "Mentre me leggo er solito giornale spaparacchiato all’ombra d’un pajaro, vedo un porco e je dico: — Addio, maiale! —Vedo un ciuccio e je dico: — Addio, somaro! —Forse ste bestie nun me capiranno, ma provo armeno la soddisfazione de poté di’ le cose come stanno senza paura de finì in prigione".

Dalla parte superiore del basamento emerge il busto bronzeo del poeta, opera di Lorenzo Ferri. La scultura piacque molto a Giuseppe Ceccarelli, il grande romanista meglio noto come Ceccarius, secondo il quale Trilussa "appare agli astanti nell’atteggiamento caratteristico di quando recitava accompagnando con un lento movimento della bella mano cosiddetta michelangiolesca l’armoniosa cadenza dei versi".

Non tutti la pensavano nella stessa maniera. Il giorno dell’inaugurazione, quando il monumento fu scoperto davanti al sindaco Salvatore Rebecchini, alle autorità e a molti curiosi, lo stupore si trasformò presto in aperta disapprovazione. Il ricordo del poeta era ancora vivo nella mente di tutti, ma era vano cercare nella scultura la sua proverbiale eleganza, il portamento signorile per cui era famoso, l’altezza leggendaria (raggiungeva quasi i due metri). Nel bronzo è immortalata una figura contorta, scomposta, piegata da un lato, ingobbita, con gli abiti tutti spiegazzati.

Interprete del malcontento generale si fece Guglielmo Guasta, che il 10 febbraio 1958 pubblicò sul suo Travaso questo sonetto: "Pover’amico mio, chi t’ha stroppiato? / Tu che vivo parevi un monumento, / ner monumento pari un disgrazziato; / tu ch’eri tanto bello, fai spavento. / Io me ce sento rabbia, me ce sento, / de nun poté conosce st’ammazzato / che prima t’ha scorpito a tradimento, / poi mette in mostra er còrpo der reato. / Tutto pe sbieco, mezz’a pecorone / lui pò ringrazzià Dio che nun te vedi / arinnicchiato accanto ar fontanone. / Se te vedessi, Tri nun ciabbozzavi / e benché t’abbia fatto senza piedi, / ma sai li carci in culo che je davi!"

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