I goti di Alarico hanno contribuito ad arricchirlo di tesori Un magazzino d’arte antica giace sul fondo del Tevere Dalla fine dell’Ottocento, durante la costruzione dei muraglioni, sono emerse numerose statue che sono andate ad incrementare le collezioni del Museo Nazionale Romano
“Se il Tevere oggi fosse prosciugato ed esplorato a fondo con ogni cautela, si rivelerebbe come un grande magazzino di opere d’arte antica di ogni specie”, scriveva lo storico dell’arte Hans von Hülsen. Infatti, anche se il fiume che attraversa Roma ha una portata modesta - appena i due terzi di quella della Senna - la sua importanza storica è eccezionale. Determinò l’ubicazione della città e contribuì a fare la sua grandezza. Grazie alla regolarità del livello delle acque, dai tempi più remoti fino alla fine dell’Ottocento ed in ogni stagione, piccoli battelli potevano tranquillamente andare alla foce e risalire il fiume a monte per un lungo tratto. Alla foce del fiume sorse il porto di Roma, Ostia, caposaldo dei commerci e delle comunicazioni marittime dell’antichità fino alla prima epoca imperiale, quando lo sviluppo demografico ed economico raggiunto dall’Urbe lo rese insufficiente. L’imperatore Claudio (41 – 54 d.C.) pose le basi di quello che sarebbe divenuto il più grande porto artificiale dell’Impero, poco a nord della foce tiberina. Il bacino, con fondale sabbioso, aveva un pescaggio di circa 5 metri, tale da permettere l’ancoraggio di grandi navi da carico. Un canale, detto più tardi “Fossa Traiana”, collegava il porto con il Tevere e serviva per la regolazione e lo smistamento delle acque. Sul suo letto sono stati ritrovati numerosi blocchi di marmi asiatici, greci insulari, africani, alcuni dei quali conservano ancora il sigillo di piombo con l'effige dell'imperatore o iscrizioni con i dati relativi alla cava di provenienza. Caratteristico di Ostia, infatti, fu il commercio dei marmi, che affluivano qui da ogni parte dell'impero per poi essere portati a Roma, dove andavano ad abbellire palazzi, ville e monumenti pubblici. Con il passare degli anni, però, il porto risultò inadeguato a sostenere la violenza del mare e soggetto a riempirsi dei sedimenti della foce del Tevere. La sistemazione definitiva si deve a Traiano (98 – 117 d.C.), che con grandi scavi nell’entroterra assicurò un sicuro riparo alle navi, in comunicazione col mare attraverso il porto di Claudio. Dopo la caduta dell’Impero, Roma fu spogliata di molti suoi tesori. I barbari di Alarico, ad esempio, saccheggiarono la città, caricando nella zona della Marmorata le loro navi con statue ed oggetti preziosi, per portarli alla foce e partire alla volta di Cartagine. Numerose imbarcazioni, riempite all’inverosimile, si rovesciarono nelle acque del Tevere, consegnando al fondo limaccioso del fiume il loro contenuto, che aspetta ancora di essere riportato alla luce. Una leggenda vuole che anche il famoso candelabro d’oro a sette bracci del Tempio di Gerusalemme, portato a Roma da Tito, giaccia sommerso nei pressi di Ponte Rotto. Il Belli lo ha ricordato in un suo celebre sonetto: “...sto candelabro / per ésse c’è, ma nun lo gode un cane, / perché sta giù ner fiume a fonno a fonno. / Lo vòi sapé, lo voi, dove arimane? / Vicino a Ponte Rotto, e si lo vònno / se tira su per un tozzo de pane”. Nel passato non mancarono i tentativi di recuperare il prezioso reperto, nei quali molti dilapidarono piccole fortune. Naturalmente, qualcuno provò anche a fare ricerche sistematiche nel letto del fiume, ma si tratta di iniziative senza seguito. Tra i documenti dell’Archivio di Stato, per esempio, risulta che nel 1819 fu fondata una “Società per la escavazione del Tevere”. La maggior parte dei rinvenimenti nel biondo fiume – del tutto fortuita - è avvenuta alla fine dell’Ottocento, durante la costruzione dei muraglioni ed è andata ad incrementare le collezioni del Museo Nazionale Romano. Il 20 settembre del 1885, tra la Farnesina e Ponte Garibaldi, emerse dalla mota una bellissima statua in bronzo di Dioniso, forse un originale di epoca tardo ellenistica. Le acque l’avevano preservata dal deterioramento: dopo tanti secoli, il dio appare ancora nella sua incontaminata bellezza e conserva gli occhi in marmo bianco, oltre alle labbra ed ai capezzoli rivestiti in rame. Appena un anno dopo, nello stesso tratto del fiume si rinvenne un altro bronzo di simile soggetto. Il giovane dio, con i lunghi capelli ricadenti sulle spalle, era incoronato di edera e reggeva il tirso ed un cantaro. Sempre durante i lavori per la regolamentazione dell’alveo fu rinvenuta nei fondali melmosi presso Ponte Rotto una testa marmorea femminile dall’espressione sognante più grande del naturale, copia dell’Afrodite Cnidia di Prassitele. Pochi metri più a valle, operazioni di dragaggio restituivano, nel 1890, una delle figure più suggestive che l’antichità ci abbia tramandato: una statuetta marmorea raffigurante un bambino di cinque o sei anni, vestito di una corta tunica e di un mantelletto con cappuccio. E’ seduto su una roccia, sulla quale appoggia il piede sinistro, e si è addormentato all’improvviso con la testolina appoggiata alla mano sinistra, mentre nella destra stringe ancora l’anello di una lampada posata al suolo. Si tratta della copia romana di uno dei tanti soggetti di genere cari all’arte ellenistica. Molto si è discusso sulla sua esatta interpretazione: potrebbe raffigurare uno schiavetto che attende pazientemente il suo padrone impegnato in qualche banchetto, per illuminargli la strada di ritorno verso casa. Forse, però, la sua originaria collocazione era su una tomba. In tal caso, il piccolo sarebbe stato vinto dal sonno, dopo un lungo pianto, mentre vegliava sulla tomba del padrone, cui cercava di rischiarare l’eterna notte della morte con la fioca luce della lanterna. Nel 1891, poco distante dal Ponte Palatino, fu una scultura in marmo pario di Apollo ad essere ripescata in numerosi frammenti: una figura giovanile completamente nuda con il volto pensieroso leggermente piegato a sinistra e verso il basso, derivata da un originale bronzeo del V sec. a.C.
Ancora nel 1951, materiali archeologici furono scoperti dal Genio Civile
nell’alveo del Tevere, lungo la via Ostiense. Tra questi, il frammento di un
rilievo in marmo lunense con scene gladiatorie, eseguito con cura e ricchezza di
particolari, databile alla fine del I sec. a.C., che fu subito portato al Museo
Nazionale Romano. |
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