Nel 1854 l’introduzione del gas rivoluzionò la
vita notturna
L’illuminazione pubblica al tempo del Papa Re
I piemontesi, quando entrarono nella Città Eterna, trovarono ben 2000
lampioni che rivestivano di luce strade e piazze

di
Antonio Venditti
Il primo tentativo a Roma di
illuminazione stradale, seppur straordinaria, si rileva il 20 novembre 1765 in
un ordine di monsignor Maffei, presidente delle strade, che ingiungeva di porre
“alle sbarrature delle strade due lanternoni con il lume… e in occasione di
puntellature o di ponti, di rotture di strade o altri impedimenti”.
Di illuminazione pubblica si incominciò a parlare sotto Pio VI (1775-79) e nelle
“Effemeridi di Roma” del 1787, un’iniziativa che venne ripresa sei anni dopo con
la Repubblica francese, quando si impose, con un’ordinanza del generale Goyon de
Saint-Cyr del 17 pratile dell’anno VI (giugno 1798), a tutti i proprietari di
case che avevano più di tre finestre sulla strada, di tenere sospeso ad una del
primo piano un fanale acceso tutta la notte. L’amministrazione francese ordinò,
inoltre, che mille lanterne ad olio venissero sospese ad un filo di ferro, steso
da una casa all’altra nelle vie principali: furono abolite nel 1801.
Con l’occupazione napoleonica (1809-1814) vennero collocati numerosi lampioni,
con cui furono illuminati il Corso e le strade adiacenti. Inoltre, settecento
osterie ebbero l’obbligo di tenere una lampada accesa sulla porta.
Con la restaurazione del Governo pontificio furono utilizzati un certo numero di
lampioni, appesi a lunghi bracci di ferro articolati, che, abbassandosi,
rendevano facile l’accensione da terra.
A Roma funzionavano 1509 lampioni, a cui erano adibiti 73 accenditori, con una
spesa annua di 28.000 scudi.
L’impianto di pubblica illuminazione del governo pontificio teneva conto delle
“fasi di luna piena” per contenere il consumo dell’olio.
La situazione fu tale fino all’arrivo dell’illuminazione a “gas”, come descritto
nel “Diario di Roma” del 1844, il cui primo esperimento avvenne nel maggio
dell’anno successivo in piazza San Marco, con tre fanali alimentati a gas
condensato, ossia senza condottura.
Dal Moroni sappiamo che nel 1846 in qualche abitazione era introdotto il gas,
per cui nel mese di marzo il Governatore di Roma emanò disposizioni per la
pubblica sanità e sicurezza.
Il proprietario del “Caffè Nuovo o Ruspoli”, il ritrovo più mondano dell’epoca,
Vincenzo Ricci, con l’aiuto del chimico Vincenzo Rolli, in occasione del
“perdono” di Pio IX (19-20 luglio 1847) diede vita ad una grandiosa
illuminazione a gas. La sera, nel Caffè vi fu una ressa tale da rendere
necessaria la presenza dei gendarmi, in alta tenuta, per l’attesa di Pio IX, che
si fece attendere inutilmente.
La Compagnia che ebbe la concessione del “gas idrogeno carburato” per
illuminazione e riscaldamento sotto il suolo pubblico di Roma, si costituì a
Londra il 12 febbraio 1849 con riferimento alla concessione del 3 dicembre 1847.
Con ratifica di contratto 30 luglio 1852 ed atto privato 23 agosto 1852 si fuse
nella “Società Anglo-Romana per l’illuminazione a gas”.
Il Pontefice diede il consenso per l’introduzione del gas nello stesso anno. La
concessione era intestata all’ing. Shepherd ed il 19 dicembre 1853 avvenne la
prova dell’accensione del gas prodotto, mentre l’inaugurazione fu stabilita per
il capo d’anno.
Fu lasciato il terreno fuori Porta del Popolo, destinato alla costruzione
dell’officina, per riprendere le opere in via dei Cerchi, perché parvero
pericolosi “gli effluvi”.
Lo stabilimento della società Anglo-Romana arrivò a produrre 2 milioni e mezzo
di metri cubi di gas all’anno, col quale venivano illuminate le principali
strade e piazze del centro.
Le cronache del tempo riportarono con entusiasmo lo spettacolo della sera del l°
gennaio 1854 quando “a un tratto, alle ore 7 cominciarono ad essere illuminate a
gaz le vie Papale, inclusivamente alla piazza di San Pietro, del Corso, e dal
Campidoglio alle piazze del Gesù e di Venezia “. “La moltitudine d’ogni
condizione accorse a godere nuovo e grato spettacolo”, riferisce il “Cracas”,
mentre il “Giornale di Roma” aggiungeva che “nella sera poi del 6 di detto mese,
per le feste e fiera della Befana ebbe luogo la regolare illuminazione a gaz”
anche in altre vie.
Nel numero del 14 gennaio de “L’Album“, Giovanni Battista Marinelli concludeva
un suo articolo osservando come “Roma gode dei numerosi perfezionamenti e dei
progressi ingegnosi portati dalla industria”.
Nella nottata del 6 gennaio 1854, vi fu una “vera frenesia della plebe di Roma”,
fino ad allora abituata alla candela o alla lucerna ad olio, che poté godere
dell’illuminazione a “gaz”, come allora si diceva.
Il Pontefice visitò l’officina del gas il 15 febbraio del 1854 e nel palazzo
Doria, in tale occasione venne organizzata una gran festa, al lume di più di
duemila fiammelle. Shepherd in quell’occasione fu insignito di una importante
onorificenza.
Presto, questo tipo di illuminazione fu utilizzata dai teatri e dalle principali
botteghe. Il primo teatro a introdurla fu “l’Emiliani” di piazza Navona,
frequentato dal popolino, che vi accorreva numeroso per assistere alle recite
del gobbo Tacconi. Lo seguì il “Valletto”, teatro di burattini presso piazza
Sant’Andrea della Valle; più tardi “l’Apollo” e “l’Argentina” .
Erano i tempi in cui al Teatro dell’Opera, insieme al libretto, si consegnavano
i “cerini pel lume necessario a leggerlo".
La luce a gas ebbe un gran successo soprattutto dopo l’adozione della reticella
Auer, dal nome dell’inventore, il chimico austriaco Karl Auer, che, applicata al
becco del gas, diventava incandescente emettendo una luce molto vivida.
Il gas offriva anche il vantaggio di poter essere comandato a distanza: il
mattino la pressione veniva ridotta al minimo, in modo che le fiammelle si
abbassassero senza spegnersi, mentre la sera, con l’aumento della pressione, si
alzava la luce. Quelle che non avevano retto alla bassa pressione venivano
riaccese dai lampionai, per questo erano situate a non più di tre metri dal
suolo.
I candelabri a gas erano posti in modo che i mezzi di trasporto potessero
riconoscere la strada e gli incroci. La loro disposizione lungo le strade del
centro è ancor oggi rilevabile dalle targhe superstiti di maiolica bianca con i
numeri in blu.
Trionfando il neoclassicismo, candelabri e mensole ripresero fedelmente le
tematiche dei modelli dell’antichità classica, nel 1847 ebbero elementi
simbolici come l’aquila imperiale e la tiara papale. La mensola, decorata con un
ornato di foglie di vite, venne adottata dal Comune di Roma fin dalla metà
dell’800.
Nel 1867 si diede il via ad un progetto per estendere l’illuminazione a gas e
dopo due anni entrò in funzione la nuova officina di produzione di via Flaminia.
Quando i piemontesi nel 1870 entrarono a Roma, trovarono una vasta rete di
illuminazione pubblica, costituita da 2000 lampioni a gas.
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