Avevano la moda sempre “in testa”le belle e vanitose matrone romane
Chi dice donna, dice vanità. E senza
arrivare ai giorni nostri, in cui il culto dell’aspetto fisico non di rado ha la
prevalenza su tutto. Anche le matrone romane, raffinate cultrici del bell’apparire,
non disdegnavano di ricorrere ai più sofisticati e spesso dolorosissimi
trattamenti per valorizzare la loro persona. Così la galleria di anonimi e
illustri ritratti che possediamo ci dà testimonianza di un’arte elaborata e
forse poco nota: quella delle “ornatrices”, le parrucchiere dell’antica Roma.
Vari erano i “ferri” del loro mestiere, molte le acconciature richieste, diverse
le tinte da applicare e fantasiosi i toupet. Ma su tutto regnava sovrano il mito
di ogni secolo: la moda. Insomma, pure le nostre progenitrici erano consapevoli
vittime della “tendenza”, un miraggio da inseguire, costi quel che costi. Ne
abbiamo testimonianza persino nei busti di marmo: in alcuni esemplari le
capigliature erano calotte facilmente sostituibili, realizzate a parte dagli
scultori per far sì che le pettinature potessero sempre essere aggiornate
“all’ultimo grido”. Il capriccio regnava sovrano: chiome lisce diventavano ricce
con il “clamistrum”, un ferro riscaldato per effettuare la piega, mentre capelli
corvini, grazie alle tinture importate da tutto l’Impero, si tramutavano in
bionde, rosse e, addirittura, in turchine e color carota. Questi erano gli
accesi colori che contraddistinguevano le donne di malaffare, tanto per non
sbagliare nella mischia. Chi aveva pochi capelli, voleva osare un po’ senza
cambiare o aveva danneggiato la chioma in seguito a stressanti trattamenti,
poteva ricorrere alle parrucche. Il fiorente commercio di posticci è
testimoniato dalle fonti antiche: delicati capelli biondi arrivavano dal nord
dell’Impero, mentre quelli neri e robusti dall’India. E gli uomini romani che ne
pensavano? Forse Ovidio ci restituisce il comune parere maschile in un passo dei
suoi celebri “Amores”: “Io te lo dicevo – scrive il poeta - di smettere di
colorare i tuoi capelli. Ormai non hai più nulla da tingere. Se li avessi
lasciati al naturale, cosa sarebbe più lungo di essi? Pur essendo sottili come
lanugine, quante violenze sopportarono, con quanta pazienza si offrirono al
ferro e al fuoco!”. Ma chi bella vuole apparire, da che mondo è mondo, un poco
deve soffrire. E chissà a quante ore di estenuanti belletti si sarà sottoposta
la figlia dell’imperatore Tito (79-81), la graziosa Giulia, per ottenere quella
maestosa chioma, riccia sulla fronte, stretta in tante trecce e raccolta in una
crocchia sul retro, sfoggiata nel suo celebre ritratto oggi conservato al Museo
Nazionale Romano. |
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