Madama Lucrezia a piazza San
Marco
Un busto di Iside, che nell’Ottocento era ornato di collane d’aglio e cipolla
di
Cinzia Dal Maso
A sinistra della chiesa di San
Marco, prospiciente piazza Venezia, su un basamento è poggiato un busto
femminile in marmo, alquanto malconcio e consumato dalle ingiurie del tempo e
degli uomini, ciò che resta di una statua romana maggiore del vero. Il
caratteristico nodo della veste sul petto la fa ritenere un simulacro di Iside
oppure di una sua sacerdotessa, proveniente dal vicino santuario della dea nel
Campo Marzio. Fa parte del gruppo delle cosiddette “statue parlanti”, come
Pasquino, Marforio, l’Abate Luigi, alle quali il popolo appendeva biglietti
anonimi di satira e di denuncia delle ingiustizie. I romani la chiamano Madama
Lucrezia, probabilmente perché – secondo quanto risulta dai documenti antichi –
Paolo II (1464-71) l’aveva donata a Lucrezia d’Alagno, la bella napoletana
amante di Alfonso d’Aragona. In questo modo si giustificherebbe anche
l’appellativo di Madama, nel Quattrocento inconsueto a Roma ma assai diffuso a
Napoli.
Nel 1591, Gregorio XIV, gravemente malato, si fece portare nel palazzetto
Venezia. Sperava di rimettersi, grazie anche all’alto steccato innalzato attorno
alla residenza che attutiva i rumori circostanti, ma se ne andò comunque
all’altro mondo. Sulla statua fu trovato un bigliettino con una scritta fredda e
laconica: "La morte entrò attraverso i cancelli".
Narra il Valerio che il 25 aprile del 1701 nella chiesa di San Marco fu dato un
concerto e Lucrezia fu ornata di “cuffia e sciarpa alla moda”.
Nel 1799, durante la Repubblica romana, alcuni facinorosi buttarono il busto giù
dal piedistallo, che cadde a terra a bocca sotto, frantumandosi il naso. Il
giorno seguente, sulle sue spalle, era attaccata una scritta a grossi caratteri:
"Non ne posso veder più", alludendo al malcontento generale.
Originariamente la statua era sistemata davanti alla chiesa e finiva – suo
malgrado - per essere al centro delle tante feste che animavano il largo. La
ricorrenza più curiosa era il “palio dei disgraziati”, che nella prima metà
dell’Ottocento si svolgeva ogni primo maggio. Si trattava di un ballo popolare
al quale non partecipavano solo le belle ragazze e i giovani del rione, ma anche
gobbi, storpi e vecchi decrepiti, suscitando l’ilarità dei popolani che
accorrevano da tutta Roma per godersi lo spettacolo. Le coppie, prima di ogni
ballo, dovevano inchinarsi a Madama Lucrezia, che per l’occasione veniva
pitturata, truccata e addobbata “a festa”, con nastri colorati, collane di teste
d’aglio, cipolle e peperoncini e un diadema di carote e cipolle.
Sembra che fosse tradizione inchinarsi e togliersi il cappello davanti a Madama
Lucrezia. I monelli del rione si incaricavano di far rispettare l’usanza anche
ai forestieri: lasciavano cadere una moneta legata ad un filo davanti ai
passanti e quando questi abbassavano la schiena per raccoglierla, la ritiravano
prontamente. I copricapo, invece, venivano fatti saltare con precisi colpi di
fionda.
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