Avevano la moda sempre “in testa”le belle e vanitose matrone romane

di Annalisa Venditti

Chi dice donna, dice vanità. E senza arrivare ai giorni nostri, in cui il culto dell’aspetto fisico non di rado ha la prevalenza su tutto. Anche le matrone romane, raffinate cultrici del bell’apparire, non disdegnavano di ricorrere ai più sofisticati e spesso dolorosissimi trattamenti per valorizzare la loro persona. Così la galleria di anonimi e illustri ritratti che possediamo ci dà testimonianza di un’arte elaborata e forse poco nota: quella delle “ornatrices”, le parrucchiere dell’antica Roma. Vari erano i “ferri” del loro mestiere, molte le acconciature richieste, diverse le tinte da applicare e fantasiosi i toupet. Ma su tutto regnava sovrano il mito di ogni secolo: la moda. Insomma, pure le nostre progenitrici erano consapevoli vittime della “tendenza”, un miraggio da inseguire, costi quel che costi. Ne abbiamo testimonianza persino nei busti di marmo: in alcuni esemplari le capigliature erano calotte facilmente sostituibili, realizzate a parte dagli scultori per far sì che le pettinature potessero sempre essere aggiornate “all’ultimo grido”. Il capriccio regnava sovrano: chiome lisce diventavano ricce con il “clamistrum”, un ferro riscaldato per effettuare la piega, mentre capelli corvini, grazie alle tinture importate da tutto l’Impero, si tramutavano in bionde, rosse e, addirittura, in turchine e color carota. Questi erano gli accesi colori che contraddistinguevano le donne di malaffare, tanto per non sbagliare nella mischia. Chi aveva pochi capelli, voleva osare un po’ senza cambiare o aveva danneggiato la chioma in seguito a stressanti trattamenti, poteva ricorrere alle parrucche. Il fiorente commercio di posticci è testimoniato dalle fonti antiche: delicati capelli biondi arrivavano dal nord dell’Impero, mentre quelli neri e robusti dall’India. E gli uomini romani che ne pensavano? Forse Ovidio ci restituisce il comune parere maschile in un passo dei suoi celebri “Amores”: “Io te lo dicevo – scrive il poeta - di smettere di colorare i tuoi capelli. Ormai non hai più nulla da tingere. Se li avessi lasciati al naturale, cosa sarebbe più lungo di essi? Pur essendo sottili come lanugine, quante violenze sopportarono, con quanta pazienza si offrirono al ferro e al fuoco!”. Ma chi bella vuole apparire, da che mondo è mondo, un poco deve soffrire. E chissà a quante ore di estenuanti belletti si sarà sottoposta la figlia dell’imperatore Tito (79-81), la graziosa Giulia, per ottenere quella maestosa chioma, riccia sulla fronte, stretta in tante trecce e raccolta in una crocchia sul retro, sfoggiata nel suo celebre ritratto oggi conservato al Museo Nazionale Romano.
La storia delle acconciature femminili nell’Urbe sarà approfondita nel corso di “Questa è Roma!”, la trasmissione condotta da Maria Pia Partisani, in diretta ogni sabato, dalle 9.30 alle 11.30, su Nuova Spazio Radio (88.150).

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